Ho osservato, ho rintracciato una
regolarità, ora, non me ne vogliano gli scienziati, ma formulo la mia legge
universale dell'amicizia farlocca.
Uno dei più strani e ricorrenti
paradossi relazionali consiste in queste due regole non dette, dalla forza
coercitiva stringente:
1. Dirsi
la verità solo nei casi in cui ciò sia possibile in modo da non urtare le
proprie suscettibilità, il buon costume, il proprio narcisismo. In modo, cioè,
da non dire verità alcuna, dal momento che ogni verità può essere interpretata in
qualsiasi modo, basta volerlo e il gioco è fatto.
2. Telefonarsi,
cercarsi, ammiccare, approvarsi con perversa e inamovibile costanza,
scimmiottare la vera amicizia – da sostituire con zelo con una specie di
affettata reverenza reciproca continua, priva di ogni giustificazione
apparente.
Di qui la
formula: - v + f = s2.
[- verità + falsità = solitudine al
quadrato]
E' una
formula paradossale, perché il motivo per cui tutto questo esiste è legato
all'impellenza di evitare di restarci male. Ma come spesso avviene, l'antidoto
preventivo genera proprio ciò che vorrebbe evitare. Il
risultato è un mondo di gente che quando sta fra gli altri si mette una specie
di patina addosso; e la verità si privatizza nell'angolo della propria
solitaria stanza.
Privatizzazione
della verità, pubblicizzazione della menzogna.
Molte relazioni sociali – una
percentuale schiacciante – si fondano su queste due regole non dette. La
parodia dell’amicizia alla quale esse danno luogo ha a che fare con la paura
per una cosa che i greci chiamavano a-letheia, verità - il “non
nascosto”. Nascondersi reciprocamente la verità, questo è il primo requisito
della parodia dell’amicizia spacciata per amicizia.
Ricordo un dibattito in cui x diceva “io
non vorrei mai che un amico mi dicesse che mi sono comportata da stronza nella
situazione y!” e io “non vorresti che te lo dicesse anche se lo
pensasse?”, x “no, neanche per sogno! Mi offenderebbe, non dovrebbe
dirmelo assolutamente”; insisto “ma, scusa, che senso ha, se lo pensa e
non te lo dice, comunque lo pensa, che senso ha far finta che non lo pensi? Ma
soprattutto, se di amico si tratta, che senso avrebbe offendersi?”; x: “no
no, non se ne parla”.
Niente. Fu l’unica occasione in cui mi
capitò di concettualizzare apertamente e in modo condiviso il paradosso di cui
sopra, con i diretti interessati.
Ciò trova costante conferma. Siamo
amici nel senso che ci sorridiamo, ci offriamo il caffè, facciamo qualche
simpatica chiacchierata insieme, condividiamo dei gusti e delle esperienze
comuni ecc ma l’amicizia si ferma qui. Importantissimo è schiacciarsi
continuamente l'occhiolino. L'intesa non deve mai venire meno, neanche per un
secondo. Il nostro relazionarci deve trasudare indefessamente approvazione,
metaforiche pacche sulle spalle, lo spirito del team inteso come performance, come prestazione relazionale. C'è qualcosa di burocratico in questo concetto di amicizia.
Stanti queste le basi di tale
relazione, è possibilissimo dunque, che questo rapporto fermandosi qui,
dia luogo a qualcosa comunemente noto come “malizia”. L’amico osserva l’altro
amico, con distacco e piglio critico, si dice mmm guarda un po’ che
manie di protagonismo ha. Oppure mmm mi ha fatto questo regalo
perché vuole qualcosa in cambio. E via tacendo.
Nessuno dice che tutte le amicizie
debbano essere il top della relazione fondata sulla verità. Cioè, io lo direi,
ma guardandomi intorno sembra un'utopia. Quello che mi preoccupa è che questa
parodia coincida sempre più con l’unico tipo di relazione informale
generalmente ammesso. Dietro questi comportamenti e annesse convinzioni, sta
l’insopprimibile certezza che altri tipi di amicizia non si diano. Non
esistano. Dalla descrizione alla norma il passo è breve. "Non esistono,
non ne ho mai conosciute, dunque non devono
esistere". Ergo, ogni tentativo di proporlo viene represso. E in ciò ci si
applica costantemente.
L'errore è mio
Quando i parametri relazionali che mi si offrono corrispondono al quadro delineato, la repulsione è imminente, e mi blocco. Tu mi chiedi falsità, tu cerchi l'intesa a prescindere, io mi blocco. Non posso darti quello che mi chiedi, spiacente.
