tag:blogger.com,1999:blog-35554901798856120002024-02-07T19:36:56.696+01:00AnacronismiAnacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.comBlogger205125tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-88809134452108105292020-11-18T18:29:00.004+01:002020-11-23T02:11:25.960+01:00Nuovo blog<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: small;">Dopo svariate ere geologiche (dall'ultimo post ho abitato in 3 nazioni diverse, per riassumere), la pandemia ha riacceso il bisogno di scrivere cose anacronistiche senza un obiettivo che non consista nella condivisione genuina e fine a se stessa. Tuttavia, questo posto - a cui voglio molto bene - ha fatto il suo tempo. Quindi ho aperto un <a href="https://celentano-denise.medium.com/seeking-comfort-in-art-is-like-expecting-salt-to-taste-sweet-d36e39e7c1bd" target="_blank">nuovo blog, in inglese</a>. Ormai sento di abitare una sorta di area linguistica un po' apolide. Non scrivo quasi piu' in italiano, e l'inglese ha penetrato il mio modo di pensare in un modo a cui francamente non mi sento di opporre resistenza. Ma non scrivendo molto piu' in italiano sento di aver perso quel senso immediato di fluidita' nell'esprimere certe sfumature. Piu' che spaventarmi, ammetto che il processo mi intriga.</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: small;">Lo so, i blog in realta hanno fatto il loro tempo, ma anche no. Penso che solo format di questo tipo possano ospitare flussi di pensiero in modo estemporaneo, non-ambizioso, e non altrimenti collocabili. La scrittura accademica mi sta stretta, e non ho abbastanza tempo per dedicarmi ad articoli piu' elaborati nel modo che vorrei. </span></span><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: small;">Peraltro, da un'anacronista cosa ti aspetti? </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: small;"> </span></span><br /></p>Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-27787703225812493362017-07-26T13:33:00.004+02:002017-07-27T00:11:10.456+02:00Microgerarchie quotidiane<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ci sono alcune persone con cui, per relazionartici, devi sempre in qualche modo mostrare quel minimo di subordinazione che rende loro la conversazione tollerabile. Questo è possibile solo nei termini da loro stabiliti: in realtà, nessuna relazione, solo un rapporto univoco, dove tu hai sostanzialmente la funzione di conferma del loro ego. C'è come dire tutta una psicologia del ranking dietro. Niente di esplicito, sia chiaro, lo si capisce da un certo modo di fare. </span></span><br />
<a name='more'></a><span style="background-color: white; color: #222222;"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Tutto nel loro atteggiamento dice: ''non siamo pari'', oppure ''spiacente, mi concedo a pochi''. Gli costa moltissimo, per esempio, darti una qualsivoglia, minima e ridicola soddisfazione, come che ne so, quelle cose anacronistiche come essere gentili gratis, o qualunque cosa in generale presupponga il considerarti come una persona con una storia e una sua dignità: impossibile senza che te lo sia guadagnato abbassando un pochino la testa con qualche piccolo segno di sottomissione [ringraziare più del dovuto, sorridere troppo, essere sempre tu a sollecitare la relazione, ripetere qualche frase di adulazione, o semplicemente, essere la persona che loro vogliano tu sia, e simili]. Se ti concedono qualcosa, cioè se ti considerano più del minimo politico per continuare ad esserti superiori, quando capita te la fanno subito pagare. Si affrettano a ridimensionare l'azione compiuta, sempre per dire: ''ehi, comunque non credere di valere più di quanto io possa tollerare''. Il dubbio che questo estremo contegno dai tratti dominanti sia un'altra faccia dell'insicurezza - come una paura del rifiuto degli altri, o di perdere il controllo - è allora difficile da fugare. </span></span><br />
<span style="background-color: white; color: #222222; font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Queste persone si prendono licenze che - loro lo sanno - non sono per tutti. Non tutti possono, per esempio, non rispondere a una mail o a un messaggio [è davvero solo un esempio fra gli altri] o essere più scortesi del tollerabile con quella nonchalance che solo le personalità dominanti possono permettersi, e poi fare finta di nulla quando ti reincontrano, come fosse la cosa più naturale del mondo. In qualche modo, nella conversazione, devi piegarti un pochino al loro ego, quel tanto che basta per far capire che comunque non intendi mettere in discussione che valgono tantissimo. Non sia mai. </span><br />
<span style="background-color: white; color: #222222; font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ci sono intere esistenze edificate sopra questa specie di ricatto psicologico. </span><span style="background-color: white; color: #222222; font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Queste forme di micro-dominio quotidiano segnano territori, alzano staccionate, pompano alcuni ego e ne sgonfiano altri, continuamente ridisegnano gerarchie invisibili fra le persone. </span></div>
<div style="color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Talvolta faccio tutto quello che gli serve perché possano rivedere confermata la propria immagine di sé, perché penso che si tratta fondamentalmente di una debolezza e decido, in silenzio e fingendo di non vederla, di essere complice di quest'impalcatura che si sono costruiti per continuare a volersi bene. Per esempio, ho detto a un tizio che aveva tutte le caratteristiche del micro-dominante, che ha un talento straordinario: non che non penso davvero sia bravo, ma l'ho detto con il preciso obiettivo di farlo sciogliere un po', di fargli capire che poteva fidarsi di me o qualcosa del genere. Però serve a poco. La truffa di fondo rimane - il ricatto psicologico appunto - e questo rende davvero impossibile la relazione. Oltre una certa soglia non puoi andare, c'è una barriera. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Altre volte mi irrita molto, e non posso fare altro che sottrarmi alla relazione. C'è un aut aut invisibile: o sei come dico io, oppure non puoi parlarmi. Quando è così, i nostri ciaone non saranno mai abbastanza. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Mi stacco un attimo da questo microcosmo miserabile popolato da manici di scopa e ego claustrofobici, e guardando la cosa da lontano, altezza universo, ne vedo le giuste dimensioni: non posso che ridere, allora, perché loro non le conoscono. C'è fondamentalmente un errore di valutazione alla base, un fraintendimento epistemico. Magari non è colpa loro, magari glielo hanno fatto sempre credere. Forse da bambini i genitori gli dicevano continuamente ''sei speciale'', perché avevano letto nelle riviste di pedgogia che faceva bene all'autostima, chi lo sa. Eppure, funziona. Essere dominanti - qui in quel senso lì di micro-dominanti -, paga. Gli altri ci credono: credono davvero che chi crede di meritare tantissimo, di valere un sacco più degli altri, alla fine valga davvero un sacco di più e meriti di più. Il fraintendimento epistemico iniziale diventa contagioso. Gli altri credono alla narrazione che fai di te stesso, le danno i crismi della verità e la riproducono. Incredibile. Non è tutta una colossale presa in giro, in fondo? </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Particolarmente aberrante, per me, è tuttavia vedere come questa sovrastima del sé, come dire, si sciolga come neve al sole di fronte a personalità più dominanti di loro, che fanno parte della cerchia di quelli che contano e a cui i nostri manici di scopa vorrebbero tanto appartenere. In quel caso diventano degli agnellini. Inedite forme di cortesia, insospettate creatività relazionale, immaginazione sociale, empatia e solerzia vengono fuori. In fondo, c'è una paradossale coerenza in questo. Infatti, i micro-dominanti quotidiani sono tali in virtù di un preciso presupposto logico: l'idea che c'è una gerarchia legittima, il fatto che degnamente qualcuno possa occupare lo scranno dei migliori, e che ad altri sia da riservare uno spazio inferiore. La paradossale coerenza risiede nel fatto che se è vero che c'è una gerarchia, la stessa per cui io posso pretendere dagli altri forme più o meno innocue di sottomissione, allora è anche vero che al di sopra di me c'è qualcun altro cui va riconosciuto il ruolo di essere pi</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">ù dominante di me: perciò non mi resta che passare al ruolo di dominato, lo stesso che prima riservavo ad altri. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Può, qualcosa, farmi più orrore di questa, chiamiamola così, vischiosità morale? </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Il dominio è a targhe alterne per definizione: presuppone una scala, una piramide, e nella piramide la propria posizione è sempre relativa a un sotto e a un sopra. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="color: #222222; text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Sono sicura che mia nonna - una contadina dalla personalità prorompente, la cui figura quando era in vita ero troppo sciocca per apprezzare - avrebbe trovato la giusta espressione per questo fenomeno. A un tizio che faceva un po' così, diciamo, se la tirava, disse in dialetto stretto: caro mio, siamo figli dello stesso padre. Cara nonna, come dobbiamo fare? </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Io una risposta ce l'avrei. Serve in primo luogo tanta, tanta ironia. Bisogna saper ridere di se stessi. Ma sul serio, sì ridere sul serio, non per finta. Per ridere di sé, occorre tutta un'operazione guardarsi dall'esterno e vedere i propri limiti; non ultimo, occorre rilassare i nervi: gli stessi che, quando si tratta di micro-dominare, sono tesissimi.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E serve che la gratuità e del piacere reciproco vadano di moda. Serve che le persone si rendano conto, prima che sia troppo tardi, che bisogna spargersi in giro gratis, mettersi in circolazione senza il timore di perdere qualcosa, praticare la gratuità relazionale e guardare alle cose dal punto di vista del piacere reciproco, non dal punto di vista della paura di quanto il mondo possa diminuirci se gli diamo troppo spazio. E' vero: gli altri, spesso, sono una minaccia, e solo con queste tattiche di micro-dominio si riesce a contenerne il potere su di noi. Ma questa è la storia classica. Perché non cambiamo storia? Ecco cosa serve: il coraggio di cambiare storia - la storia che ci raccontiamo sugli altri, su noi stessi, e su chi sa quante altre cose. L'immagine del castello di carta non potrebbe essere, ancora una volta, più pertinente. </span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-23505993437644867742017-05-22T01:20:00.001+02:002019-02-07T19:42:27.547+01:00Capitalizzare la vita<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Quando Habermas parlava della colonizzazione del mondo di vita da parte di sfere esterne ad esso, ci aveva preso giusto. Effettivamente, sta proprio accadendo che la logica economica si sia infilata nei rapporti con gli altri e persino con se stessi, in quello che è stato chiamato il '<i>quantified self</i>'. </span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Le persone applicano nuove forme di contabilità </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">alla propria persona e alle relazioni con gli altri. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è un generale scivolamento dei rapporti umani e perfino del rapporto del sé a se stesso, nel senso dell'autopromozione generalizzata.</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> Se i confini fra il mondo di vita e l'economia hanno smesso di essere netti, gli individui diventano per così dire dei promotori di se stessi, dei pubblicitari del marchio 'sé' e le relazioni un grande mercato sociale dove il proprio valore di scambio è continuamente esposto a fluttuazioni. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Si ricorderà che i</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">n </span><i style="font-family: georgia, "times new roman", serif;">The Truman Show</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">, capita che mentre Truman si confida a cuore aperto, la fidanzata o un amico brandiscono una scatola di fagioli o un pacco di caffè mettendo la marca bene in vista, con un'insistenza innaturale e un sorriso affettato che ricorda quelli delle televendite. P</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">erché in realtà dietro quella che Truman crede essere una normale conversazione, c'è un vero e proprio show, c'è il business di quella conversazione, voglio dire il business della sua stessa vita. Difficile distinguere la pubblicità dalla relazione in sé. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">I suoi interlocutori, quando gli parlano, ammiccano a qualcosa che sta dietro di lui e lo precede. Si rivolgono a un terzo assente che è lo sguardo immateriale di chi esternamente approva e disapprova, in ultima istanza il vero protagonista di tutta la faccenda. A un certo punto, è come se ci fossimo accorti che fra le varie cose che potevamo vendere, c'era anche la vita delle persone. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non c'è bisogno di scomodare Chiara Ferragni, non c'è bisogno di essere tecnicamente </span><i style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">lei </i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">per provare</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> quanto sto dicendo, benché il suo caso sia effettivamente emblematico di quel certo fenomeno che chiamerei capitalizzazione della vita. Il caso mostra che la vita non è più quella cosa che succede fra la nascita e la morte, la vita è un capitale che può essere investito nel mercato e fruttare profitti <i>in quanto </i>vita. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ho guardato un paio di video di questa persona di cui ignoravo l'esistenza, ho visto chiaramente quel tipo di approccio che è alla base di ogni business: una gestione razionale, un management strategico del prodotto-sé in vista del profitto, dalla spontaneità accuratamente studiata. Un profitto simbolico, oltre che economico. Come l'imprenditore ottimizza le risorse e razionalizza le spese in vista del profitto, così o</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">gni momento di vita è suscettibile di essere confezionato e venduto. Ricordo, per esempio, la ragazza riprendersi mentre mangia dei pop corn di fronte a un film. Non si può guardare semplicemente il film, occorre capitalizzare quel momento, che non deve andare sprecato. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Qui l'azienda coincide con l'imprenditrice, con il capitale e con il prodotto. Chiara è l'origine, il fine, il mezzo dell'intero ciclo economico autogenerato. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Un po' come quando di fronte a un evento, le persone sentono il dovere di prendere il cellulare e scattare foto o fare video: il momento va capitalizzato. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ebbene, dicevo, non c'è bisogno di riprendere ogni istante della propria vita e caricarlo su youtube per confermare il meccanismo: ci siamo tutti già dentro. Il sistema sta diventando sempre più complesso e i processi di selezione non possono più accontentarsi delle vecchie credenziali. In un'epoca in cui persino il valore della laurea, del concorso superato, delle credenziali accumulate, inclusi i 'mi piace' autorevoli di gente che conta e che può sempre fungere da sponsor del tuo prodotto-self, viene continuamente deprezzato a causa di una concorrenza sempre più spietata, </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">occorre continuamente dimostrare di valere, occorre riconquistare ogni giorno, ogni secondo la propria titolarità al mi piace sociale ed economico. C'è tutta una geopolitica del mi piace che ruota intorno agli individui, per cui quanto è stato già acquisito non è più sufficiente per valere: piuttosto, come in quelle aziende che pagano il personale non in base alle ore di lavoro svolto ma in base ai risultati della produzione, allo stesso modo bisogna continuamente dimostrare di meritare la ricompensa perché niente è garantito. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Questo non accade più solo in quello che consideriamo il 'mercato del lavoro'. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Penso che fondamentalmente la logica del </span><i style="font-family: georgia, "times new roman", serif;">The Truman Show</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> sia ormai roba di tutti i giorni. Non so voi, ma io ho abbastanza di frequente questa stramaledetta sensazione, quando mi si parla, che mi si stia vendendo un prodotto. Si respira un'aria viziata di televendita anche dove meno te la aspetti. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ho anche la sensazione, con diverse persone, che mi si chieda in qualche modo una performance. Se soddisfo i requisiti richiesti dalla performance - es. battute brillanti, dire cose intelligenti, non annoiare, dire o non dire le cose previste a seconda del tipo richiesto, ecc. - posso ottenere il 'mi piace', cioè passare il test per mantenere il rapporto; altrimenti, mi si toglie il like-amicizia. La gente non ha tempo da perdere, essendo il tempo un capitale anch'esso da non sprecare. Del resto lo diceva già Max Weber, che il proprio del capitalismo è di non sprecare via nulla. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ogni persona è un set di funzioni da cui si può estrarre quanto serve, e il consumatore della relazione deve poter esprimere la propria valutazione circa la persona-prodotto in questione, contribuire a stabilirne il valore di mercato influenzando la domanda e l'offerta. In questo contesto, l'invisibile domanda che aleggia fra le persone sembra essere: </span><i style="font-family: georgia, "times new roman", serif;">cosa posso capitalizzare di te?</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> </span></div>
