Gli altri ridono.
La prima connotazione dell'idiozia consiste nella diversità, in un'alterità radicale. Semplificando, l'idiota comunemente è considerato tale perché usa un linguaggio diverso dai più; con linguaggio intendiamo anche gli atteggiamenti, la forma mentis, insomma l'approccio globale della persona alla vita.
Il modo in cui il senso comune concepisce l'idiozia, se rapportato alla rappresentazione che ne dà Dostoevskij, apre la via a diverse considerazioni. Per il senso comune il giudizio di valore negativo è già contenuto nella parola diverso; in Dostoevskij l'aggettivo è semanticamente più aperto, cioè tendenzialmente ambiguo: non sottende giudizi di valore ma contrassegna un profilo umano particolare, il cui tratto distintivo consiste sempre nella diversità. La diversità che emerge dal romanzo è però tragica: un tragicità che scaturisce dall'attrito con gli altri e non dalla condizione in se stessa.
Se l'associazione di idee che istintivamente vi si accompagna richiama il campo semantico della stupidità, dell'ottusità, ecc, il senso in cui Dostoevskij usa il termine è ben più originale, ma non per deviazione dal significato originario - che non consiste in effetti nella stupidità come noi la intendiamo - bensì per il modo radicale con cui lo riprende. La scienza etimologica ci dice che idiota deriva da idiotès che significa "privato", probabilmente nel senso di "sottratto" ovvero di "particolare, non pubblico, non universale"; qualcuno ha suggerito il concetto di "straniero", in linea con la connotazione della diversità.
La nostra traduzione, con la particella non, introduce una negazione, una mancanza, che probabilmente, in parte, tradisce il senso originario. Interessante infatti l'interpretazione ambivalente cui si presta il concetto di "privato": mancante (ad esempio: "persona a cui è stato tolto/che non ha qualcosa"), o non-pubblico? Probabilmente entrambe le cose. La stessa etimologia, dunque, reca il segno del contrasto, dell'ambiguità.
La prima connotazione dell'idiozia consiste nella diversità, in un'alterità radicale. Semplificando, l'idiota comunemente è considerato tale perché usa un linguaggio diverso dai più; con linguaggio intendiamo anche gli atteggiamenti, la forma mentis, insomma l'approccio globale della persona alla vita.
Il modo in cui il senso comune concepisce l'idiozia, se rapportato alla rappresentazione che ne dà Dostoevskij, apre la via a diverse considerazioni. Per il senso comune il giudizio di valore negativo è già contenuto nella parola diverso; in Dostoevskij l'aggettivo è semanticamente più aperto, cioè tendenzialmente ambiguo: non sottende giudizi di valore ma contrassegna un profilo umano particolare, il cui tratto distintivo consiste sempre nella diversità. La diversità che emerge dal romanzo è però tragica: un tragicità che scaturisce dall'attrito con gli altri e non dalla condizione in se stessa.
Se l'associazione di idee che istintivamente vi si accompagna richiama il campo semantico della stupidità, dell'ottusità, ecc, il senso in cui Dostoevskij usa il termine è ben più originale, ma non per deviazione dal significato originario - che non consiste in effetti nella stupidità come noi la intendiamo - bensì per il modo radicale con cui lo riprende. La scienza etimologica ci dice che idiota deriva da idiotès che significa "privato", probabilmente nel senso di "sottratto" ovvero di "particolare, non pubblico, non universale"; qualcuno ha suggerito il concetto di "straniero", in linea con la connotazione della diversità.
La nostra traduzione, con la particella non, introduce una negazione, una mancanza, che probabilmente, in parte, tradisce il senso originario. Interessante infatti l'interpretazione ambivalente cui si presta il concetto di "privato": mancante (ad esempio: "persona a cui è stato tolto/che non ha qualcosa"), o non-pubblico? Probabilmente entrambe le cose. La stessa etimologia, dunque, reca il segno del contrasto, dell'ambiguità.