Prima di prendermela, ancora una volta,
con il mondo che non va come dovrebbe andare, seguirò il consiglio di Decartes,
il prima cambia te stesso. Focalizziamo. Il mio errore è dare per scontato che
tutti debbano intendere l'amicizia come la intendeva Aristotele nei confronti
di Platone. Notoriamente, nel libro I dell'Etica Nicomachea, Aristotele si
appresta a criticare il suo caro amico Platone:
"Forse è meglio fare oggetto d’indagine il bene
universale e discutere a fondo quale significato abbia, anche se tale ricerca è
sgradevole per il fatto che sono amici nostri gli uomini che hanno introdotto
la dottrina delle Idee. Ma si può certamente ritenere più opportuno, anzi
doveroso, almeno per la salvaguardia della verità, lasciar perdere i
sentimenti personali, soprattutto quando si è filosofi: infatti, pur essendoci
cari entrambi, è sacro dovere onorare di più la verità".
Non ho mai potuto concepire la
filosofia come un compartimento stagno dell’esistenza; per me, come tutte le
altre scienze, è vita, dunque sono naturalmente portata a confondere quello che
studio, leggo, penso con la vita di tutti i giorni. L'amore per la verità è il grande insegnamento che si trae, fra l'altro, dallo studio. Contro i principi di autorità, contro i nascondimenti graditi al potere; non è un feticismo, è uno sguardo sulla realtà, una tensione (o tendenza?). La società alienata - eh lo
so, espressione anacronistica, ma proprio per questo qui è la benvenuta -
promuove invece le scissioni: promuove la separazione, la settorializzazione;
la filosofia si studia sui libri, la vita altra cosa.
(Il magistrato Giglio può in virtù di tale separazione, criticare con amarezza la 'ndrangheta ai microfoni, per poi incontrare il temibile boss Lampada a cui soffiare le informazioni istituzionali. La lezione del diritto, ogni principio etico, sono altra cosa dalla vita. Favole VS bruta realtà. A questo servono i convegni, per citare Lamberti Castronuovo).
Comunque, i personalismi sono l'incaglio. Quando la verità viene interpretata e attaccata scivolando sul personale. Ma come disse Aristotele, la verità è altra cosa, dobbiamo metterci da parte per farle spazio! E ciò non deve intaccare la nostra relazione, semmai nutrirla.
L'errore non è mio
Le persone oggetto di questa
dissertaziuone la prendono sul personale, mentre io volevo "salvaguardare
la verità" (voce fuori campo: ma chi tte credi di essere, a Donchisciotte denoantri).
La gente è sospettosa, ha le narici invase di
fregatura, ha disprezzo a prescindere. L’autodifesa, la paura della sola, si insinua subdola nelle
menti che non si concedono la libertà di abbassare la guardia. Il timore si
trasforma presto in disprezzo. All'erta a prescindere, sempre.
Naaa, Io. Non mi fido.
E' atto di autostima, di ritrovato
orgoglio, di chi la sa lunga, di come vanno le cose, eh devi mangiarne cous
cous, tu. Il non-mi-fido è
liberatorio proprio nell'atto stesso in cui è repressivo. Perché libera dalla
responsabilità di ripensare ogni relazione nel suo contesto e nella sua
specificità, libera dallo sforzo di dover ogni volta trovare una chiave
interpretativa nuova. Ma reprime la spontaneità della relazione, dunque la
relazione stessa.
Anche quando il movente è il
disinteresse - nel senso, un interesse non particolaristico -, esso è
delegittimato sul nascere, non concependolo preventivamente come possibile. Il
disinteresse reca in fronte il marchio del sospetto.
A prescindere è una parola chiave. E' la
generalizzazione qualunquista e preventiva, griglia interpretativa assoluta e
indiscriminata della realtà. I fatti, le azioni, i pensieri supposti altrui,
esistono solo in quanto possono essere incanalati nella griglia. Chi, cosa non
corrisponde allo schema, semplicemente non esiste. Nel senso che non è possibile.
Questa operazioncina delegittima totalitaristicamente tutto ciò che non le si
sovrappone semplicemente.
Tutto ciò è claustrofobico.
Dicono che devi essere te stesso; mi
raccomando, è fondamentale, sii te stesso. Poi sono me stessa, e niente, non va
bene. Ogni mio atto e ogni mia parola è interpretato in chiave
malignoide.
Non
puoi dire la verità! Se la dici mi offendo, ti isolo, sei sospetta! La verità -
quale essa sia, compresa la semplice verità fattuale, o la verità del proprio
sincero e disinteressato punto vista, non già una qualche verità ontologica -
col suo stesso esistere fa crollare l'impalcatura dell'ammiccamento di gruppo
spacciato per amicizia.
La gente vuole essere presa in giro. E
su questo bluff generalizzato, di cui si auspica la connivenza universale, viene edificato il concetto stesso di relazione.