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<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">In questa generale tendenza a declassare le relazioni sociali a 'portfolio di contatti' [Savage, 2014], non mi stupisce che abbiano persino provato a tirare su <a href="http://www.ilpost.it/2015/10/06/lapp-per-recensire-le-persone-non-si-fa-piu/" target="_blank">un'app</a> che, un po' come l'equivalente sociale di Trip advisor, raccoglie le recensioni delle persone sulle persone, con tanto di stelline degli utenti. Anche se l'iniziativa si è rivelata un flop e ha sollevato molte polemiche, essa è sostanzialmente una rappresentazione fedele dello spirito del tempo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">In questa mipiaciocrazia non si sfugge alla logica della performance persino nei rapporti più o meno amicali. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non so se avete mai pensato che i profili facebook delle persone, talvolta sembrano dei veri e propri curriculum vitae. Espongono le competenze del candidato in modo un po' meno formale del solito, ma il succo è lo stesso. Ci sono persone che curano il profilo nei minimi dettagli, non solo perché deve coincidere con il proprio sé ideale, ma anche perché, dietro, vi è una scaltra consapevolezza strategica circa la vendibilità del prodotto sé e la fondamentale natura di mercato delle relazioni che è facebook. <i>Non ci si può rilassare</i>. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Attenzione, il fatto che parli di social e video non significa affatto che il fenomeno sia limitato alla cosiddetta 'on-life'. Tutt'altro. In quest'economia reputazionale, occorre in generale darsi continuamente da fare per capitalizzare micro-approvazioni da reinvestire nel mercato delle relazioni. Le persone con più mi piace, nel senso extra-social che ho detto, possono infatti godere di una posizione privilegiata nel mercato che dà loro accesso a una serie di vantaggi ad altri preclusi. Accade perciò anche quel curioso fenomeno, per cui le persone selezionano i loro interlocutori in base al mi piace capitalizzato. Tornando all'esempio di Ferragni, ho notato nei suoi video la presenza di tale Rovazzi, quello che canta le canzonette. Rovazzi non è esattamente Brad Pitt, né vanta particolari doti canore, eppure può far parte della vita-spettacolo di quella ragazza: cioè nel calcolo costi-benefici, lei non teme che la sua presenza abbassi il suo tasso di mipiaciabilità, il suo valore di scambio. Com'è possibile? Semplice: Rovazzi ha a sua volta tanti mi piace, e tanto basta. Ergo, l'unico metro sovrano è quello del pollice alzato. Mi viene una battuta sul passaggio evolutivo dell'umanità dal pollice opponibile al pollice alzato, ma passiamo oltre. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Quello che voglio dire è che è come se gli individui fossero in un certo senso costretti ad accettare questa logica per non soccombere. La lotta per l'accaparramento delle risorse, risorsa mi-piace inclusa, si gioca oggi anche con queste armi. Le risorse come sappiamo sono poche e per accaparrarsele occorre mobilitare tutti i mezzi, anche quelli che in precedenza afferivano a una sfera ben distinta, per così dire riparata da questa logica. Come le aziende devono continuamente rendersi competitive in un mercato dalle leggi implacabili che, se non si tengono al passo, le esclude inesorabilmente, così gli individui devono imparare a gestire strategicamente le proprie relazioni e i propri mi piace, devono essere manager del proprio prodotto-self per non compromettere il loro valore di scambio e anzi rilanciarlo continuamente. Bisogna saper rinnovare il marchio in linea con le fluttuazioni del mercato, mantenerlo fresco, giovane, sempre appetibile. E' il lato più oppressivo del riconoscimento. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Quest'estensione del dominio dell'economia nelle altre sfere, persino le più intime - si potrebbe dire lo stesso per l'amore? direi di sì - ha raggiunto livelli del tutto nuovi, di fronte ai quali ci troviamo impreparati. Quel che stupisce è che f</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">ondamentalmente, è una logica accettata da tutti. E' una specie di regola non detta, che invisibilmente approva e scarta, conferma ed elimina; una regola non democratica la cui validità paradossalmente ci affrettiamo a sancire ogni giorno. Quelli che non la accettano vengono semplicemente tagliati fuori, e la soglia delle aspirazioni a cui possono ambire è segnata. In questo contesto, chi vince è chi è più bravo a gestire, il più bravo a capitalizzare la vita e le relazioni, il più abile a razionalizzare la propria azienda-sé - la dote premiata è essenzialmente di tipo manageriale. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Si noti che persino la contestazione di questa logica è essa stessa suscettibile di farsi prodotto. C'è il prodotto 'contestazione dell'economia', che può essere perfettamente incluso entro lo stesso ciclo economico contestato, per esempio; c'è il prodotto 'persona che critica la logica dell'economizzazione delle relazioni' anch'esso vendibile; e così via. Insomma, la domanda resta sempre la stessa, e cioè: in un contesto del genere, come confutare Hobbes?</span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-16642384050729815652016-10-09T12:16:00.000+02:002016-10-09T12:16:25.328+02:00Luciano Bianciardi - Fatti vedere<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Da <i>La vita agra</i>, Feltrinelli 2014, p. 196:</span></div>
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<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: "garamond" , serif; line-height: 17.1199989318848px;">«</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E poi mi sono accorto che andando in centro trovi sì qualche conoscenza, ma ti accorgi subito che la tua conoscenza è un fatto puramente ottico. Non trovi le persone, ma soltanto la loro immagine, il loro spettro, trovi i baccelloni, gli ultracorpi, gli ectoplasmi. Nei primi mesi dal loro arrivo in città forse no, forse resistono e hanno ancora una consistenza fisica, ma basta un mezzo anno perché si vuotino dentro, perdano linfa e sangue, diventino gusci. Scivolano sul marciapiede rapidi e senza rumore, si fermano appena al saluto, con un sorriso scialbo (e anche all'esterno, se guardi bene, sono già un poco diversi, cioè impinguati e sbiancati). Dicono: "scusa ho premura, ho una commissione, scappo" e subito scappano davvero riscivolando taciti sul marciapiede. Al massimo arriveranno a dirti, stringendoti la mano perché tu gliela porgi, proprio per sentire se ci sono in carne e ossa o se invece è soltanto un'immaginazione tua, o un fantasma, al massimo ti dicono: "Fatti vedere".</span></div>
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<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Dentro le ditte è la stessa cosa: uno che magari al mattino ti ha teletafanato per il lavoro, lì pare sorpreso che tu arrivi proprio col lavoro che ti aveva chiesto al mattino. [...]</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non vedi l'ora di essere per strada, dove almeno le gente che passa non la conosci affatto, a parte quei gusci che dicono: "Fatti vedere". Ma che cosa volete vedere, che cosa volete, voi ectoplasmi? A voi, da vedere, al massimo darò la mia fotografia, me ne faccio fare parecchie copie e ve la distribuisco, così guarderete quella. Ai più autorevoli toccherà stampata su un ovale di porcellana, da appendere al muro sotto un lumino e il vasetto dei crisantemi.</span><span style="font-family: "garamond" , serif; line-height: 17.1199989318848px;">»</span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-31635816950502157872016-05-21T22:40:00.005+02:002017-05-22T09:19:20.081+02:00Sei cose impossibili<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Intendo la mancanza di fantasia nell'accezione più ampia, come disposizione dell'animo piuttosto che come effettiva capacità della mente. Sono infatti convinta che la fantasia sia una qualità morale prima che una capacità cognitiva. Non è saper immaginare bellissime fiabe, è come dire, riuscire ad aprire delle porte nella vita di ogni giorno. </span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; text-align: justify;">La fantasia afferisce alla sfera del possibile e dell'impossibile, a una dimensione che ontologicamente potremmo associare al non luogo (proprio come l'u-topia). Riguarda in ogni caso ciò che non esiste, per tale ragione, se la intendiamo come qualità morale, dobbiamo considerarla come disposizione a non accontentarsi di quel che è: la fantasia è intrinsecamente ribelle. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; text-align: justify;">La fantasia è in questo senso una figura della libertà. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; text-align: justify;">La fantasia dice: chi l'ha detto che questo è quanto. No! Ci aggiungo dell'altro. Si rifiuta di sottostare alla realtà come prescrizione che dice, è tutto qui. </span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E ha una sfumatura di dominanza. Si prende uno spazio, si arroga tutta una regione illegittima (certo non ha titolo di esistenza), è una sottile forma psicologica di espansionismo territoriale. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Certo può essere anche vigliacca, ma mi fa talmente simpatia che non me ne importa. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Le mie fonti sono autorevoli.</span></div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Alice rise: "E' inutile che ci provi", disse; "non si può credere a una cosa impossibile."</i></span></blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"></span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">"Oserei dire che non ti sei allenata molto", ribatté la Regina. "Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz'ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione." </span> </i></blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"></span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">(Lewis Carroll, <i>Attraverso lo specchio</i>)</span></blockquote>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">La colgo sempre segretamente, con una specie di intimo dolore, questa feroce e impunita tendenza all'ovvio nelle persone. I tutori dell'ovvio, cioè gli esponenti delle istituzioni preposte al mantenimento della grigiosità della vita, stanno sempre attenti a che tutto si attenga all'esistente in quanto norma. Il mezzo con cui, in modo efficiente, perseguono il grigio obiettivo, è quello della delegittimazione, vera e propria arma di distruzione di massa dei possibili e degli impossibili. Dove con impossibile intendo: un possibile troppo delegittimato. (Fra il possibile e l'impossibile, spesso, la linea divisoria è costituita dalla de-legittimazione: se le persone <i>credono </i>che x sia impossibile, certo lo sarà). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> Si narra che a due signore impellicciate che ebbero a criticare un suo spettacolo, Carmelo Bene rispose qualcosa del tipo: <i>non capite un cazzo di teatro perché a letto non sapete godere!</i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ebbene, per associazione: la mancanza di fantasia è una forma di frigidità interiore, di chi ha capito poco della giocosità di questo gioco che è la vita. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Forse la mancanza di fantasia è un altro nome per dire mediocrità. Mediocre, per me, non si oppone a eccellente, ma a fantasioso. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E' fastidiosa almeno quanto la fantasia farlocca, cioè quell'originalità ostentata miseramente dipendente dal giudizio altrui, cioè</span><i style="font-family: georgia, 'times new roman', serif;"> </i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">voglio dire </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">l'</span><i style="font-family: georgia, 'times new roman', serif;">originalità come gergo</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Guardiamoci da fuori. Siamo noiosi. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Contro l'ovvio dei popoli, alleniamoci a sei cose impossibili al giorno. Facessi la maestra, sostituirei il nobile e gagliardo esercizio dell'impossibile alla ligia preghierina del mattino. Per questo ascolto sempre con massimo interesse e solenne attenzione le minuziose descrizioni di mio figlio circa mondi, personaggi e progetti che non esisteranno mai. La mia ingenua convinzione pedagogica è che l'impossibile è una cosa seria e che questo dev'essere chiaro sin dall'inizio. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">La fantasia è audace. La fantasia è il mio anacronismo preferito: non solo è fuori luogo, è anche fuori tempo. Cosa c'è di più inattuale di una cosa che non esiste? </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Per continuare a scomodare Carmelo Bene - la sua casa è l'o-sceno, al fuori dalla scena, che è in definitiva la parte più interessante della scena...</span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-10942948667683646492016-03-20T15:24:00.000+01:002017-05-22T09:19:38.392+02:00Denis Villeneuve, la morale dell'emergenza<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">L'ultimo film di Denis Villeneuve, Sicario, è una specie di discesa nei sottoboschi morali della società, dove i confini fra l'istituzione e il crimine si rivelano labili al punto di un paradossale compromesso - pena il venir meno dei precari equilibri nella gestione del territorio, del tutto affidata ai loro rapporti di forza. Assistiamo alle vicende attraverso lo sguardo di Kate, talentuosa agente dell'FBI che viene coinvolta in un'indagine per la quale non era preparata: siamo nelle zone del Messico sottratte al controllo dello Stato, in cui vige un sistema parallelo di potere nelle mani dei re della droga. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<u style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><i><a href="https://www.alfabeta2.it/2016/03/07/10979/" target="_blank">articolo completo</a></i></u></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-46252787853185226882016-03-06T12:29:00.000+01:002017-05-22T09:20:57.435+02:00Libido accademica<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E' più forte di me: apprezzo spesso gli articoli un po' decadenti di Alessandro Piperno - m</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">olto meno i suoi romanzi -, anche quando non sono d'accordo con lui. Ha un certo gusto per il sensazionalismo, d'accordo, ma apprezzo sempre quel suo tentativo di rendere omaggio a una cosa che mi sta molto a cuore: quella cosa per cui <i>se non ti si ritorce contro, non è filosofia</i>. </span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Per esempio, in un articolo recente che non trovo più Piperno - che è docente universitario oltre che scrittore - raccontava di quei convegni in cui tutti partecipano con aria interessata e super pomposamente intellettuale, ma il cui fine ultimo è in verità semplicemente quello di. come dire, accoppiarsi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ora, riconosco a questo pezzo di Piperno di sollevare un aspetto importante. Il fatto cioè che gli incontri accademici talvolta sono un gran canale di sfogo della libido più o meno repressa degli astanti. L'argomento è un po' nicciano, la vecchia idea cioè che le argomentazioni super raffinate dei filosofi non sarebbero che emanazioni sublimate di un interesse personale ben dissimulato. Ma io ho sempre problemi con gli argomenti nicciani, perché ho la necessità di riconoscere legittimità ai nostri discorsi morali. Non solo: penso che effettivamente una<i> reductio ad ficam</i> non renda giustizia a quell'elemento morale e cooperativo che, nei rari casi in cui non ci ammazziamo a vicenda, esiste. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Eppure, non posso turarmi le orecchie e fingere che quelle affermazioni non abbiano un minimo di senso. C</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">ome non notarlo? Ora, senza voler affermare che tutta l'accademia è un avamposto della libìdo sessuale dei partecipanti, perché questo genere di riduzionismi va bene per frasi a effetto e filosofie sensazionalistiche, una cosa è certa: quando vedi questi regazzini e ragazzoni belli di mammà con la pelle grondante di ormoni a tutte le età, fremere per farsi notare con una domanda intelligente, un intervento super articolato, un'osservazione minchioarguta, proprio non ci riesco a trattenere quel pensiero, accompagnato da un sorrisino carico da un misto di pietà e sarcasmo. Magari non vogliono fare sesso tout court, magari il fine ultimo non è solo l'erezione, ma indubbiamente quello che cercano è una forma di approvazione, la loro è un'esibizione per fini di autostima: non gli interessa davvero la risposta alla domanda, gli interessa sollevare la soglia del loro tasso di</span><i style="font-family: georgia, 'times new roman', serif;"> trombabilità accademica</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non generalizzo raga, la clausola "non sempre" me la accollo tutta. Ma guardatevi intorno, se bazzicate ambienti con pretese - e sottolineo pretese - intellettuali. Una preoccupante percentuale variabile di genti che prendono pubblicamente la parola può essere ricondotta a questa sfera. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">D'accordo. Finché è una o due volte passi, la vita si evolve. Ma quando l'osservazione di codesti scenari antropologici si fa più frequente, è facile che passi da un tutto sommato benevolo occhio nicciano - <i>che teneri</i>, pucci pucci, pensi - ai pensieri omicidi. Cominci a vedere il ridicolo ovunque, e il ridicolo diventa grottesco quando nessuno mostra un po' di sense of humour. Certe volte penso di essere una disadattata anche per questo, perché ho una soglia di percezione del ridicolo troppo bassa, e quando vedi troppo il ridicolo nel mondo, questo crea necessariamente una distanza col mondo stesso. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Stanno tutti lì a prendersi sul serio, come se credessero davvero a quello che dicono (in molti casi benevole stronzate); d'accordo, c'è chi effettivamente ci crede, questa sorta di specie protetta di ggente che più che farci, ci è. Ma nei casi in cui mi imbatto ultimamente, devo dire che prevale il tipo contrario. Quanto può seccarmi tutto ciò? Allora penso: perché tutti questi siparietti? Diciamocelo chiaramente. Limoniamo liberamente ai convegni. Dài.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">In realtà penso che questo avvenga quando i discorsi che si fanno sono di bassa qualità, per cui si cerca di compensare con la mediazione dei genitali. Quando i discorsi sono di un certo livello, e fatti da gente di un certo livello, l'arrapamento/il rapimento è solo a livello intellettuale. Può essere? Ipotesi. Ma ovviamente è raro: pochi, pochissimi sono quelli che sono capaci di elevarci coi loro discorsi. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Per inciso, dice che esiste un nuovo tipo sessuale, il <a href="http://www.urbandictionary.com/define.php?term=sapiosexual" target="_blank">sapiosexual</a>, ma ehm questo è un altro discorso. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Ma chi sono io, la piccola fiammiferaia? L'incontaminata che guarda dall'alto del promontorio della sua superiorità morale quanto gli altri sono limitati? Certo che no. Sono una narcisista anch'io raga: chi più chi meno lo siamo tutti. Ciao.</i></span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-90754750672932290122016-02-07T20:04:00.002+01:002016-02-07T20:52:58.474+01:00Geopolitiche del gusto<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><b><i>Al di là dello snob e del poveretto</i></b></span></span><br />
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ogni volta che qualcuno ostenta la musica che ascolta, le sue letture, i posti che frequenta, i suoi consumi culturali in quanto indiretta emanazione dal suo status, il mio pensiero va alla buonanima di Pierre Bourdieu: mentre ci si crede i più very autentici, i più fighi di tutti, quelli con i gusti <i>giusti</i>, resta che ciascuno tende a esibire dei consumi culturali come distintivo di classe (leggi: <i>habitus</i>). </span></span><br />
<a name='more'></a><br />
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Se ci stai attenta ti vedi proprio davanti la crème de la crème empirico-fattuale dei risultati di mezza sociologia di fine Novecento. </span></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è quello che eh no solo musica di un certo tipo, quell'altra che oh eh solo posti di un certo tipo, quell'altro ancora che dice raga quello che conta sono i sentimenti torniamo all'autentico (ndo sta l'autentico?), quell'altro ancora che ti dice, la vita vera è in mezzo alla natura non nei libri, e ancora un altro che dice, no guarda io il rock quello figo anni Settanta, quello che critica Tiziano Ferro e Gigi D'Alessio e Sanremo (per forza), quell'altro ancora che invece Sanremo lo segue e lo commenta pure eccetera. In questo contesto chi finisce per distinguersi davvero è chi si prende</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> gioco di tutto il meccanismo, pur facendone parte - cfr. Zalone. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Un tizio che voleva accreditarsi ai miei occhi come "colto", l'altro giorno mi ha detto che Baricco fa schifo e che ama Pasolini. "Giura!", gli faccio, incredula di fronte a gusti tanto originali. </span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Il "mito Pasolini", quale migliore banco di prova per la buonanima di Bourdieu?</span></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">L'esercito dei pasoliniani: mettetegli davanti uno che distrugge Pasolini e vedete cosa succede.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non parliamo poi dei walterveltronismi di una sinistra che si autopiace nell'agiografia dell'anniversario. </span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ci sono quelli che criticano i cinepanettoni e quelli che li guardano. </span></span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E' stato già detto, per caso, che riabilitare Zalone è più snob che derubricarlo a cinepanettone? (Sì).</span></span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E di "io non ho la televisione", vogliamo parlarne? (Io non ho la televisione).</span></span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Poi a un certo punto sono arrivati gli Stato Sociale, sai quella canzonetta che manda tutti affanculo - fa fico, sempre trendy l'affanculo - ma poi alla fine anche quelli hanno finito per palesarsi in tutto il loro paternalismo parasinistroide. </span></span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Una tizia sentiva il bisogno di sottolineare che lei non legge Fabio Volo. Orwell, Bukowski e Oscar Wilde invece sì. </span></span><br />