Dostoevskij ne dà un'immagine che oscilla tra il compassionevole eroismo e la ridicolizzazione. La condizione che intende descrivere si materializza in un personaggio che evoca implicitamente Don Chisciotte - il vero grande parente stretto dell'Idiota. Al di là delle differenze con l'antieroe di Cervantes, permane quel comune essere al di sopra delle righe, quell'ostinato scalzare gli "schemi cognitivi" del tempo.
La maggior parte delle recensioni del romanzo usa caratterizzare in primo luogo il principe Myskin in termini di bontà e ingenuità: contrariamente a questa interpretazione, che intrappola una figura complessa in aggettivi che ne tradiscono la potenza di senso, può essere preferibile evidenziare fra i tratti principali dell'idiota quello della diversità radicale del linguaggio (inteso in senso globale) rispetto al linguaggio usato dagli altri. Dostoevskij genialmente sa rappresentare il contrasto ponendosi come a metà fra la prospettiva dell'idiota e quella dei suoi interlocutori, dipingendo un vivido quadro in cui, febbrilmente, un insistente senso del ridicolo si insinua nei tentativi di Myskin di essere preso sul serio. Gli altri ridono. Lui crede a quello che dice e lo dice con emozione, pensando ai concetti, e ispirato, mentre gli altri ridono.
L'idiota è privato, allora, nel senso che non può essere pubblico perché gli altri ne ridono, quindi lo escludono poiché non gli riconoscono i requisiti per la partecipazione alla relazione. Questo aspetto è costante nelle opere di Dostoevskij. Gli altri, nei suoi romanzi, sono spesso una cosa strana che ride o imbroglia, insomma una minaccia. Non a caso uno dei suoi più grandi capolavori, Delitto e castigo, si conclude (o, meglio, inizia...) con un omicidio privo di senso apparente. Solo l'omicidio può rendere giustizia all'assurdità del fatto, infine banale, che esistono gli altri in quel modo.
L'idiota resterà sempre estraneo al mondo poiché non ne possiede i codici, egli dunque è condannato a vivere relazioni da cui è escluso per principio, nessun compromesso è possibile dal momento che manca un linguaggio condiviso per affrontarle. Tuttavia forse non è corretto parlare in termini di mancanza ma in termini appunto di diversità - o ancora probabilmente in termini di più profonda comprensione dei codici altrui che sfocia nel superamento stesso di questi. Più che non possedere i codici, egli si può dire che li possieda troppo, o meglio e di più.
L'idiota vive sperduto tra gli altri, strattonato e confuso, la gente rincara la dose alimentando la confusione. In questo senso l'idiota è il grande archetipo dello heideggeriano Heimatlos, lo spaesato, il senza casa. E benché leggendone la descrizione nessuno avrebbe pensato di potervigli associare l'idiozia, paradossalmente a mio avviso nulla più della condizione dell'idiozia in senso etimologico può adattarsi a quella della spaesatezza esistenziale. L'idiota è lo straniero per eccellenza.
L'idiota, si è detto, è tale in virtù degli altri e non in quanto tale: l'idiozia è una radicale alterità, definibile solo per derivazione, l'alterità cioè si dà solo nella relazione, dunque per confronto e non per essenza. Egli adopera schemi e approcci altri, sui generis, senza o oltre i sistemi di riferimento comuni, cioè i linguaggi: gli altri non li comprendono dunque, e come spesso fanno le persone per difendersi dall'illegibilità, cioè dalla diversità, usano la risata, che è derisione, per sancire l'alterità assoluta e la derivata assoluta esclusione dal rango di pari. Il meccanismo di difesa implica quello di esclusione, e questa è tanto radicale quanto lo è la prima. La difesa si attiva, in questo caso, come reazione all'incomprensibile - esso destabilizza le certezze, sovverte l'ordine rassicurante della consuetudine, crea la crisi cioè la frattura, risanabile solo al prezzo dell'eliminazione dell'oggetto e rifiutando dall'inizio la possibilità della sua inclusione: l'apertura a comprendere.