I
modi
Nei modi qualche volta certamente
sbaglio. Diceva un attore, e
che tte lo devo di', cor sottofondo musicale? Confesso
di simpatizzare con questa scuola di pensiero; ad ogni modo, riconosco ai modi
una certa importanza. La gentilezza non è solo forma è anche e soprattutto
sostanza. Quando è solo forma non è gentilezza ma è semplicemente maniera.
Difetti espositivi
Da quanto detto emerge quasi
un'immagine di piccola fiammiferaia, vittima dei cattivoni, lei, così buona. In primo luogo, non è la bontà a spingermi verso la verità, ma la verità stessa. I
riferimenti personali tuttavia, anche qui, non si esauriscono mai veramente nel
personale. Quello che mi accade è spunto di riflessioni generali - benché corra
il rischio di generalizzare il particolare.
Sbocchi
Tutto
questo dà luogo al “dispettuccio” già apertamente analizzato in alcuni vecchi
post. La battuta obliqua, che non si relaziona frontalmente all’altro, alla
pari come dire, è il modo migliore per evitare la verità, ma al contempo
trovare una specie di soddisfazione nel pronunciarne la propria versione per se stessi. Per capire
la battuta obliqua bisogna essere esercitati in quest’arte della menzogna
raffinata. Purtroppo mi mancano i rudimenti. Mi piace il confronto alla pari,
con gli stessi mezzi. Potrei usare anch’io lo stesso mezzo, è che non ci
riesco. Per questo sono un'idiota.
Mi sembra una fatica inutile. E anche un po’ cattiva.
Visto, non ci sono sbocchi. Meno male che qualcuno si salva; meno male che la legge non è tecnicamente del tutto universale.
Concordo su tutto. C'è però anche l'esatto contrario.
RispondiEliminaGente convinta di essere strafiga perchè sincera e si sente un supereroe/ina nel dire sempre la verità mentre invece..ama solo fare il giudice.
Gente che riesce a vedere solo i tuoi difetti e non passa momento che non te ne sottolinei qualcuno, in nome di una presunta sincerità, non richiesta oltretutto. Pessimi.
-giudici e + amici.
Ho in mente due concetti: amicizia e conoscenza. Secondo me l'amicizia non può che trovare nella rarità il suo modo di esprimersi, laddove la conoscenza lo trova nell'essere comune. Ed è facile confondere la conoscenza con l'amicizia in virtù di una incapacità, sempre maggiore, di penetrare nell'animo delle persone. C'è una sorta di tensione a cercare la quantità non tanto a scapito della qualità, ma della capacità e volontà di approfondire un rapporto oltre la cena o l'aperitivo.
RispondiEliminaIn altre parole è sempre più raro entrare in confidenza intima, sincera, onesta, come scrivi tu "disinteressata", con gli altri.
Io anche ho una serie di dubbi e "non mi fido", lo ammetto. Ed è veramente difficile riuscire a trovare questa confidenza. (E tutto il sistema che contribuisce a isolare le persone.)
Anonimo - Sono d'accordo. Tanto che sottolineavo il problema del personalismo. Se io dico "secondo me sarebbe meglio colorare le pareti di verde", che è il mio sincero parere, sarebbe sbagliato che l'interlocutore vedesse in quest'affermazione una critica alla sua persona, una critica obliqua e indiretta del tipo "ehi, hai dei gusti di merda". Sarebbe lei a sentirsi giudicata, quando in realtà è stato solo espresso un parere del tutto disinteressato.
RispondiEliminaConcordo anche sull'inopportunità di sentirsi i paladini della verità. Dal basso della mia ingenuità, dicevo, che ciò è stupido perché presuppone che la verità sia un merito, mentre il dirsela dovrebbe essere ovvio.
Sul fatto di "vedere solo i tuoi difetti", non so perché lo associ al discorso qui fatto, ma comunque credo anch'io che la sincerità vada contestualizzata. Denunciavo la presunta incompatibilità tra amicizia e verità, sempre più comune.
La firma è sempre gradita.
Aw sarebbe bello considerare l’amicizia come una forma di conoscenza, una categoria gnoseologica. Mi hai dato questo spunto! Per il resto, trovo che tu abbia espresso un pdv molto interessante, soprattutto “l'amicizia non può che trovare nella rarità il suo modo di esprimersi”. Comunque converrai che il non mi fido è sempre una sorta di arma a doppio taglio.
Io credevo ciecamente nell'amicizia,ma quella che dà e non pretende nulla, perché io son fatta così ! E invece nella vita ho sempre avuto grosse delusioni proprio dagli amici/che ! Fanno i comodi loro
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