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">[...]</span></span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="69k5-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è un tipo che conosco - non azzarderei la parola "amico" - che va alle mostre, a tutte le mostre. Ivi si somministra copiosi selfie. Però non dei selfie con le labbra a culo di gallina, no, nziamài! dei selfie tipo dove lui è in un angolo e fissa l'orizzonte con uno sguardo intriso di profondità intellettuali di sinistra. </span></span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E rieccoci sempre là: nella trappola dell'avere l'aria di quel che si è. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Un esempio eloquente: gli hipster. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Del resto, cosa c'è di più snob della parola "hipster"? </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non c'è scampo.</span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è un sacco di paternalismo in tutte queste esibizioni del gusto culturale, e quanti luoghi comuni nella pretesa tutta umana della <i>distinzione</i>. Perché non è solo paternalismo, è soprattutto un meccanismo di identificazione sociale che va a innestarsi sul terreno della, come dire, geografia politica delle classi. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Questo capodanno. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Mentre voi festeggiavate l'avvento del nuovo anno nelle vostre rispettive modalità io mi facevo esplodere Bourdieu nelle mani. Mi spiego. In città c'erano le solite quattro cose deprimenti distribuite male. Decidiamo di andare un po' in giro senza meta - io, se possibile, a una certa ciao è stato bello tante buone cose a te e a tutta la famiglia. Ma ecco che sulla stessa via a distanza di poche spanne ci sono. 1) Un reading in una libreria; 2) discoteca house all'aperto con una tizia che boccheggia al microfono e genti di varia taglia ancheggianti sui cubi. In realtà con gli amici si era convenuto: reading. Ci metto piede e mi sale dalle viscere della terra uno sbadiglio così grande che per poco non mi facevo mezzo 2016 sull'asfalto. Allora oso un - raga, per favore, per carità diddio andiamo dai truzzi*. Qui ho i coglioni a terra.</span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Completamente libera, finalmente, da ogni sorta di idea normativa di divertimento, penso a quello che voglio io per me ed effettivamente mi sento frizzante e libera inside in un modo che quelli della libreria, brave genti e volenterose per carità, mannaggia a me non mi restituivano. Mi serviva una situazione in cui poter essere cretina, perché in quel momento l'appesantimento mi aveva provocato tipo una reazione, una friccicosità reattiva, perciò ecco che ci imbuchiamo fra genti che danzano </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">musiche anni Ottanta in stile Giuni Russo (respect) e Festivalbar prima del fallimento con Mediaset, quando Amadeus aveva ancora i capelli lunghi. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Abbiamo tenuto nascosto tutto agli amici intellettuali. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Dire che mi sono skassata sarebbe esagerato, ma ad ogni modo, la friccicosità è stata esaudita ma questo non conta. Per favore mettetelo nella prefazione del mio prossimo libro, </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Al di là dello snob e del poveretto</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">. Andiamo oltre. Basta alto e basso, snob e poveretto. Semo tutti stronzi come ve lo devo dire. Tutta 'sta pretesa di essere meglio degli altri esibita a mezzo consumi ci rende tutti solo più ridicoli. Oltre che fastidiosamente, pomposissimamente, trombonescamente <i>paternalisti</i>. </span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="69k5-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">(E se questo fosse altrettanto snob che riabilitare Zalone? Non riesco a spiegare bene questo passaggio). </span></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="2h9bc-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="2h9bc-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Dicevo appunto Zalone. Non mi frega in sé e per sé di commentarlo, mi interessa il suo bourdieuismo inconsapevole applicato. Rivelatore in tal senso è stato per me il video della presentazione con De Gregori. Ci ho visto l'intelligenza che sfotte i codici status-correlati passatemi il termine - al punto che puoi permetterti di fare il verso a un cantautore che ascolterebbero quelli del reading a capodanno per intenderci, ma io faccio la tua canzone in chiave Gigi D'Alessio, e lo faccio davanti a te e ti faccio pure ridere di te stesso. Ti accompagno per mano, cioè, a prenderti per il culo da solo. Prendi tutte le manfrine paraculturali che abbiamo costruito intorno ai poli destra e sinistra, tamarro e distinto, shakeralo con una sprizzatina di Pierre Bourdieu e di retorica dell'italiano medio, spaghetti e mandolino, ed eccoti Checco Zalone.</span></span><br />
<span data-offset-key="2h9bc-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"></span></span>
<span data-offset-key="1ud7a-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Ciò detto, nel paese che manda al cinema solo certi "registi col posto fisso" (Mancuso) e la concorrenza si limita a gente come Ferzan Ozpetek, appena fai una cosa mezzo più inedita sbanchi per forza. </i></span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/xF0dDkBNYPM/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/xF0dDkBNYPM?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/4fiuOwFf1LA/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/4fiuOwFf1LA?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br /></div>
<div class="_45m_ _2vxa" data-block="true" data-offset-key="1ud7a-0-0" style="background-color: white; color: #141823; direction: ltr; line-height: 18px; position: relative; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="1ud7a-0-0"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>*parola figlia della geopolitica del gusto per cui snob VS tamarro. </i></span></span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-1365086734150911862016-01-21T22:17:00.002+01:002017-05-22T09:21:46.525+02:00Microresistenze<div style="text-align: justify;">
<i style="font-family: georgia, 'times new roman', serif;">[Ho scritto questo post nell'ottobre 2014. Non l'ho mai pubblicato perché lo giudicavo troppo smieloso, tendenzialmente banale, forse paternalistico e certo oggettivamente insopportabile. Anche ora, a rileggerlo, provo un certo fastidio. Tuttavia, devo prendere atto che si tratta di uno dei post che più spesso mi tornano in mente quando parlo della vita con le persone. Vorrei dire loro: "però ecco, vedi, ci sono le microresistenze" e spiegare nel dettaglio che cosa intendo. Perciò ho capito che il post riguarda qualcosa che in generale ritengo molto importante nella vita. Per questo voglio essere indulgente sui suoi risvolti diabetici].</i><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Poi torno alla consueta acidità, giuro. </i></span><br />
<br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Eravamo intorno a un tavolo, e dopo esserci
raccontate, in quattro, i rispettivi disastri, eravamo giunte alla
conclusione che: "<i>è tutto una merda</i>". </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">La
più propositiva era L. Io, se posso fare una classifica, stavo al
secondo posto. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
<a name='more'></a><br /><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non riesco a godere della compagnia di persone troppo disincantate, che hanno rinunciato a tutto, anche a innamorarsi ancora - anche se, magari, ne hanno tutti i motivi. E non riesco a godere della compagnia di persone ancora troppo illuse, disposte ad attaccarsi ancora a qualcosa che fallirà di nuovo. Le persone positive e le persone negative, in qualche modo mentono: hanno deciso che è tutto di un colore, ma io voglio le sfumature e mi aspetto sempre l'inaspettato. In questo ho probabilmente torto.<i> </i>Allora diciamo che <i>decido deliberatamente di volere avere torto.</i></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">(La realtà non è mai solo bianca o solo nera. Spesso è giallina). </span><br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Abbiamo chiacchierato amabilmente e riso un po', ma quelle risate avevano un retrogusto amaro: tanto, <i>è tutto una merda</i>, era il pensiero retrostante, sottile e invisibile, che spadroneggiava in silenzio nell'intimo cantuccio di ciascuna.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Sicché tutto
l'entusiasmo con cui mi ero approcciata alla serata - volevo proporre l'ennesimo progetto, l'ennesimo dai-ce-la-faremo, l'ennesimo insensato tutto andrà meglio prima o poi - si è scontrato così con
l'inevitabile oggettività della tristezza. Un tipo di tristezza
particolare: è quando non hai più voglia di partecipare, di credere in
nulla, di darti da fare per, perché lo hai già fatto tante, troppe volte e hai
visto che non è servito a niente. Che non ti immaginavi di arrivare a questo punto dopo averci messo tantissima energia, tutta un'energia che non puoi raccontare e che adesso è come sparita, puf, non esiste più e sei spiazzata, e non sai dove sbattere la testa. Non è il mio caso: almeno, non ancora. Ripeto: spero di non arrivare mai a quel punto. Ma è forse questo che s'intende con crescere? E' allora vero che crescere è rassegnarsi?</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Chi restituisce, che fine fa, tutta l'energia che ciascuno mette nelle proprie lotte? Quanto si spende per perseguire i propri desideri, per non tradirsi mai, per guadagnarsi il famoso "diritto alla felicità" di cui si parlava due secoli fa? Allora qualcuno aveva ancora da promettere qualcosa...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Senonché dopo lunghi discorsi sul futuro, sulla politica, sul burrocacao, L. mi parlava di una scena che aveva visto la mattina. Era in
spiaggia e c'erano due genitori con bambino che giocavano a palla. Ok,
ho pensato subito: seh vabè, mulino bianco. Invece lei mi ha detto no
no, dovevi vedere, erano veri. Anche rozzi in certi atteggiamenti, si
insultavano benevolmente, parlavano in dialetto, io li ho trovati
fantastici. Non riesco a spiegarlo, mi ha detto L., ma per me è <i>quello il
punto</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Con questi passaggi sono giunta a
chiarirmi un pensiero che ho sottotraccia da tempo, ma che non riuscivo per prima a formulare a me stessa, vuoi per la pregiudiziale mulino bianco,
vuoi perché talvolta mi sembra che parlare di bellezza e felicità in un mondo
che va a rotoli mi sembra faccia lo stesso gioco del potere. Ma c'è
qualcosa di più profondo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Nel mezzo del dolore, della meschinità, delle delusioni, della povertà, del degrado, del disincanto, si costruiscono spazi di microresistenza. E' quello che, secondo me, voleva dire tra le altre cose Rosi con Sacro GRA. E' tutto una merda, continuerà a essere tutto una merda, ma possiamo costruire spazi di microresistenza. Piccoli, disincantati spazi di libertà. Angoli di non estorsione e di non finzione, quasi rubati al quotidiano, sottratti alla deformazione generale. Momenti di non colonizzazione del brutto e del merda. Esperienze sconnesse, imperfette, ma vive e reali di microverità. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">(Adesso possono partire i violini, grazie).</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Parafrasando Adorno, sì: il tutto è falso. Ma nel tutto falso degli spazi di microresistenza, di microverità, sono possibili. Indispensabili. Diceva Fortini - e grazie a Matteo per avermelo ricordato - che "non si dà vita vera<i> se non</i> nella falsa". </span><br />
<blockquote class="tr_bq">
<h1 class="quoteText">
<span style="font-weight: normal;"><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; font-size: small;">“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se
ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i
giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte
fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige
attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e
cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli
spazio.” [Italo Calvino, <i>Le città invisibili</i>].</span></span></h1>
</blockquote>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">La felicità non è un'entità ontologica che sbrilluccica di luce propria, dai contorni netti, gli stessi di un oggetto che possiamo vedere e toccare. La felicità credo che somigli di più a una di quelle sensazioni contraddittorie che ci attraversano senza presentarsi con una carta d'identità, con un nome e cognome, in modo che si possa riconoscerle distintamente. Come tutte le cose della vita, non è mai uniforme, univoca. La vita è sempre ambigua, sfuggente, e pure stronza. Così la felicità. La felicità è uno stato d'animo informe, pronto a tramutarsi in altro, è una zona di passaggio appena palpabile fra le continue metamorfosi di ciascuno. Non è altro, non è assolutamente nient'altro...Facciamocene una ragione.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E allora pensi a quelle cene in allegria che i tuoi vicini stranieri organizzano d'estate in piazza, ascoltando musica, ridendo e ballando, perché hanno capito che la merda che si vive ogni giorno non è un buon motivo per impedirsi di continuare comunque a ballare. Oppure pensi a quelle conversazioni tra anziane, che si fanno compagnia, perché è tutto un farsi compagnia. Quegli abbracci che arrivano così, gratis, un attimo prima del precipizio e che in fondo non fai che cercare sempre quello, un abbraccio, un senso di casa e di accoglienza. Pensi ai discorsi di A., che si entusiasma a parlarti di fideussioni e diritto tributario, e provi a resistere ad ascoltarlo senza sbuffare - e pensi, quanto è buffo quando piega la bocca il quel modo. Pensi a tuo figlio, a quando lo sorprendi con un dito nel naso e lui che si nasconde, senza troppa convinzione; oppure quando lo vedi e ti sembra già un ragazzone, te lo immagini adulto andare incontro al mondo pieno di vita. O a quelle domeniche mattina, quando il sole è forte e questo dev'essere per forza la risposta, perché è troppo bello e tutta l'energia del sole sembra che tu in qualche modo debba ripeterla.</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> Pensi agli scherzi di quell'impiegato delle poste, che si vede benissimo che non ne può più di stare allo sportello e allora delizia le persone col suo umorismo scanzonato, e chi parla con lui può distrarsi un attimo dalla merda, alleggerirsi l'umore, togliere un po' di nero al quadro fosco che ha davanti. Pensi a quando, insieme alle tue sorelle, prendi in giro tua madre per le sue bizzarre manie, e lei cerca di difendersi trattenendo una risata. Pensi a quando trovi la poesia giusta, la riga giusta, il momento giusto. Pensi a quei momenti di buon umore immotivato, quando il sacro fuoco del cazzeggio ti coglie e ti friccica tutta una voglia di andare avanti comunque, anche dopo l'ennesimo calcio nel sedere. Perché continua a esistere la musica, la tua musica preferita, che magari cerchi di ripetere con la chitarra, male ma che importa. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E poi c'è il mare, capito? C'è il mare. Rendiamocene conto... Può essere fare l'amore senza pensare a niente. Il gioco in tutte le sue forme. Ridere insieme dopo la tensione, allentare i nervi trovando un contatto. Può essere perdere tempo a guardare un bellissimo paesaggio mentre sei in ritardo, una cosa solo tua. Può essere un bicchiere di vino in compagnia di persone semplici e libere, una sera di primavera, senza l'ansia del lunedì, lontano dalle performance. Ma può essere anche quando ti arrendi, quando decidi che non hai tanta voglia di lottare. E fai spazio alle pause, senza l'ansia di ricominciare, spegnendo un attimo l'interruttore senza chiederti quando lo riaprirai. Accetti che non ti va tanto di parlare, non ti va di stare a dire, di avere un'opinione, di piacere. Non ti va, e lasci che questo silenzio informe ti scivoli addosso, paradossalmente ritemprante...</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non posso continuare: di certe cose non si può fare un elenco.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Spazi di autenticità, di emozione e condivisione, quotidiani, dove si è se stessi e nulla è perfetto, ma stringiamo tra le mani un momento di non alienazione, di non finzione, di non strategia e calcolo e opportunità e. La cosa più straordinaria, in questo, è che sono spazi potenzialmente intoccabili, potenzialmente inaccessibili al brutto e al merda.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è, forse, del pessimismo dietro questo discorso, non lo nascondo. Provo sempre un certo fastidio nel sentire l'aforistica edificante sulla felicità delle piccole cose. Ha qualcosa di bugiardo e paternalistico, e non vorrei mai prestarmi a questo approccio parrocchiale generalmente assolutorio. Inutile magnificare "le piccole cose": è il miglior modo per consentire a chi detiene il potere di continuare a usarlo per interessi particolari, usando anche questo come distrazione di massa. <i>Come fai a parlare della "gioia per le piccole cose" a una persona che lavora 12 ore al giorno in condizioni di sfruttamento, o che ha lavorato per una vita e adesso non ha niente in mano? Solo per dirne una. </i></span><br />