Chi è l'idiota, dobbiamo provare pena per lui? Dostoevskij sa eccezionalmente rappresentare il contrasto tragico senza prese di posizione, mostrando la difficoltà e il disagio; non gli interessa dipingere l'eroe buono, supera persino la dicotomia manualistica dell'eroe/antieroe, con essa anzi gioca proprio ponendovisi al di fuori. E in questo contrasto tragico risiede qualcosa di essenziale, a mio avviso, per la lettura di infinite situazioni recanti lo stesso schema, dell'alterità come venir meno o meglio diversità di codici condivisi e necessità di questa asimmetria, che sfocia nel tragico (che è sempre un contrasto forte).
Si può leggere molta storia alla luce di questo. Ai più verrà in mente, prima di tutto, Socrate, Cristo, insomma i cosiddetti buoni condannati a morte perché hanno cercato di forzare il ritmo implacabilmente lento (e fatalisticamente) dello Zeitgeist.
Tutto si riduce, infine, allo spirito del tempo.
L'umanità si dimostra immatura, non ha ancora assimilato gli strumenti per leggere codici troppo distanti dalla prassi del tempo. Dunque l'idiota deve morire, deve soffrire: c'è del sadismo. La paura dell'illegibile deve essere scongiurata ed esorcizzata, inoltre va inflitta una punizione, per risanare l'equilibrio rassicurante, sancito dalla moltitudine, dettato dallo Zeitgeist. Infatti l'aspetto quantitativo non va trascurato. Alla fine i molti legittimano e delegittimano, il solo individuo deve subire la decisione - infine la verità si muove lungo questi binari di legittimazione puramente quantitativa. Solo dopo, a mente lucida, e quando lo Zeitgeist così lentamente avrà recuperato il messaggio dell'idiota perché finalmente potrà comprenderlo, l'idiozia si muta in genialità o santità, senza però rinunciare all'alterità assoluta: idiota o santo, egli sarà sempre e comunque diverso da noi. Curioso meccanismo.
La gente ha bisogno di neutralizzare quella forza strana (ricordiamo l'affinità semantica di strano con straniero, quindi con idiota) per sottrarle gli strumenti del cambiamento, cioè per sottrarle potere. Ecco che l'idiozia è un fantasma che nasce dalla frattura tra la paura del diverso illegibile e il bisogno di neutralizzarlo per conservare lo status quo, nonché riconfermare il proprio valore messo inconsciamente in forse dalla manifestazione stessa dell'idiozia. Si tratta, probabilmente, dello stesso approccio difensivo dei conservatori: essi tendenzialmente negano l'alterità, per il mantenimento e la riproduzione perpetua della realtà presente. Ma è anche un atteggiamento intrinseco della società, un po' come il pettegolezzo (o la generale difficoltà a metabolizzare cambiamenti), finalizzato a conservare il presente dei costumi, la morale attuale e dunque escludente rispetto al nuovo, al diverso.
Idiota è un aggettivo forte, che indebolisce il suo oggetto automaticamente e in modo totalitario. Subdolamente, infatti, a colui che viene spregiativamente definito idiota si sottraggono le possibilità, come dire, di replica - facendo leva sulle capacità cognitive stesse, di cui si disconosce una volta per tutte il valore: gli si sottrae il terreno comune della comunicazione, le condizioni preliminari dello scambio relazionale.
E' possibile allora ribaltare il discorso. Il vero idiota, così come oggi intendiamo questa parola comunemente (stupido, ecc), è quello che sta dalla parte della moltitudine, quello che ha il potere di escludere dal discorso, quello che può usare la parola idiota e la usa con compiaciuto sadismo, quello che teme il diverso e reagisce a questa paura col meccanismo dell'abolizione. E' lui a non comprendere.