<br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Beh: quella persona dovrà lottare, con tante, infinite micro-lotte quotidiane. Potrà legarsi agli altri per una macro-lotta. Ma lei resterà sempre micro, il suo potere sarà sempre micro: checché ne dicano gli aforismi dei grandi presidenti della storia. Il singolo è politicamente zero. Le sue micro-lotte sono necessarie, com'è necessaria la micro-resistenza affettiva. Che hanno, secondo me, fuor di estetizzazioni banali, una natura politica difficile da spiegare. <i>Liberarsi dalla morsa del brutto e del merda è possibile, almeno, e sottolineo almeno, grazie a queste esperienze di micro-libertà che costellano in modo puntiforme ciascuna vita.</i> Passano veloci, quasi non te ne accorgi. Ma arriva il momento che capisci che contano solo quelli...</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">A quante persone è stata tolta questa possibilità della microresistenza? Questo è il più crudele dei delitti che si possano compiere. L'inferno è qui, tra noi, ma tutti abbiamo diritto, almeno, a piccoli spazi di microresistenza. Con le amiche abbiamo deciso perciò di lasciar perdere i progetti yeah domani cambiamo il mondo, e di darci a un deliberato egoismo estetico, per guardare a intervalli regolari dei film insieme con un po' di vino rosso di quelli buonissimi. Le ringrazio, anche solo per questo...</span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-33283203809260767822015-10-03T11:51:00.001+02:002015-10-03T12:06:41.148+02:00Note sul morire<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Definitivamente abbandonato ogni proposito di leggerezza: buongiorno. </i></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ricordo che quando ho letto di Simone De Beauvoir, che da ragazza soffriva di terribili crisi al sol pensiero della morte, ho provato immediata comprensione ed empatia: in fondo, talvolta capita anche a me, di restare letteralmente atterrita dall'idea della morte. </span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il fatto stesso che cioè io o le persone a cui voglio bene o chiunque altro possa essere cancellato in un attimo dall'esistenza mi provoca un grande turbamento, resto come una bambina a fissare un punto incredula: sembra evidente che la morte non può toccarmi, la morte è sempre degli altri, degli altri che sono lontani, non fa parte del mio mondo...</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Quando poi la morte irrompe nel tuo quotidiano, allora quella narrazione confortante lascia il posto allo sgomento, all'afasia, a una specie ideale di mancanza di ossigeno. La pura e semplice <i>assenza </i>di ciò che prima c'era, pensava, parlava, respirava, toccava ed era toccato, il puro e semplice venir meno del vivente, mi sconvolge, davvero mi sconvolge. Mi capita di ripensare</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> anche a semplici conoscenti che sono morti. Mi ricordo di quando si muovevano, di quando ci salutavamo, parlavamo, osservavo la loro specificità, quell'essere loro e nessun altro, quello che potremmo chiamare la loro atmosfera (<i>ogni persona ha un'atmosfera tutta sua </i>che a me piace sempre riconoscere), rievoco quel ricordo come per convincermi che effettivamente, è vero che ciò che vive può morire. Perché è come se sotto sotto non ci credessi del tutto: come se non potesse essere. Ho sempre in serbo il sospetto che sia tutto uno scherzo. Certo un affare di altri.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Dicevo, quel che mi sconvolge è la pura e semplice assenza perché appunto ciò che ha di terrificante la morte è che semplicemente toglie le persone, non è che le faccia essere in un modo brutto o diverso per cui tu devi confrontarti con questo fatto presente, quello è piuttosto il caso della malattia, la morte è invece intrinsecamente negativa, non la tocchi, afferisce al regno del "non è": è un tolto, un venir meno di per sé intangibile. Con la morte diciamo così non puoi stabilirci un rapporto, a differenza della malattia. Le strade sono uguali, il calendario non cambia, le persone continuano ad essere come prima, tutto mantiene il colore di prima, gli uccelli continuano a migrare e le stagioni ad avvicendarsi, i festival della letteratura proseguiranno e i giornali continueranno a uscire puntuali, eppure non c'è quella persona, tutto prosegue mentre un segno meno virtualmente aleggia fra le cose ordinarie, quella persona tu non la vedi più perché semplicemente non c'è: non è detto che la faccenda debba essere notata. Questo gigantesco mancante, questo macigno di assenza è la morte. Neanche il fatto che quella persona, che riempiva uno spazio ed ingombrava il cuore di qualcuno, sia venuta meno intacca l'ordinario: l'ordinario, quella cosa inesorabile e potente. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Poi guardi le foto della persona morta e pensi, respirava, il suo cuore funzionava, c'era. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Cosa si spegne esattamente quando una persona muore? Non funziona un organo, tutto va in tilt, ok ma ... cosa si "spegne"? </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Di recente è morta una persona che avevo fra gli amici di facebook, ho ritrovato dei suoi "mi piace", li ho trovati terribili da comprendere. Come comprendere un gesto così banale che rimane, di qualcuno che non c'è più? Che cos'è? Non è più nulla? Cosa è diventato quel gesto? </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">E tu questo non glielo puoi dire. All'inizio, appena morto, ti sembra che sia un po' più vicino, che è come se la cosa fosse rivedibile, come se si potesse tornare a negoziare sul fatto avvenuto, come se i fatti fossero emendabili: tutti lo ricordano, tutti lo piangono, la persona è nei pensieri degli altri, ha quest'esistenza condivisa nei pensieri delle persone, a suo modo c'è ancora nelle parole e nei sentimenti di tutti; quella persona la mattina si era svegliata aveva fatto colazione si era accesa una sigaretta, la sera era stesa in obitorio con la pelle fredda di ghiaccio. Neanche il tempo di una giornata, nello scarto di poche ore, che inesorabili scorrono e indifferenti, si è alzato vivo per arrivare alla sera morto. Che cosa significa questo? Come comprendere questo? </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Difficile pensare fino in fondo il pensiero che, davvero, non esisterà mai più. Una volta morto, è stato tolto per sempre. Non si torna indietro. La terribile irreversibilità della morte. E' il peggiore "non si torna indietro" che ci sia dato di conoscere. Quello che hai fatto, resta quello che hai fatto e come gli altri ti hanno visto, non puoi aggiungere più nulla. Il passato diventa assoluto, ti fissa in un'immagine implacabile sulla quale non puoi più intervenire: che ti rappresenterà in terra finché sarai ricordato. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Poi tirano fuori quella storia di Epicuro, ok, però quelle pur sagge parole non tolgono il fatto della morte, esse si focalizzano sul momento del morire. Non mi restituiscono il problema generale dell'avere una fine, quello che in filosofia si chiama col nome dall'aria aridamente logica di <i>finitezza</i>. Potrò anche non accorgermi di venire meno. Ma dalla consapevolezza di dover finire, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">questo pensiero </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">non potrà togliermi...</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">L'incidente. E se quella mattina fosse andato a comprare le sigarette anziché fare quella strada? E se gli avessi telefonato, se lo avessi in qualunque modo trattenuto un momento di più lontano dall'auto così salvandogli la vita, magari parlandogli di una sciocchezza? E se un contrattempo, uno stupido, qualunque contrattempo gli avesse impedito di finire su quel fottutissimo incrocio? E' il carpe diem assurdamente retroattivo dei vivi, questo condizionale infinito del sopravvissuto. La dimensione divorante dell'"e se fosse" che logora gli ancora vivi, che dovranno imparare la dimensione del <i>senza</i>. Sarebbe ancora vivo e noi non ce ne saremmo neanche accorti, noi, che ci diamo sempre reciprocamente per scontati, noi che ci serve un'illusione di immortalità per fare le nostre piccole operazioni, le nostre faccende ogni giorno. Se pensassimo troppo alla morte, cadremmo in depressione, non agiremmo, moriremmo del pensiero di morire. Di qui la paradossale, vitale importanza dell'oblio. Bisogna saper dimenticare per sopravvivere.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Si era cena, a un certo punto qualcuno dice: è morto x. Silenzio tombale. Cosa è successo, un disorientamento, tante domande, una morsa sembra afferrarci, ma poi interviene puntuale qualcuno che si incarica, finalmente, di dire: via, cambiamo argomento. Bisogna cambiare argomento. Qualcuno deve farsi garante, tutore e rappresentante dell'istinto di sopravvivenza dei presenti. La consapevolezza è che se si affronta il problema fino in fondo, in tutta la sua abissale schiettezza (le persone muoiono, quella persona è morta: <i>capito?</i>), non resta che il nulla, un pozzo nero di nonsense infinito, lo smarrimento assoluto: solo pensieri regressivi, Thanatos. Pensare fino in fondo la morte è come lasciarsi andare dentro una spirale trascinante verso un punto zero del senso. Per questo, occorre cambiare argomento. Per il bene di tutti!</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">L'esperienza della perdita. Non solo di persone, ma di tutto. Convivere con un senza che era importante. Per Freud: per sopravvivere bisogna installarlo, incorporarlo dentro di sé. Solo allora il lutto diventa tollerabile. La perdita fa parte della vita, crescere significa non già imparare a perdere, ma imparare <i>che</i> si perde. (Materia per un altro post: una filosofia del perdere).</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Dal punto di vista del morto. E se potesse vedere quello che succede? E se, comunque, ci fosse? Sarebbe bellissimo. R. mi diceva: cercavo un suo segnale, l'ho aspettato non è arrivato nulla. Nessun segnale amici: non arriva nessun segnale. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La morte è però qualcosa di così poco poetico. La morte è dannatamente banale. On/off. Tutto con una spiegazione. La morte rientra a pieno titolo nello stesso nesso causale che prima rende possibile la vita e un attimo dopo la toglie. C'è una ragione fisica, una consequenzialità logica. Possiamo spiegarla. Eppure, la sensazione è di arbitrarietà assoluta. La morte è spaventosamente logica e al contempo quanto di più arbitrario. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Valerio Magrelli inizia il suo <i>Geologia di un padre </i>con l'immagine delle carni del padre finite sotterra, col becchino che rimesta in quei residuati di materia umana in via di sparizione. La storia che c'è dietro quel mucchio di ossa, il padre: ciò che mi ha reso possibile, è ora qualcosa di simile al nulla, materia della materia, inanimato allo stesso titolo degli oggetti. Esso prende forma nelle pagine successive come qualcosa di vivente, coi suoi guizzi, i suoi vezzi specifici, il suo profilo tutto personale, le sue idiosincrasie (come diventava furioso, furioso in certe occasioni!). Mucchio d'ossa e pelle sfilacciata. Cattivo odore. Decomposizione. Assimilazione finale alla terra madre. Fossilizzazione del già stato.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La clessidra è qui vicina e scorre. La peggiore deadline: fai in fretta, il tempo scade. (</span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Mostrando del terriccio scomposto</i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">): guarda, ecco cosa diventerai. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">E dopo? April, in <i>Revolutionary Road</i>, non resta che uno sciatto argomento di conversazione per coppie annoiate in serate qualunque. La sua vita, quello che lei è stata, una pura ipotesi, qualcosa di virtuale, ormai piegabile all'infinito alle interpretazioni. La morte è un macigno di assenza per chi la incrocia da vicino, è pettegolezzo per altri. Fa parte del paesaggio. E' la routinizzazione della morte. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Con alcuni amici davanti a un vino rosso, si finisce per toccare quest'argomento. Un'amica, con un pizzico di compiacimento, dice di aver accettato la morte del padre abbastanza tranquillamente. C'è tanta gente che la morte non è un problema. Già, perché fare tante questioni? Si nasce, si cresce, si muore. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La morte: la grande assente alle feste, nelle notti d'amore, nei sorrisi bellissimi nella bellezza, nei centri commerciali, nei programmi elettorali. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Quando morì P. ne furono tutti sconvolti - si era suicidato, a 26 anni ed era un bellissimo ragazzo, con dei sorrisoni che ancora ricordo -, si cominciò a fare delle riunioni di quartiere, si disse, dobbiamo parlare, non è possibile che un ragazzo muoia così, dobbiamo combattere questa solitudine, incontrarci...si percepiva una sincerità che veniva dallo sgomento, un bisogno di agire che partiva diretto dall'indisponibilità ad accettare un fatto così assurdo, di cui ci si sentiva tutti responsabili. Quelle riunioni progressivamente si diradarono, e oggi P. cosa è diventato, dopo quasi 8 anni cosa resta di lui? Le foto, il ricordo di sua madre e di chi gli ha voluto bene, ma la cruda realtà è che moriranno anche loro e non resterà più niente. La morte è l'assurdo. Per qualcuno (Albert Camus) è da qui che parte la rivolta.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Nel suicidio il problema della morte si acuisce perché nel suicidio l'intrinseca ingiustizia del morire (che certo qualcuno potrebbe estendere persino al nascere) viene tolta all'arbitrarietà del caso, al corso naturale e ineluttabile delle cose, per farsi scelta deliberata. Paradossalmente il suicidio rientra nel complesso della nostra soggettività morale, è una forma di autodeterminazione. Ciò che rende una comunità forse più sgomenta. Com'è stato possibile? La solitudine divorante del suicidato continua ad aleggiare come un fantasma, forse come un monito nei pensieri, negli incubi degli ancora vivi. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Nel film <i>Class Enemy</i>, si cerca di resistere al nonsense risucchiante della morte resistendo anzitutto alla sua routinizzazione. Non si può riprendere a fare lezione normalmente dopo che la compagna di classe è morta, bisogna impedirlo. Tutta la vicenda ruota intorno a questo bisogno di impedire la restaurazione del precedente corso di cose. Si avverte il bisogno di mettere in discussione un ordine per resistere al nonsenso. Un gioco di accuse, di colpe, di riflessioni circolari, di disperata resistenza al nonsenso viene a crearsi nella comunità scolastica che da un giorno all'altro si vede quel banco vuoto schiaffarglisi davanti con l'aria enigmatica e intollerabile di un punto interrogativo infinito. Chiunque tenti di ripristinare la normalità viene attaccato, percepito come insensibile e ingiusto, va fermato. Routinizzare la morte significa perdere la cognizione della sua intrinseca ingiustizia, la morte e il morto vanno commemorati, ricordati, bisogna fermarsi interrompere l'ordine, occorre resistere alla nientificazione incontrandosi, parlando, condividendo i propri sentimenti. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Resistere alla morte: Eros e Thanatos. Straordinaria l'immagine di Freud. Essi sono i giganti, la vita è la loro lotta. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La foto del piccolo siriano ha aperto un grande dibattito: era o non era opportuno pubblicarla? Il timore è quello, che queste assurde morti <i>politiche </i>vengano routinizzate, che cioè subentri un'assuefazione che rende tutto accettabile, anche la morte di un bambino inerme per i motivi più ingiusti del mondo. Più precisamente, che ci renda insensibili: il timore è che la morte non ci susciti più alcun sentimento, che si diventi indifferenti: straordinario meccanismo di difesa, come a dire, che quella è la vera morte, l'indifferenza alla morte, specie se causata da altri esseri umani. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Misurare il tasso di accettabilità della morte nello spirito del tempo. Ci sono contesti in cui la soglia di accettabilità si alza: i migranti in mare, una bambina esplosa in Nigeria, gli altri olocausti. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">(PS: rifiuto la monopolizzazione heideggeriana dell'argomento. Heidegger non c'entra, grazie).</i></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-70235716620661901212015-09-25T10:39:00.003+02:002015-09-25T10:53:36.869+02:00Sul ricatto narrativo dei buoni sentimenti<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Caro lettore,</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">ho deciso di rispondere alla tua mail, così, pubblicamente (non so se conosci quella storia, di punirne uno per educarne cento). Prendo la tua capziosa mail come pretesto per togliermi un sassolino che ho incastrato nella scarpa </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">da tempo</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">. </span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Stavo stravaccata sul divano senza alcun meglio specificato desiderio di essere operativa, anzi sprofondando nella migliore inutilità serale che ti rinfranca da una giornata </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">pesante</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">, ed ecco che apro la mail e leggo una cosa che mi ha strappato subito una risata. Dice: </span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>"come sopravvivere a tanto decostruzionismo?". </i></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Senza ciao, senza ehi mi presento, senza nemmeno un insulto. Così, a bruciapelo. Chissà, forse preferisco questo approccio a quelli che mi scrivono dandomi del Lei e firmandosi "Avv.", o a quelli che mi chiedono se per favore posso recensire il loro libro sulla metafisica trascendentale stampato su ilmiolibro.it. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ti immagino quando hai aperto questa pagina, magari cercando su google "essere asociali" o "pezzo di torta" o "siete tutti stronzi" e sei capitato qui, nel mio blog, trovandolo un po' démodé, rigorosamente inattuale, certo palloso e pieno di ampollosità esistenziali. Neanche un post di ricette, neanche un post su come trovare la ragazza ideale in 5 mosse, neanche un articolo di kultura ben fatto, di quelli che si scrive per accreditarsi nella cerchia degli intellettuali che contano. Hai letto che ce l'ho con tutti, che in pratica l'opera omnia di tanti anni di attività di blog può essere sintetizzata nell'unico sottotesto: "comunque siete tutti stronzi, eh. Me compresa". Quindi ti sei chiesto la stessa cosa che mi chiedono quando parlo male della città in cui sono nata, di un autore che ho letto, della società attuale, del governo, del futuro che attende le nuove generazioni eccetera: "senti, scusah, ma...LA PROPOSTAH? QUAL E' LA TUA PROPOSTAH?!?!? SE TUTTO E' NEGATIVO...COSA CI RIMANEH? NOCCIOE'".</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ecco, ora immagina un sorriso pieno di comprensione per le incertezze dell'umano medio allargarmisi sgraziatamente in viso. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il mio compito non è redimere l'umanità. Non ho nessuna missione. Questa non è una parrocchia, e io non sono una politica. Non vengo pagata per ideare riforme, per decidere come redistribuire le risorse pubbliche e quali fazioni accontentare, e non vengo pagata per dire ai fedeli che dopo la morte tutto andrà meglio e che se soffrono è perché c'è una ragione superiore. Per questo ci sono già i pastori di anime, che hanno il compito di dare un senso alle vite di chi non ne trova uno da sé, attraverso narrazioni confortanti che scaldano il cuore, che impongono al disordine e all'insensatezza una direzione, e le direzioni, si sa, sono più simpatiche dello smarrimento. Non ho nulla contro chi ha bisogno di queste narrazioni: semplicemente, pluralisticamente, auspico che ciascuno possa scegliere come raccontarsela, senza che altri gli usi del paternalismo a riguardo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ebbene io dunque deontologicamente non sono tenuta a tutto questo. Chiunque mi ponga quelle domande testimonia allora di un fraintendimento a monte: pensano che io sia tenuta a edificare, o, peggio, che ci sia un obbligo narrativo generale, che prescrive a tutti di mostrare il lato piacevole della medaglia, in pratica di adottare il registro narrativo dei PowerPoint di Renzi quando illustra le riforme. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il ricatto narrativo è un tipo particolare di estorsione. Il ricatto narrativo è il fruitore che ammonisce e che chiede una morale. La narrazione è investita implicitamente di una missione, di una didascalia. La narrazione deve redimere o edificare; trasmettere, in ogni caso, un messaggio che dia conforto. Altrimenti non è una buona narrazione e il fruitore la rifiuta. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">L'autore è tenuto, in questo contesto, a scimmiottare qualcosa di assimilabile alla cosiddetta "anima bella". L'anima bella è notoriamente quell'entità ontologica che sublima il proprio super-io, il proprio ideale di sé connotato in termini di bellezza dell'anima, spacciandolo per il suo io reale. La "bontà" eteronoma (cioè funzionale all'approvazione altrui), i "buoni sentimenti" estetizzati, sono di casa nell'anima bella. Questa ha per definizione orrore delle contraddizioni, delle ambiguità, quindi della realtà. La realtà è un pretesto per estetizzare moralmente il proprio narcisismo. Cosa c'è di più insopportabilmente ipocrita dell'anima bella?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Risposta: il testo che si asservisce al ricatto narrativo dei buoni sentimenti. Non è un buon testo se non mi redimi. Non è un buon testo se non c'è "il positivo". In caso contrario, abbiamo delegittimazione, eccetera. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Tuttavia. Ammettiamo per esempio che io voglia sobbarcarmi la missione redentiva. Ammettiamo che io voglia davvero migliorare l'umanità. Ebbene, dirle le cose come stanno sarebbe la cosa più utile che potrei fare a tale scopo. Non è dicendo alla tua amica che il suo pessimo romanzo nel cassetto è veramente straordinario che potrai aiutarla a diventare una brava scrittrice. E' dicendole che il libro è brutto e va migliorato che potrai farlo. Non è raccontandoci favole che renderemo la nostra esistenza migliore. Certo le illusioni sono fondamentali (vedi Leopardi), ma ho già detto di preferire le illusioni consapevoli, quelle scelte e che ci si è sudate solo dopo un radicale disincanto, alle illusioni senza disincanto: quelle sono una truffa. E io non voglio farmi coinvolgere in questo ricatto narrativo generale, che impone la redenzione delle umane genti tramite narrazioni finto confortanti.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La questione mi sta a cuore perché il ricatto narrativo nuoce gravemente alle rappresentazioni che ci facciamo dello status quo e quindi del suo possibile cambiamento. Politicamente, perché cambiare qualcosa, se va già bene? Cosa c'è di più conservatore di un simile approccio? Per dire che va tutto bene e che questo è il migliore dei mondi possibili c'è già la propaganda. Perché dovrei fare della propaganda? </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Non solo non ho scopi missionari, ma quando scrivo non ho scopi tout court, almeno: non ho scopi diversi dal soffermarmi un attimo su una certa questione che ho il desiderio di afferrare per ritardare il momento in cui essa mi sfuggirà del tutto di mano. Aggiungiamo che le cose belle non sento il bisogno di raccontarle, perché quelle mi basta viverle o nel peggiore dei casi sentirle già santificare dalla maggior parte delle persone, o dai cartelloni pubblicitari. Sono le contraddizioni che mi spingono a scrivere, le cose che non vanno per la direzione attesa, lì sento il bisogno di fermarmici - per quanto negli ultimi mesi non stia quasi scrivendo più nulla (certa che l'universo se ne farà una ragione). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Quanto alla sopravvivenza: ah, beh, questo è un problema tuo. Se per sopravvivere ti servono le narrazioni confortanti, ci sono un sacco di religioni là fuori pronte ad aiutarti. Per carità, capisco che è dura. Io stessa non posso soffrire il principio di realtà e detesto l'idea di crescita che esso sottende. Ma preferisco sopravvivere consapevole che non è tutto rose e fiori e godermela di più proprio per questo, perché lo so e ciò mi fa apprezzare meglio quello che va bene. La vita è assurda ed è a partire da questo che può nascere la rivolta (Camus). Altrimenti, mi chiuderei in una campana di vetro a guardare le prime serate di Rai1 per tutta la vita, scambiandole per la realtà. </span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-44004014086035827682015-07-27T18:19:00.003+02:002015-07-27T18:30:48.984+02:00L'ultimo pezzo di torta rimasto<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Perché chiedere il permesso e preoccuparti degli altri se puoi direttamente impossessarti di quello che vuoi? </i></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Non c'è bisogno di fare quella faccia terrorizzata, il post è molto semplice. Nessuna teoria, questa volta. Nessuna conclusione morale edificante, nessun sermone. Questa non è una parrocchia. Parleranno i fatti. Io mi limito a riportarli, perché i posteri sappiano, perché i posteri non si mettano in testa la bizzarra idea che una volta si stava meglio. Per il giudizio, rimando a quel luogo stantìo, maleodorante e in preda alle muffe, che è la coscienza di ognuno. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<br />
<a name='more'></a><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ora, c'è un pezzo di torta al centro del tavolo. L'unico, l'ultimo pezzo rimasto di una torta veramente buonissima, di quelle che se non ti lecchi le dita è meglio se prendi il cucchiaino. Bene. Siamo in tre. Tutti molto affamati, tutti bramosi di affondare dentro quei rivoli di panna colanti, inframezzati da sublimi venature di fragola e cioccolato. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ovviamente, devo impossessarmene. Ora. Subito. Now. Ecco dunque lo spettro di opzioni che mi si presentano davanti.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">1) <i>Non mi va di essere scortese, chiedo se per caso qualcuno ne vuole un po'. Come si conviene a una persona perbene.</i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">2) <i>Tra una critica arguta al Jobs Act e un commento sul significato ontologico dei leggins, allungo la mano sotto lo sguardo ormai interdetto dell'interlocutore: troppo tardi. E' mia</i>. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Quindi accompagno la masticazione con un dolce sorriso. ;)</i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">3) <i>Me ne impossesso sfacciatamente: la voglio, nessuno l'ha presa prima di me, quindi è mia. Chiaro e apodittico come un sillogismo. E s</i></span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">e per caso nel percorso c'è da pestare i piedi a qualcuno, sappino che il fine giustifica i mezzi.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il primo caso è pieno di rischi. Si vedrebbe da lontano un miglio che stai mentendo, e che speri tantissimo che ti rispondano <i>no grazie, ho mangiato pesante fai pure.</i> E che sei pronto a odiarli con tutto il tuo sorriso qualora rispondano diversamente. </span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Poi perché, m</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">etti che uno ti risponde davvero diversamente. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- Manno, suvvìa, è tua! Tranquillo eh!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- No no valà, dai! E' tua! Tranquillo eh!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- No no no, credimi, fai tu! </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- Davvero! Giuro! Eh!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- No, sì, nessun problema!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- Ma davvero, non intendevo! Oh! Uh!</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- <i>Prendi questa cazzo di torta.</i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Tutte le manfrine pedagogiche che ci hanno inculcato in tenera età sulle regole, sulla condivisione, sul porgi l'altra guancia, il buon samaritano, ecc., La vita vera è un'altra. La buona educazione non porta da nessuna parte. Finisce che devi dividere, o, peggio, che devi rinunciare completamente al tuo pezzo. E finisce che mentre stai lì a preoccuparti di essere gentile con gli altri, gli altri ti hanno già fregato. Mentre tu eri intento a chiedere scusa, permesso, prego si figuri, no non c'è di che, distinti saluti e tante grazie, gli altri si stavano già leccando le dita col piatto ormai vuoto in mano. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Senonaltro, allora, la questione diventa questa: <i>chi frega chi, per primo</i>? <b>Qui si tratta di</b> <b>diventare stronzi per legittima difesa!</b></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b><br /></b></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Con la buona educazione non si manda avanti la baracca. La gente mica campa così, con la buona educazione. Mica Renzi è diventato premier con la buona educazione. Mica Napoleone è diventato imperatore chiedendo il permesso a qualcuno. Mica quel tizio ce lo hanno infilato a lavorare lì perché aveva bussato alla porta con il cv in mano. Sput.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il secondo e il terzo caso sono vincenti. Perché, nel migliore dei casi, <i>nessuno avrà il coraggio di strapparti, davanti ai tuoi occhi, il pezzo di torta dalle mani, quando esso è già inequivocabilmente tuo.</i> Certo non perché nessuno vorrebbe farlo, ma perché tutti si guardano bene dal mostrare questa parte<i> animale </i>di sé. "Non è come sembra! Sono un essere evoluto! Giuro!", ecco cosa dicono i loro occhi lacrimevoli e al contempo carichi di vendetta, mentre cercano di dissimulare la verità con tanti tanti buoni sentimenti. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La gente si vergogna di far vedere che desidera una cosa e vorrebbe toglierla agli altri strappandogliela brutalmente dalle mani, anche se lo vorrebbe tantissimo: è questo, fondamentalmente, quel che si intende con la parola "crescere". Quando sei bambino non ti vergogni e fai quello che ti pare. Poi mamma, papà, e la maestra cominciano a minacciarti che se continui a comportarti così ti manderanno in collegio o di dartele di santa ragione. Ecco allora che subentra il vecchio imperativo categorico,</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> la famosa "coscienza morale", le cui nobili origini consistono evidentemente nelle mazzate. Ed ecco che diventi un cittadino anche tu. Ecco che </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">cominci ad arrossire quando fai una cosa che rivela i tuoi bassi istinti, ecco che cominci a volerla nascondere, andando in giro con l'aria di uno che, per carità, </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">non ha</i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> questi bassi istinti. Basso istinto? What's the italian for "basso istinto"? Sorry, non parlo latino.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ma naturalmente, qui ci muoviamo sempre in un quadro idealizzato. Nella realtà succede spesso che la gente non si vergogna neanche. Pensavo di detestare la vergogna, pensavo ingenuamente che fosse il volto crudele con cui la morale ufficiale colonizza la nostra coscienza coi denti sporchi di sangue: la sto rivalutando. Serve tantissimo. Forse uno dei problemi principali dell'umanità è la mancanza di vergogna, quel momento in cui lo sguardo si volge verso te stesso e ti dice, come in una rivelazione: <i>ma che stai facendo. </i>(Naturalmente, la vergogna è una parola che viene usata in molti modi, e i parametri di vergognabilità sono diversissimi: anche l'illustre Mario Adinolfi può usare la stessa parola che uso io, e tuttavia in senso diametralmente opposto, per esempio).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma andiamo al punto. La società è organizzata che ci sono poche risorse e ce le dobbiamo spartire - o meglio, alcuni vi possono accedere, altri no. Quindi per forza dev'esserci una lotta, latente o meno, per accaparrarsele. Vorrei riflettere su cosa conta, per vincere, in questa lotta. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">+++Verifica il tuo livello morale! +++ Rispondi: che metodo bisogna usare, per vincere, in questa lotta?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">a) La buona educazione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">b) La furbizia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">c) L'arroganza.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Maggioranza di risposte A.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sei un pirla. Cosa credi, che la risorsa stia lì ad aspettare te, fra un grazie, molto gentile, e un si figuri e l'altro? Subito a lavorare in mezzo a gente ben vestita e piena di buoni sentimenti con cui maschera il proprio odio, marsch.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Maggioranza di risposte B.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Hai capito tutto della vita. Sei pronto ad affrontare la selva. Ma sei sicuro di volerti ancora nascondere dietro un paio di occhi dolci? Perché cedere al nemico, con inutili moine, che peraltro sottraggono del tempo al raggiungimento del tuo obiettivo principale: <i>vincere e fottere tutti</i>? Sii te stesso fino in fondo: diventa arrogante.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Maggioranza di risposte C.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Congratulazioni! Sei un arrogante di merda e non riesci a vergognarti neanche se ci provi, come la maggior parte dei tuoi simili. Il mondo è tuo!</span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> (Post scritto a febbraio 2015)</i></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-54732679147287592772015-06-21T16:45:00.004+02:002015-06-21T17:03:40.685+02:00Le mie illusioni me le tengo strette<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Omaggio al solstizio d'estate</i><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Per capire che le illusioni sono una cosa seria - e preziosissima - ci ho messo tantissimo. Ora, quelle che ho, quelle che mi sono scelta e sudata, me le tengo strette. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Il cinico disincantato mi fa un po' pena. Dentro di me penso: dilettante! Crede di aver capito tutto, ma non ha capito niente.</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> Non sa che oltre il disincanto c'è un'altra fase, la più interessante di tutte, quella delle illusioni che ti sei scelta, che ti sei conquistata, e su cui francamente non sei molto disposta a negoziare. Ci sarà sempre qualcuno pronto a dirti: ah! tutte illusioni! la realtà è questa, cara mia! Con la voce di chi ha capito tutto della vita, ma in realtà si limita a trasfigurare i propri fallimenti in senso normativo (</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">pretendendo che debba valere lo stesso per tutti gli altri). Ma insomma, il tacchino induttivista di Russell non vi ha insegnato proprio niente?</span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Nah, troppo facile. Quando qualcuno mi fa la pedagogia del realismo (falso, perché della realtà fanno parte anche loro: le illusioni! e negarle non è realistico...), io sorrido amabilmente, annuisco, penso: si è fatto tardi, quando ti toglierai di mezzo? Mi fai perdere tempo.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, "Times New Roman", serif;">Non riesco a godere della compagnia di persone troppo disincantate, che hanno rinunciato a tutto, che negano la vita per paura che gli faccia troppo male (questa è la mia definizione di "cinismo").</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> Ipostatizzano un lato della questione, fraintendono la parte per il tutto: il disincanto non può esaurire la vita; pretendere che lo faccia ha qualcosa di bugiardo ma prima di tutto di risentito. E non riesco a godere della compagnia di persone ancora troppo illuse, disposte ad attaccarsi ancora a qualcosa che fallirà di nuovo: al bimbominkismo della volontà, se posso usare questo termine. <i>Chi non è stato mai sventurato non sa nulla</i>, dice Leopardi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Le persone positive e le persone negative, in qualche modo mentono: hanno deciso che è tutto di un colore, ma io voglio le sfumature e mi aspetto sempre l'inaspettato. In questo ho probabilmente torto.</span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Allora diciamo che</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">decido deliberatamente di volere avere torto.</i><br />
<span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></span>
<span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Leopardi (Zibaldone) ha detto qualcosa di simile. Nonostante la ragione e la conoscenza, cioè </span></span><b><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">«</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">ancorché sapute vane</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">»</span></b><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">,</span><span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"> le illusioni</span></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">trovano sempre il modo di farsi largo tra le macerie del disincanto. Persino tra i filosofi, quelli che più degli altri raccontano - dice - </span></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">«</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">le miserabili verità della natura umana</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">»</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">. E per fortuna anche: senza illusioni,</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> ci saremmo già abbondantemente estinti. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Leopardi era troppo sensibile e troppo acuto per non rendersi conto dell'importanza delle illusioni - nonostante il carattere tragico della loro dialettica con la realtà. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">«</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Le illusioni per quanto
sieno illanguidite e smascherate dalla ragione, tuttavia restano ancora nel
mondo, e compongono la massima parte della nostra vita. E non basta conoscer
tutto per perderle, ancorchè sapute vane. E perdute una volta, nè si perdono in
modo che non ne resti [<b>214</b>] una radice vigorosissima, e
continuando a vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta l'esperienza, e
certezza acquistata. Io ho veduto persone savissime, espertissime, piene di
cognizioni di sapere e di filosofia, infelicissime, perdere tutte le illusioni,
e desiderar la morte come unico bene, e augurarla ancora come tale, agli amici
loro: poco dopo, bensì svogliatamente, ma tuttavia riconciliarsi colla vita,
formare progetti sul futuro, impegnarsi per alcuni vantaggi temporali di quegli
stessi loro amici ec.</span></blockquote>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<blockquote class="tr_bq">
<span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Nè poteva più essere per ignoranza o non persuasione
certa e sperimentale della nullità delle cose. Ed a me pure è avvenuto lo
stesso cento volte, di disperarmi propriamente per non poter morire, e poi
riprendere i soliti disegni e castelli in aria intorno alla vita futura, e
anche un poco di allegria passeggera. E quella disperazione e quel ritorno, non
avevano cagion sufficiente di alternarsi, giacchè la disperazione era prodotta
da cause che duravano quasi intieramente nel tempo ch'io riprendeva le mie
illusioni. Tuttavia qualche piccolo motivo di consolarmi, bastava all'effetto,
ed è cosa indubitata <i>che le illusioni svaniscono nel tempo della
sventura</i>, (e perciò è verissimo, e l'ho provato anch'io, che chi non è
stato mai sventurato, non sa nulla. Io sapeva, perchè oggidì non si può non
sapere, ma quasi come non sapessi, e così mi sarei regolato nella vita.) e
ritornano dopo che questa è passata, o mitigata dal tempo e dall'assuefazione.
Ritornano con più o meno forza secondo le circostanze, il carattere, il
temperamento corporale, e le qualità spirituali tanto ingenite come acquisite.
Quasi tutti gli scrittori di vero e squisito sentimentale, dipingendo la
disperazione e lo scoraggiamento totale della vita, hanno cavato i colori dal
proprio cuore, e dipinto uno stato nel quale[<b>215</b>] essi stessi
appresso a poco si sono trovati. Ebbene? con tutta la loro disperazione
passata, con tutto che scrivendo sentissero vivamente la natura e la forza di
quelle acerbe verità e passioni che esprimevano, anzi dovessero proccurarsene
attualmente una intiera persuasione ec. per potere rappresentare efficacemente
quello stato dell'uomo, e per conseguenza sentissero ed avessero quasi per le
mani il nulla delle cose, tuttavia si prevalevano del sentimento stesso di questo
nulla per mendicar gloria, e quanto più era vivo in loro il sentimento della
vanità delle illusioni, tanto più si prefiggevano e speravano di conseguire un
fine illusorio, e col desiderio della morte vivamente sentito, e vivamente
espresso, non cercavano altro che di proccurarsi alcuni piaceri della vita. E
così tutti i filosofi che scrivono e trattano le miserabili verità della nostra
natura e ch'essendo privi d'illusioni in fondo, non cercano poi altro veramente
col loro libro che di crearsi, e godersi alcuni illusorii vantaggi della vita
(vedi C<span style="font-variant: small-caps;">icerone</span>, <i>Pro Archia</i>c.
11.) Tant'è: la natura è così smisuratamente più forte della ragione, che
ancorchè depressa e indebolita oltre a ogni credere, pure gli resta abbastanza
per vincere quella sua nemica, e questo negli stessi seguaci suoi, e in quello
stesso momento in cui la predicano e la divulgano; anzi con questo stesso
predicare e divulgar la ragione contro la natura, la danno vinta alla natura
sopra la ragione. [<b>216</b>] L'uomo non vive d'altro che di religione
o d'illusioni. Questa è proposizione esatta e incontrastabile: Tolta la
religione e le illusioni radicalmente, ogni uomo, anzi ogni fanciullo alla
prima facoltà di ragionare (giacchè i fanciulli massimamente non vivono d'altro
che d'illusioni) si ucciderebbe infallibilmente di propria mano, e la razza
nostra sarebbe rimasta spenta nel suo nascere per necessità ingenita, e
sostanziale. Ma le illusioni, come ho detto, durano ancora a dispetto della
ragione e del sapere. È da sperare che durino anche in progresso: ma certo non
c'è più dritta strada a quello che ho detto, di questa presente condizione
degli uomini, dell'incremento e divulgamento della filosofia da una parte, la
quale ci va assottigliando e disperdendo tutto quel poco che ci rimane; e dall'altra
parte della mancanza positiva di quasi tutti gli oggetti d'illusione, e della
mortificazione reale, uniformità, inattività, nullità ec. di tutta la vita. Le
quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perder tutte le illusioni, e
le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere avanti gli occhi continuamente
e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno
altro che le ossa, come di altri animali di cui si parlò nel secolo addietro.
Tanto è possibile che l'uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale
sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice
fiorisca e fruttifichi. Sogni [<b>217</b>]<b> </b>e visioni. A
riparlarci di qui a cent'anni. Non abbiamo ancora esempio nelle passate età,
dei progressi di un incivilimento smisurato, e di un snaturamento senza limiti.
Ma se non torneremo indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai
loro posteri, se avranno posteri. (18-20. Agosto 1820).</span></span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">»</span></span></span></blockquote>
</div>
<span color:black="" linotype="" palatino="" serif=""><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">
</span></span>Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-60291745217158084042015-05-23T18:16:00.000+02:002015-06-04T16:34:02.630+02:00E tu, di cosa ti occupi?<div style="text-align: left;">
<div style="margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Diciamo chiaramente che comincio a
trovarmi in quella fase in cui alla domanda "cosa fai nella vita?"
non sono più ammesse incertezze. Devi definire chiaramente chi sei, impacchettarti in una serie di definizioni esaustive, come attraverso dei tag, non
dico che devi trasformarti in un brand ma secondo me, sotto sotto, sì. La
sussunzione categoriale del chi sei non può più fare a meno della
classificazione lavorativa. Si comincia da: studi? lavori? Oggi persino alla
Biblioteca nazionale (Roma) non mi hanno prestato un libro perché non potevo
dimostrare la mia appartenenza a una casella; alle mie ripetute proteste è stato
invocato </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Il Regolamento</i><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">(Kafka,
il mio pensiero è ora rivolto a te); ma il paradosso delle biblioteche con
la loro corsa a ostacoli a danno della gente che, dopotutto, chiede solo questa
cosa criminale che è il poter leggere, mentre deve perdere tempo a spiegare di
non essere un delinquente, è materia per altro post. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">In ogni caso
l'interlocutore non riesce a rapportarsi a una persona senza previo
incasellamento nel tag; non riesce a viversela così, come gli appare, come gli
viene, non riesce a viversi il flusso </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">hic et nunc</i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> dell'altro/a. Dico: ma non vi annoiate? Io preferisco indovinare, preferisco pormi domande, immaginare un mistero: perché senza etichetta non sapete vivere? (Ahhh, la <i>reductio ad etichettam</i>).</span></div>
<a name='more'></a><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, serif; line-height: 107%;">Che poi il lavoro è
un meccanismo definitorio assoluto: se dici, operaio, se dici, cameriera, se
dici, ingegnere, il tag si frappone fra te e il mondo portando quest'ultimo a
fraintenderti definitivamente; da allora in poi la casella colonizzerà la tua
esistenza sociale, non ti si permetterà di essere altro, cosicché, anche se
adesso sto facendo un certo lavoro, ho come il timore a dirlo. Perché sono
infinitamente molte altre le cose che mi interessano, e non una sola di queste può
essere ipostatizzata, non una di queste può <i>arrogarsi l'intera me</i>. Valeva sempre, ora che il posto fisso è stato liquidato per sempre vale ancor di più. E' come
pretendere che un tag esaurisca l'argomento, per proseguire con la
similitudine. Poi ti fermano per strada due anni dopo, e ti dicono, allora come va con quel lavoro, quando tu sei già diventata un'altra cosa, per il semplice motivo che nessuno può coincidere col proprio lavoro, con uno stage, con una laurea, con un diploma, con quello che volete. Disgraziatamente nel mio curriculum vitae non c'è traccia della mia ricca vita interiore. Voglio difendermi dai tag, mi perseguitano, io sono anteriore
alle caselle, voglio relazionarmi senza protesi categoriali. Si immagini la
società come un grande supermercato, ci sono tantissimi scaffali ricondotti a
macrocategorie: "salumi", "formaggi",
"detersivi", "pentolame". La gente non riesce a orientarsi
senza le macrocategorie, si perderebbe fra gli scaffali come in un labirinto.
Che straordinaria mancanza di ingegno.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sono il tipo di persona che alle domande
sul privato glissa o mente, detesto dare spiegazioni, per non parlare della
mancanza di originalità di chi rompe il ghiaccio facendoti il terzo grado sulla
tua esistenza. Me lo ha detto anche J., londinese: è così<i> </i><i>rude</i> come fanno in Italia, di
ficcare il naso nella tua esistenza anche se vi conoscete da trenta secondi.