La maggior parte delle recensioni del romanzo usa caratterizzare in primo luogo il principe Myskin in termini di bontà e ingenuità: contrariamente a questa interpretazione, che intrappola una figura complessa in aggettivi che ne tradiscono la potenza di senso, può essere preferibile evidenziare fra i tratti principali dell'idiota quello della diversità radicale del linguaggio (inteso in senso globale) rispetto al linguaggio usato dagli altri. Dostoevskij genialmente sa rappresentare il contrasto ponendosi come a metà fra la prospettiva dell'idiota e quella dei suoi interlocutori, dipingendo un vivido quadro in cui, febbrilmente, un insistente senso del ridicolo si insinua nei tentativi di Myskin di essere preso sul serio. Gli altri ridono. Lui crede a quello che dice e lo dice con emozione, pensando ai concetti, e ispirato, mentre gli altri ridono.
L'idiota è privato, allora, nel senso che non può essere pubblico perché gli altri ne ridono, quindi lo escludono poiché non gli riconoscono i requisiti per la partecipazione alla relazione. Questo aspetto è costante nelle opere di Dostoevskij. Gli altri, nei suoi romanzi, sono spesso una cosa strana che ride o imbroglia, insomma una minaccia. Non a caso uno dei suoi più grandi capolavori, Delitto e castigo, si conclude (o, meglio, inizia...) con un omicidio privo di senso apparente. Solo l'omicidio può rendere giustizia all'assurdità del fatto, infine banale, che esistono gli altri in quel modo.
L'idiota resterà sempre estraneo al mondo poiché non ne possiede i codici, egli dunque è condannato a vivere relazioni da cui è escluso per principio, nessun compromesso è possibile dal momento che manca un linguaggio condiviso per affrontarle. Tuttavia forse non è corretto parlare in termini di mancanza ma in termini appunto di diversità - o ancora probabilmente in termini di più profonda comprensione dei codici altrui che sfocia nel superamento stesso di questi. Più che non possedere i codici, egli si può dire che li possieda troppo, o meglio e di più.
L'idiota vive sperduto tra gli altri, strattonato e confuso, la gente rincara la dose alimentando la confusione. In questo senso l'idiota è il grande archetipo dello heideggeriano Heimatlos, lo spaesato, il senza casa. E benché leggendone la descrizione nessuno avrebbe pensato di potervigli associare l'idiozia, paradossalmente a mio avviso nulla più della condizione dell'idiozia in senso etimologico può adattarsi a quella della spaesatezza esistenziale. L'idiota è lo straniero per eccellenza.
L'idiota, si è detto, è tale in virtù degli altri e non in quanto tale: l'idiozia è una radicale alterità, definibile solo per derivazione, l'alterità cioè si dà solo nella relazione, dunque per confronto e non per essenza. Egli adopera schemi e approcci altri, sui generis, senza o oltre i sistemi di riferimento comuni, cioè i linguaggi: gli altri non li comprendono dunque, e come spesso fanno le persone per difendersi dall'illegibilità, cioè dalla diversità, usano la risata, che è derisione, per sancire l'alterità assoluta e la derivata assoluta esclusione dal rango di pari. Il meccanismo di difesa implica quello di esclusione, e questa è tanto radicale quanto lo è la prima. La difesa si attiva, in questo caso, come reazione all'incomprensibile - esso destabilizza le certezze, sovverte l'ordine rassicurante della consuetudine, crea la crisi cioè la frattura, risanabile solo al prezzo dell'eliminazione dell'oggetto e rifiutando dall'inizio la possibilità della sua inclusione: l'apertura a comprendere.
Chi è l'idiota, dobbiamo provare pena per lui? Dostoevskij sa eccezionalmente rappresentare il contrasto tragico senza prese di posizione, mostrando la difficoltà e il disagio; non gli interessa dipingere l'eroe buono, supera persino la dicotomia manualistica dell'eroe/antieroe, con essa anzi gioca proprio ponendovisi al di fuori. E in questo contrasto tragico risiede qualcosa di essenziale, a mio avviso, per la lettura di infinite situazioni recanti lo stesso schema, dell'alterità come venir meno o meglio diversità di codici condivisi e necessità di questa asimmetria, che sfocia nel tragico (che è sempre un contrasto forte).