Cominciano a chiederti cosa fai nella vita, tutto comincia da questa domanda
invadente, non riescono a trovarsi davanti una persona senza poterla classificare
nello scaffale preposto, che poi, appena tiri fuori questa cosa della filosofia
ti guardano con aria di disprezzo, che per quanto mi riguarda chissene,
ma - per amor di antropologia - dicono, mio figlio fa ingegneria gestionale, con
l'angolo della bocca tirato, ti dicono è dura ma via, c'è l'insegnamento, mentre un
retrosguardo di pietà incombe minaccioso; per riempire il vuoto che si è
creato allora tirano fuori l'epica dello stagista che ce l'ha fatta, la mistica
del "concorso pubblico", la teologia del "l'hanno preso",
che quello dopo sei mesi gratis a Milano gli hanno fatto il contratto, la
miracolistica dell'assunzione a culo, l'agiografia del vattene all'estero mia
cugina prende duemila euro al mese e si è fatta una famiglia: ma io non te l'avevo
chiesto. Con l'aneddotica edificante ho chiuso, e soprattutto io con tutta
questa storia non c'entro, perché mi ci mettete continuamente in mezzo. Devi
continuamente badare a legittimarti, esibire una patente, dichiarare la tua
appartenenza a un consorzio, giustificare la tua esistenza con un ruolo
approvato dalla società, cioè da un certo tipo di società dominante,
quello in cui il capitalismo o qualcosa del genere ha deciso che ingegneria
gestionale sì e filosofia no. Ma peggio ancora, forse, è quando è il filosofo
stesso a farti questi discorsi, a dirti che odia il capitale, che non ci sta a
diventare un brand, che il sistema ci opprime, ed è lui il primo a fare l'intellettuale di se stesso, per citare Rovatti, il self made man delle
humanities, quello che stringe le relazioni giuste, fa le comparsate giuste,
frequenta i posti giusti, e si muove con la scaltrezza da iniziato in questo
ambiente di squali che sono diventate le scienze umanistiche. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Di fronte a entrambi i tipi umani, ti si
paralizza il senso di appartenenza al regno del vivente, una morsa di
cellophane ti ostruisce i vasi e smetti di aver pietà di chicchessia;
personalmente ho smesso di rispondere in modo gentile, avverto l'urgenza di
sottrarmi al pattern discorsivo citato e ri-citato da tutti, per dirla
postmoderna. Come il signor Givings di <i>Revolutionary Road</i>, che
abbassa il volume delle orecchie quando la moglie tira a parlare oltre una
soglia sopportabile per leggersi il giornale in santa pace: anch'io voglio
spegnere l'audio per godermi la mia strutturale inclassificabilità in santa<i>
guerra</i>.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Post correlati:</span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2013/10/i-ruoli-e-le-persone.html" target="_blank">I ruoli e le persone</a></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/01/sul-potere-dei-gruppi.html" target="_blank">Sul potere dei gruppi</a></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/08/diventare-una-persona-seria.html" target="_blank">Diventare una persona seria</a></span></div>
</div>
</div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-25743303853589744742015-05-16T15:30:00.004+02:002015-11-05T10:37:59.316+01:00Sull'uso della parola «borghese»<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Appunti sparsi e in fieri</i></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Capita spesso: a un certo punto, nel bel mezzo di una conversazione, eccola che spunta, fugace e furtiva, </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">questa parola</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">. Io stessa mi sono più volte macchiata dell'imprudenza di averla pronunciata, fino a pochissimo tempo fa. Ora mi dà perfino fastidio sentirla, per non dire orrore. "</span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Borghese</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">". </span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Nella maggior parte dei casi viene usata in senso spregiativo. Quando non ha un senso descrittivo - per intenderci, di carattere puramente economico -, tendenzialmente con essa si vuole rappresentare uno stile di vita "integrato nel sistema", generalmente caratterizzato da uno stipendio più o meno congruo, una famiglia con maschio femmina figlio/i/a/e e cagnolino, il mutuo e il televisore al plasma comprato a rate. Non di rado il marito - va da sé che borghese, per chi usa il termine, è per eccellenza anche il matrimonio - è un normale padre di famiglia, magari dedito al commercio, alla libera professione o funzionario nella pubblica amministrazione, è cattolico non praticante e la sera, quando tutti dormono, mette youporn o va a prostitute senza che la cosa entri in contraddizione con tutto il resto: non finché non lo viene a sapere nessuno, naturalmente. Ad agosto il borghese non rinuncia al villaggio vacanze, al pacchetto turistico per famiglie; se riesce, grazie all'abbonamento sky guarda le partite di calcio ogni domenica pomeriggio mentre i figli giocano alla playstation, vanno a drogarsi o vanno a dire in giro di non essere borghesi, e la moglie prepara la cena. Scrupolosamente distante dai conflitti sociali, dalle marginalità, è una persona benestante senza troppe pretese, ha idee generalmente democristiane con picchi di conservatorismo che emergono puntualmente quando si parla di immigrati o omosessualità. Nella versione radical chic, abbiamo lo stesso pacchetto con la differenza che immigrati e omosessualità non si toccano. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Questa è, più o meno, la catena di proiezioni condensata nella parola "borghese". Interessante, certo, e rivelativa di un modello umano assodato, la cui esistenza è innegabile e qualche volta ripugnante. Ma quel che non mi convince è il fatto che si tratta di una rappresentazione dopotutto confortante per chi la racconta. La sua funzione catartica è cioè quella di appoggiarsi a una narrazione che consenta di sentirsi migliori di altri. E' entrata in quella fase del luogo comune in cui dopo lunga usura tipicamente il luogo comune esplode, come un brufolo col pus, e non ci resta che prenderne atto e passare ad altro. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Quel che ultimamente mi interessa di più è infatti chi pronuncia la parola. Chi è costui o costei? Perché sente il bisogno di distanziarsi dall'esponente dello stile di vita medio, che definisce borghese, assumendo implicitamente di essergli migliore? E, quel che è più importante: <i>ne ha forse il diritto?</i> </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">La maggior parte delle volte, chi utilizza questo termine lo fa muovendo da presupposti che non hanno nulla a che vedere con la lotta di classe, ma di carattere narcisistico-moralistico. La mia vita è migliore della tua, la mia morale è migliore della tua, la mia visione del mondo è più fica della tua, insomma io so' mejo de te. Ma entriamo adesso nel merito della vita media di chi mediamente utilizza la parola "borghese" con intenti maldissimulatamente moralistici. Mi sia concesso un certo margine di approssimazione tipico di ogni stereotipo: lo stesso, del resto, di cui soffre il termine "borghese". La premessa dei miei ragionamenti è sempre la stessa: non compiacere nessuno, non avere pietà di nessuno. Nei limiti del possibile.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Prendiamo una tizia, il cui messaggio, esteticamente, è questo: <i>"sono studiatamente trasandata. Perché per me l'aspetto non conta. Ma non troppo. Cioè voglio darti l'idea di non essere una stracciona, ma allo stesso tempo di non dare troppo importanza alle apparenze. E questo, si capisce, mi rende figa"</i>. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non puoi relazionartici senza esibire a ogni piè sospinto la tua patente di anticapitalismo verace, rilasciata dalla cricca degli Anticapitalisti Veri, dei Non Borghesi Quelli Veri. E se gli occhiali che indosso fossero troppo borghesi? e se quest'aggettivo, questa certa espressione, questa micro-opinione che sto esternando adesso suscitasse più di un sospetto? e se mi scappa di dire che domenica sono andato/a al centro commerciale o che non vedo l'ora di comprarmi uno smartphone a? e se per sbaglio, anzi perché mi piacciono, ho messo i tacchi e mi dicono che sono una femmina media che ha interiorizzato lo sguardo maschile? (</span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">per inciso: non uso mai i tacchi, ma darei la vita - si fa per dire - perché tu possa indossarli, nda</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">) e se sono una femmina o un maschio eterosessuale affezionato/a alla monogamia, legato/a allo stesso partner da dieci, quindici, venti anni, e così ci vivo benissimo? e se desidero tantissimo, in modo consapevolmente irrazionale, di figliare? e se in fondo non mi facessero poi tanto schifo i pacchetti vacanze e le comodità? eccetera eccetera; possiamo immaginare una lista lunghissima. Un paternalismo sconfinato, degno del peggiore fra i democristiani, incombe come una nuvola grigia sulla tua voglia di vivere, quando incontri una/o che usa la parola "borghese". </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">La coazione alla critica da non meglio specificato pulpito avanza impietosa, come una calamità naturale. Da un momento all'altro potresti essere sospetta, suscettibile di essere anche tu segnata dall'infamia di borghese. Davanti all'ostentatamente e fintamente non borghese ti senti così: senza finestre. Dicono di essere per la liberazione dall'oppressione, eppure davanti a loro la avverti distintamente, una certa cappa di claustrofobia. C</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">hi critica il borghese sforzandosi di non esserlo non ha meno pregiudizi del democristiano medio. Resto sempre basita nel constatare quanto siamo piccoli e inermi, quanto siamo soggetti ai pregiudizi pur sopravvalutando le nostre intelligenze al punto da credercene immuni. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Il panorama cerebrale a partire dal quale formula i suoi attacchi si fonda su quelle tre-quattro idee che ribadisce a rotazione a ogni occasione: non solo nelle assemblee, ma proprio a ogni occasione. Se provi a mettere in discussione qualcosa fra i suoi dogmi, sei un nemico. Nessuna oscillazione o ambiguità è ammessa: che poi, oscillazioni e ambiguità sono fra le caratteristiche più sincere della vita.<i> </i>Non è mai sfiorata dall'idea che possa esserci qualcosa che non funziona fra le idee che ogni giorno ribadisce e riconferma col suo gruppo; o anche, per dire, che possa esserci dell'altro. Per esempio, qualche contraddizione.</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> Ci sono amici e nemici, la qual cosa è anche giusta - è molto importante avere dei nemici, dei <i>non-quelli </i>nel quale collocarsi -, il problema è che il criterio di distinzione ha un sapore tribale, più che ispirato a una lucidità politica e sincera preoccupazione per le sorti del mondo. A interessare è il gruppo e la riconferma della propria identità e dell'appartenenza al gruppo, più che i destini della società. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è un'ansia di purezza, di tenersi fuori dallo sporco del mondo; una tentata collocazione nell'incontaminato, che fa presto a tradursi in dogmatismo, in ottusità. Si ragiona per schemi, e sempre rigorosamente senza empatia. Dov'è l'empatia? <i>La cosa più importante del mondo: l'empatia.</i></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Il senso della parola racchiude tutta una storia densissima, che parte almeno dalla rivoluzione industriale (in realtà da molto prima: borghese era inizialmente l'abitante del borgo, e il borgo nasce nel Medioevo) e ci porta fino ai giorni nostri. Qualcuno ci ha pure fatto un libro, sul concetto di borghese (tipo Franco Moretti), ma la letteratura si spreca. La parola intrattiene un legame storico speciale con Marx: per lui la borghesia era la classe capitalistica, la classe che opprime il proletariato. La linea di demarcazione fra le due classi era il possesso/controllo o meno dei mezzi di produzione. Se possedevi dei mezzi di produzione eri un borghese, se non li possedevi, eri un proletario. Sul problema, poi, della classe media, che cioè non possiede i mezzi di produzione ma al contempo non lavora in fabbrica, c'è un dibattito lungo almeno un secolo; il punto però qui è un altro. Con borghese in questo contesto si intende altro, segnatamente uno stile di vita, non è un termine tecnico o una caratterizzazione esclusivamente economica. Si descrive cioè lo <i>status </i>più che la classe. Mi viene in mente quel che sostiene Bourdieu: gli stili di vita e i consumi culturali, gli habitus delle diverse classi si contrappongono: ciascuna di esse ostenta il proprio, per motivi di individuazione deve contrapporsi agli altri. E' una specie - e sottolineo "una specie" - di lotta di classe dislocata sul piano culturale. Ma va precisato che il fintamente non borghese, nell'usare spregiativamente il termine borghese, e nel riconfermare la propria appartenenza alla categoria denigrata, è lontano anni luce da qualsiasi parvenza di "lotta di classe". Il suo è più che altro un meccanismo di autoaffermazione culturale. Oggi, cioè, siamo molto lontani dal senso originario del termine; v</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">i si è sedimentata tutta una letteratura, la letteratura novecentesca del disprezzo del piccoloborghese, con annessa santificazione di chi si sforza di non esserlo, tipicamente prodotta da intellettuali esponenti della meglio borghesia mitteleuropea. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Mi si dirà: ma non è forse questo, un argomento <i>ad hominem</i>? Non è un argomento, infatti, più che altro una constatazione. Nella valutazione della parola, e del carico di disprezzo che vi si è sedimentato, non può non rientrare la constatazione di questo fatto: che a usarla in senso spregiativo sono sempre borghesi. Questo però non ci dice ancora tutto. La critica, che so, di un Adorno alla vita borghese amministrata, è diventata in un certo senso prerogativa di una piccola massa e, come spesso succede, la critica di una moda è diventata anch'essa una moda. E' come se tutte le critiche dovessero subire un processo di deflazione culturale, per cui a un certo punto finiscono paradossalmente per assimilarsi all'oggetto criticato, assumendone le sembianze e riproducendole. Il processo va di pari passo con l'estinzione della sinistra. Cioè mi sembra che la degenerazione di questa parola si accompagni alla deriva individualistico-estetizzante che ha preso la sinistra da alcuni anni a questa parte. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Insomma a me sembrano tutti ignari esponenti dello stesso meccanismo. L'ansia di tirarsene fuori li ricaccia ancor più malamente dentro. Sono delle caricature di se stessi. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Non c'è dunque soltanto il motivo che chi ostenta uno status non-borghese è in realtà emanazione dello stesso humus socio-economico del borghese, e la sua critica al borghese può essere avanzata sempre a partire da un privilegio: quello dell'istruzione, che gli è stato concesso proprio in virtù dell'appartenenza a quell'humus, non so se mi spiego. Dicevo, non c'è solo questo motivo, che mi rende inviso l'ostentatamente e in ultima istanza fintamente non borghese, ma anche la sua partecipazione, la sua riconferma di una dinamica rispetto alla quale pretende di essere esterno. Tutto questo mi impedisce di sviluppare un discorso veramente critico in senso condiviso. Sento puzza di bugia e di truffa, circola una presa in giro, una grande presa in giro nei nostri discorsi. Voglio dire che il mio bisogno di impegnarmi politicamente, fra le diverse difficoltà, è costantemente minacciato da chi parla per slogan e da chi fraintende la lotta politica con meccanismi di differenziazione culturale. Gli slogan sono luoghi comuni con caratteri di propaganda che a un certo punto cominciano a vivere di vita propria. Una cosa che una volta era originale e aveva un senso emancipativo preciso, fa presto a mutarsi nella parodia dell'originale. Cadere in questo meccanismo è molto facile: io stessa ci ero in qualche modo rimasta imbrigliata.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Tutti ci costruiamo delle narrazioni rassicuranti, ce la raccontiamo in modo da uscirne più nobili, da questa faccenda che è la vita in mezzo agli altri; ebbene quella che si racconta il finto non borghese è proprio questo, una narrazione rassicurante e autocompiacente. C'è una menzogna alla quale mi si chiede, di tanto in tanto, di partecipare; ma fra tanti teatrini quello che simula la lotta di classe fraintendendola col narcisismo non posso proprio più reggerlo. Anche questa è una forma di criccofobia: la repulsione è per il borghese e per il finto non borghese, nella misura in cui entrambi sono emanazioni di una cricca. E le cricche esistono in ragione di una truffa: sempre. Perché </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">chi più chi meno semo tutti stronzi.</i></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-50828935294882663262015-05-13T09:06:00.000+02:002015-05-13T09:06:00.751+02:00Luciano Bianciardi - Il licenziamento<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Da </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La vita agra </i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">(1962), Feltrinelli 2014, p. 118:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: 11pt; line-height: 107%;">«</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Tutto comincia il giorno che ti cambiano di stanza, col pretesto dello spazio te ne danno una più piccola da dividere con altra persona; e il tavolo tuo sarà quasi sempre più basso, più stretto, più scomodo, e piazzato dietro la porta, sì che, entrando, un ospite veda subito il tuo collega, ma non te.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">O addirittura può accaderti di restare senza locale, senza scrivania, senza sedia: ciò avviene in genere approfittando dei traslochi. Infatti, quando una ditta cambia sede, si noterà sempre un'affannosa corsa alla stanza migliore, più appariscente, più centrale, meglio arredata. Chi nel bailamme è riuscito ad arraffare una stanza tutta per sé, di solito viene immediatamente premiato con un aumento di stipendio e di autorità. Chi invece, per sua incuria e pigrizia, resta senza nemmeno la sedia, viene subito licenziato. L'ho visto fare più volte, questo scherzo, e volendo potrei citare nomi e dati precisi.</span><br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">A me accadde, sempre dopo la fine delle vacanze (il settembre, ripeto, è il mese tipico dei licenziamenti), d'essere messo alla scelta fra un sottoscala e un terzo di stanzuccia, con tavolo dietro la porta, e orientato in modo che entrando, il vetro smerigliato andava a sbattere contro lo spigolo e si rompeva fragorosamente, e questo diventava un altro elemento negativo, che preludeva al licenziamento.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma poi, se proprio non sei ottuso, te ne accorgi perché cambia anche l'aria attorno a te: i colleghi perdono man mano ogni consistenza fisica, sono gli stessi, ma paiono vuotarsi della loro sostanza spirituale. Ti guardano, ma pare che non ti vedano, non sorridono più, mutano anche voce, hai l'impressione che non siano più uomini, ma pesci, non so, ectoplasmi, baccelloni di ultracorpo, marziani travestiti da terricoli.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Dicono: "Ah sì, ah sì, eh davvero, molto interessante". Chiedi una cosa qualunque, che riguarda il lavoro, e quelli dicono: "Ah non so, non ho visto, non ho sentito. Non ci sono disposizioni". Il lavoro già da un paio di settimane ti è sfuggito, vedi gli altri passarsi le carte, ma non una approda sul tuo tavolo, e tu resti lì, con le mani in mano, non osi chiedere, perché sai che ti risponderebbero sempre in quel modo, vai al gabinetto, e rischi di restarci chiuso da una segretarietta secca che finge di essersi sbagliata.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">"Ah, c'era lei, dottàre? Non l'avevo vista, sa". [...]</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La lettera di licenziamento, tutto sommato, è una liberazione, perché ti annulla definitivamente e ti lascia libero di reincarnarti altrove. "Tu avrai già capito perché ti ho fatto chiamare", dice il dirigente, e non aggiunge altro. Raccogli le tue robe, sfili davanti a porte chiuse, da dove non viene né una voce né un suono, non incontri nemmeno la telefonista, nessuno per le scale, anche il portiere ha abbandonato il suo abitacolo a vetri, e ti ritrovi nel turbinio della strada. Voltando l'angolo prendi una gran spallata da un camminatore frettoloso, che oltre tutto si volta a guardarti male.</span><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: 11pt; line-height: 107%;">»</span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-9107490112020177192015-05-04T21:11:00.000+02:002015-05-04T22:23:45.059+02:00Il non-dibattito sulle unioni civili a Reggio Calabria<div style="text-align: justify;">
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Note su un incontro pubblico incandescente.</i></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">29 aprile. Arrivo
trafelata, a dibattito già cominciato, all'incontro organizzato da Collettiva
AutonoMia a Palazzo San Giorgio, Reggio Calabria, con Graziella Priulla (docente a Catania), Demetrio Delfino (consigliere comunale PD), moderatrice Paola Bottero (autrice), Massimo Ripepi (consigliere comunale Forza Italia) e Giovanna Vingelli (docente Unical). </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Praticamente non si può
entrare. C'è un sacco di gente, molta in piedi, chi preme fin sulla porta. Il clima è caldo e partecipato. (Forse troppo). Mi faccio largo e trovo un angolino in
piedi da dove ho una visuale completa: ci sono madri con bambini, qualche
politico, vecchie conoscenze dell'attivismo reggino, varia umanità; ma noto
subito una cosa: vedo fluttuare tantissimi palloncini colorati. Strano, penso,
curiosa. Che...che cos'è? Cioè, che vuol dire? </span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<a name='more'></a></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma bastano
pochi secondi ed è tutto chiaro. La platea è spaccata in due, e quando
dico spaccata in due, intendo dire che quando una metà applaude e/o<span class="apple-converted-space"> </span><i>brandisce palloncini<span class="apple-converted-space"> </span></i>(proprio così: ho detto
"brandisce palloncini"), l'altra metà giace immobile, con una smorfia
di dissenso stampata in volto. E viceversa. (Ma solo una parte della platea ha i palloncini). Non mancano occhiate rapaci qua e
là, battute, commenti salaci fra le due fazioni - è proprio il caso di tirare
fuori questo termine -, che mi fanno pensare: guarda un po', ecco<span class="apple-converted-space"> </span><i>le due Reggio</i><span class="apple-converted-space"> </span>in una stessa stanza, sedute una
accanto all'altra, incontrarsi e parlare; un'esperienza più unica che rara in
un contesto dove di solito ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi. La cosa
mi fa addirittura piacere: rimuovendo per un attimo il trauma dei
palloncini - certe cose hanno bisogno di tempo per essere elaborate -, formulo
anche un pensiero del tipo "dai, che questa è la volta buona che
assistiamo a una specie di dialettica in questa città!". (Poi prevedibilmente rivelatosi niente più che una banalissima ingenuità). <o:p></o:p></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Arrivo dunque nel
bel mezzo del discorso del consigliere Ripepi. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ma facciamo
un passo indietro. Ripepi è quello che poche settimane fa è riuscito nella
non difficile impresa di farci respirare ancora una volta aria di medioevo, nel già non poco feudale contesto, facendo approvare una mozione contro l'istituzione di un registro delle
unioni civili in un consiglio comunale tristemente unanime, del tutto privo di
opposizione. Così riconfermando la speciale vocazione di Reggio Calabria a
farsi paladina della regressione culturale europea: sempre indietro di almeno
trent'anni, noi, sul resto d'Europa; sempre work in regress, sempre in prima fila nella
depressione. Ma consiglio di guardare </span><a href="https://www.youtube.com/watch?v=UyPmjkoKlkE&feature=youtu.be" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;" target="_blank">la registrazione di quella seduta (a partire da 1:43)</a><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">, veramente
esemplare, per rendersi conto dell'entità del fenomeno retorico in questione.