Si può leggere molta storia alla luce di questo. Ai più verrà in mente, prima di tutto, Socrate, Cristo, insomma i cosiddetti buoni condannati a morte perché hanno cercato di forzare il ritmo implacabilmente lento (e fatalisticamente) dello Zeitgeist.
Tutto si riduce, infine, allo spirito del tempo.
L'umanità si dimostra immatura, non ha ancora assimilato gli strumenti per leggere codici troppo distanti dalla prassi del tempo. Dunque l'idiota deve morire, deve soffrire: c'è del sadismo. La paura dell'illegibile deve essere scongiurata ed esorcizzata, inoltre va inflitta una punizione, per risanare l'equilibrio rassicurante, sancito dalla moltitudine, dettato dallo Zeitgeist. Infatti l'aspetto quantitativo non va trascurato. Alla fine i molti legittimano e delegittimano, il solo individuo deve subire la decisione - infine la verità si muove lungo questi binari di legittimazione puramente quantitativa. Solo dopo, a mente lucida, e quando lo Zeitgeist così lentamente avrà recuperato il messaggio dell'idiota perché finalmente potrà comprenderlo, l'idiozia si muta in genialità o santità, senza però rinunciare all'alterità assoluta: idiota o santo, egli sarà sempre e comunque diverso da noi. Curioso meccanismo.
La gente ha bisogno di neutralizzare quella forza strana (ricordiamo l'affinità semantica di strano con straniero, quindi con idiota) per sottrarle gli strumenti del cambiamento, cioè per sottrarle potere. Ecco che l'idiozia è un fantasma che nasce dalla frattura tra la paura del diverso illegibile e il bisogno di neutralizzarlo per conservare lo status quo, nonché riconfermare il proprio valore messo inconsciamente in forse dalla manifestazione stessa dell'idiozia. Si tratta, probabilmente, dello stesso approccio difensivo dei conservatori: essi tendenzialmente negano l'alterità, per il mantenimento e la riproduzione perpetua della realtà presente. Ma è anche un atteggiamento intrinseco della società, un po' come il pettegolezzo (o la generale difficoltà a metabolizzare cambiamenti), finalizzato a conservare il presente dei costumi, la morale attuale e dunque escludente rispetto al nuovo, al diverso.
Idiota è un aggettivo forte, che indebolisce il suo oggetto automaticamente e in modo totalitario. Subdolamente, infatti, a colui che viene spregiativamente definito idiota si sottraggono le possibilità, come dire, di replica - facendo leva sulle capacità cognitive stesse, di cui si disconosce una volta per tutte il valore: gli si sottrae il terreno comune della comunicazione, le condizioni preliminari dello scambio relazionale.
E' possibile allora ribaltare il discorso. Il vero idiota, così come oggi intendiamo questa parola comunemente (stupido, ecc), è quello che sta dalla parte della moltitudine, quello che ha il potere di escludere dal discorso, quello che può usare la parola idiota e la usa con compiaciuto sadismo, quello che teme il diverso e reagisce a questa paura col meccanismo dell'abolizione. E' lui a non comprendere.
Completamente d'accordo.
RispondiEliminaDa un po' sto riflettendo su questo sadismo. Lo sto sperimentando sulla mia pelle, purtroppo.
Ma il sadismo, secondo me, è sempre più pervasivo, si infiltra sempre di più nelle pieghe di questa società. Più vado avanti più riconosco un sadismo infinito nel comportamento della "moltitudine" e non solo Denise. Persone che reputavo gentili si sono dimostrate sadiche e perverse oltre ogni limite. C'è una tendenza a distruggere concretamente l'altro. Farlo a pezzi anche se questo altro alla fine non ha recato alcun fastidio. Anzi, magari se ne sta da una parte.