Si vede Ripepi perorare indisturbato una causa su cui nessuno in aula aveva
evidentemente avvertito l'esigenza di informarsi, prima della sua approvazione. Sì, insomma, parlo di questa
storia della "teoria del gender" (?) che porterebbe la
pornografia nei nostri asili e nelle nostre scuole. In
quell'occasione, il sindaco Falcomatà, che in campagna elettorale si era
dichiarato </span><a href="http://ildispaccio.it/reggio-calabria/50094-reggio-falcomata-annuncia-la-sua-partecipazione-al-calabria-pride-del-19-luglio-essere-in-piazza-segno-di-adesione-alle-cause-collettive" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">"dalla parte della
comunità LGBT"</a><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> sostenendo,
in un insospettabile afflato rivoluzionario, di sfidare "conformismi e
luoghi comuni", ha votato a favore della mozione di Ripepi senza battere ciglio.
Soltanto il consigliere Delfino si è astenuto, gliene va dato atto: ma, per
dirla tutta, perché non ha votato </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">contro</i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">? Questo per me
resta un mistero. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Nel frattempo, noi tutti si aspetta ancora #lasvolta. Sì. Un po' come Beckett con Godot.</span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Tornando a
mercoledì pomeriggio. A un certo punto Ripepi stesso confessa di aver copiato la mozione per intero
dalla proposta approvata in Veneto. Lo dice con
evidente intenzione di corroborare le sue opinioni (il ragionamento sottostante
è, evidentemente: <i>"se l'ho copiata, significa che è buona!"</i>),
trascurando però che copiare senza verificare le fonti è sempre un'operazione sbagliata, soprattutto quando si riveste una carica pubblica e si ha la facoltà
di intervenire sulle decisioni che riguardano la vita di tutta una comunità<span class="apple-converted-space"> </span><i>proprio sulla base di quelle</i>. Sulle fonti si sono soffermate in seguito Priulla e Vingelli, con abbondanza di argomenti. In primis, Priulla osserva che questa storia della pornografia nasce dal giornale <i>Libero</i>, che parla di un progetto realizzato a Trieste - "il gioco del rispetto" - fraintendendone integralmente il senso. Il progetto in questione, infatti, consiste nel problematizzare i ruoli di genere, per cui </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">"se una bambina vuole vestirsi da Spiderman, lo può fare", mettendo in discussione anche i modelli prescrittivi di genere tradizionali per cui le bambine dovrebbero identificarsi con la cura domestica e i maschi con gli attrezzi da lavoro. Da qui alla pornografia, si converrà, ce ne passa parecchio...</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Senonché, con un'immagine riuscitissima sotto un profilo retorico (in quanto fa leva sui "sentimenti"), </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ripepi dice </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">di non
voler contestare il principio della laicità dello Stato, no, lui non contesta
questo principio. Semplicemente non può, in qualità di uomo prima che di politico, "mettere da parte il proprio cuore". E nel suo cuore vi è
della fede cristiana. Perché rinunciare al proprio cuore? Rinunciare al proprio
cuore, sarebbe questa la laicità? Il ragionamento - ma sarebbe più corretto
parlare di flusso di coscienza - non farebbe una piega. Che male c'è? Paola
Bottero, poco prima, aveva citato Popper, Voltaire, ebbene questo "fa
parte del suo cuore"; nel cuore di Ripepi c'è invece della fede cristiana.
Semplice, no? Incredibile, in un secondo, è stato risolto il secolare dibattito del rapporto fra Stato e laicità. L'idea che il proprio cuore rinvii a visioni del mondo intrinsecamente escludenti, in quanto impedisce un riconoscimento giuridico a chi ne ha altre, di visioni del mondo, non sembra sfiorarlo neanche da lontano. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Il discorso
di Ripepi viene continuamente alimentato da applausi. Applausi decisi, forti,
netti, che ti fanno pensare a un esercito compatto di persone che sono
d'accordo su tutto. Quando non applaude,
brandisce sollecitamente i palloncini di cui sopra. Al che io comincio a chiedermi chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo.
Cerco lo sguardo di una persona amica, ho bisogno di un contatto umano, di
sapere che non è un sogno, che è tutto vero. </span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<br /></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Dopo una piccola zuffa sui numeri dei
votanti la mozione- un consigliere agguerrito, dalla platea, interviene infatti copiosamente nel
dibattito, nonostante sia stata prevista una lista per prenotare gli
interventi, da questi ripetutamente scavalcata con disinvoltura -, i</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">l consigliere Delfino motiva la decisione di astenersi dal voto</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> sostanzialmente con
l'argomento che riconoscere diritti non toglie niente a nessuno, e che la
prospettiva è proprio quella di allargarne lo spettro senza nulla togliere ad altri. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">L'impressione è che Delfino non voglia sbilanciarsi troppo, del resto questo argomento è molto sensato e di fatto nessuno fra coloro che hanno votato la mozione Ripepi ha saputo spiegare perché dare dei diritti a qualcuno dovrebbe togliere qualcosa ad altri, né perché riconoscere dei diritti debba configurarsi come "un attacco" ad altri, segnatamente la cosiddetta "Famiglia Naturale</span><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 13.5pt; line-height: 107%;">™</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">". In un vero dibattito si sarebbe risposto a questa domanda: perché riconoscere un diritto a qualcuno dovrebbe toglierne ad altri? Ma di un tentativo di risposta, neanche l'ombra.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Giusto <i>en passant:</i> "naturale" è un aggettivo che viene sempre utilizzato per appioppare un carattere di immutabilità a qualcosa che di fatto resta una pratica umana e in quanto tale soggetta a cambiamento, come ha sottolineato Vingelli. Quando si utilizza il termine "natura" in chiave normativa, si dimentica che il riconoscimento giuridico di un'unione fra due persone è intrinsecamente innaturale: non esiste, in natura, "il matrimonio" né le unioni civili, ovviamente. </span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Priulla
propone un discorso molto chiaro ed efficace sulle differenze di genere. Sesso e genere sono due cose diverse, uno è il dato biologico l'altro è
il modo di viverlo (<i>distinzione fondamentale che sfugge a troppe persone che si improvvisano opinioniste sul tema</i>); nessuno nega le differenze, tanto che si parla proprio di
educazione alle differenze di genere; non c'è nessun attacco
alla famiglia, non esiste "una" famiglia ma esistono più famiglie, e
altre cose molto sensate e argomentate. Se Ripepi poteva alimentare la verve
comunicativa col flusso pressoché continuo di applausi e palloncinate – sono costretta a introdurre un neologismo per il singolare fenomeno
-, Priulla deve fare i conti con continue interruzioni da parte di alcuni
soggetti del pubblico, sempre pronti a scattare se una parola devia dal percorso a loro gradito. Diversi momenti comici - <i>"anche i comunisti hanno sterminato gli omosessuali"</i>, ha detto qualcuno quando a un certo punto è venuto fuori il discorso dell'olocausto - hanno reso il tutto più tragico.<o:p></o:p></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Giovanna
Vingelli prova infine a proporre un'operazione quanto mai necessaria, avviata nei
giorni precedenti coi propri studenti, e cioè leggere e analizzare criticamente
la mozione in questione, discutendola frase per frase. Non posso trattenere un moto di commozione. Al mondo esiste ancora qualcuno che argomenta! Che attacca delle tesi ben precise con il ragionamento e i fatti! Brivido lungo la schiena, dopo l'analisi dell'espressione "istituzione naturale" presente nella mozione, di cui ho già detto; e ancora: la "teoria del gender" non esiste, come non esiste "un femminismo" ma esistono più femminismi, e ci sono tantissimi punti di disaccordo anche fra coloro che tematizzano le differenze di genere. Vingelli ricorda inoltre che la legge Scalfarotto non riguarda affatto le opinioni espresse, ma episodi discriminatori verso persone omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender: non si tratta, cioè, di sanzionare delle idee, diversamente da quanto si dica. Quando infine la docente cerca di spiegare che non è presente in nessun documento questa storia della scoperta dei genitali / masturbazione a scuola, Vingelli viene sommersa da voci di contestazione e di fatto non può più continuare. Che questa storia sia solo il frutto di una campagna diffamatoria diramata da certi organi di stampa, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">per gettare discredito su un discorso molto serio qual è quello delle differenze di genere e dell'educazione connessa, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">non sembra interessare gli interlocutori.</span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">In questo clima comincia dunque il dibattito. Qualcuno parla della necessità di introdurre l'educazione sessuale nelle scuole; quindi l'intervento di una signora che dice, <i>"siccome non sono una professorona, ma una docente delle scuole medie, scusatemi se sbaglio qualche verbo" </i>(sic), prima di accusare le presenti di nazismo - con tanto di accorato <i>"Arbeit macht frei"</i> - perché obbligherebbero i docenti a insegnare la "teoria del gender", con annessa pornografia (!), nelle scuole. Quando Priulla domanda alla signora donde abbia tratto queste informazioni e la signora risponde <i>"l'ho sentito dire"</i>, possiamo tastare con mano il livello di disinformazione dei detentori di palloncino alias sostenitori della mozione Ripepi. Degni di nota sono l'aplomb e la grande civiltà (forse troppa?) delle due docenti di fronte alle accuse infamanti rivolte loro. </span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Purtroppo devo andar via quando Renata, dell'UDI, si domanda perché, dal momento che la sua mozione è stata copiata, Ripepi non ne abbia presa una migliore, perdendomi ahimè ulteriori chicche interessanti, come questa "teoria del ghender" tirata fuori a un certo punto da qualcuno. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<b style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Un falso dibattito</b><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Non mi resta che rimangiarmi amaramente il pensiero iniziale, della dialettica possibile, troppo ingenuamente volemosebenistico. Una dialettica è impossibile per il semplice motivo che i registri adottati dalle due fazioni sono radicalmente opposti. Uno è improntato a formule retoriche, opinioni non documentate e flussi di coscienza</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">, l'altro all'argomentazione razionale.</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> Le prime ricorrono</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> a frasi effetto, a formule e schematizzazioni di facile presa emotiva</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">. L'argomentazione
razionale mira invece a sostenere una tesi ragionando in modo consequenziale e supportato da dati attendibili. Non bada dunque agli effetti, non fa
leva sull'impressionabilità dell'uditorio ma sulla sua <i>intelligenza</i>. L</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">a differenza è sostanziale. La pubblicità, per esempio, ricorre a forme
discorsive retoriche: essa infatti deve</span><span class="apple-converted-space" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">vendere</i><span class="apple-converted-space" style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">qualcosa. Sono moltissime le fallacie logiche presenti nella pubblicità. Come sappiamo, altrettanti sono gli effetti nocivi prodotti dalla mancanza di argomentazione nel dibattito pubblico, in quanto, come mostra la stessa mozione Ripepi, questo favorisce <i>scelte irrazionali che vanno a incidere,</i></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><i> di fatto, sulla qualità della democrazia. </i></span><br />
<br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Per rendere la misura di quello che intendo, mi sia concessa una parentesi probabilmente noiosa. Ho riscontrato parecchie fallacie logiche nel discorso di Ripepi. Mi limito a sottolinearne tre. Una è la tesi che, siccome in altre parti d'Italia la mozione anti-unioni civili è stata approvata, allora la mozione è buona. Si tratta di una fallacia di autorità, o argomento <i>ad verecundiam</i>, in cui semplicemente ci si limita a dire che una cosa è buona perché l'ha detta o fatta qualcun altro (in questo caso, regioni "più avanzate" della nostra...), il che è operazione ben lontana dall'argomentare. Dire "l'hanno fatto anche loro" non è un argomento: resterà sempre anche a questi "loro", addotti a giustificazione delle proprie tesi, l'onere di trovare un argomento. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La seconda. Sostenendo che se legittimiamo le famiglie omosessuali, nulla potrà vietarci di farlo con unioni di tre, quattro, nove persone, con magari anche il cane. Si tratta di un argomento fallace a catena (detto <i>slippery slope</i>), il cui schema è: se succede X, succede Y e anche Z, e poiché Z è disastroso anche X lo è. Ma non c'è alcun nesso diretto fra X e Y, così come parlando di Z non si fa che deviare dal compito di trattare il problema X.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La terza. Utilizzando come avversario retorico la non meglio specificata "teoria del gender", non riconducibile a nulla di preciso, quanto piuttosto a idee che ognuno adatta alle proprie esigenze polemiche, si compie una fallacia dello <i>straw man</i>, cioè si ricorre a un argomento fantoccio: la tesi contestata non esiste, è costruita ad arte per corroborare le proprie vedute. Non si contesta quindi una tesi reale e circoscritta, ma una tesi riproposta in modo errato perché così è più facile avere ragione. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Dati questi presupposti, ci ritroviamo davanti semplicemente a un<i> falso dibattito</i>. Mentre Priulla e Vingelli argomentano circoscrivendo le tesi da contestare, Ripepi e sostenitori/sostenitrici non prendono di mira alcuna tesi precisa, attaccando piuttosto idee attribuite, non realmente sostenute dagli avversari (es. pornografia nelle scuole, annullare le differenze, attaccare la famiglia, ecc.). </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b>Due osservazioni conclusive</b></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b><br /></b></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">1) A Reggio Calabria, ma direi in Calabria tout court, il femminismo non ha una voce forte e compatta come quella dei/delle seguaci di Ripepi. Ragione per cui è perfettamente possibile per una mozione del genere che passi indisturbata, senza che nessuno le opponga un controdiscorso. Questo è grave, ed è responsabilità di tutte e tutti costruirlo. Non smetto mai di dolermi della mancanza di una rete forte, capace di intervenire nel dibattito pubblico in modo pressante. Questo non diminuisce, tuttavia, la responsabilità dei consiglieri che hanno votato la mozione. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">2) Non basta, tuttavia, opporre un piano argomentativo a quello retorico. Opponendo due - ottime - docenti universitarie a Ripepi si è compiuta un'operazione in cui</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> si opponevano argomentazioni a formule retoriche, impedendo allo "scontro" di qualificarsi immediatamente in termini politici. Infatti, anche qualora chi sostiene la mozione avesse prodotto buoni argomenti, le visioni avrebbero continuato ad essere diverse. E' qui che dal piano "logico", per quanto imprescindibile, si passa a quello politico. Se, da un lato, la necessità di informare su un tema in cui vige indisturbato l'opinionismo rampante è imprescindibile, dall'altro la questione è politica e richiede un approccio politico. </span></div>
</div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-23207229988758758812015-04-25T12:17:00.000+02:002017-05-22T09:26:14.466+02:00Chi la pensa diversamente da te<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Essere d'accordo con se stessi, ma anche no.</i></span><br />
<span style="font-family: "georgia";"></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">' un fatto. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Pare che nel mondo esista gente che la pensa diversamente da me.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Sgomento a parte, apprezzo e detesto il fatto che la gente non sia d'accordo con me; che possa cioè disinvoltamente formulare pensieri che non hanno tenuto conto del lungo defatigante processo che ci ho messo per pensare i miei. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Lo detesto perché, diamine, come fai a non vedere che x è y? E' del tutto evidente in virtù di z e q! Devi rendertene conto! Pago le conseguenze della tua ignoranza! Io mi sono già accomodata, gli unici posti liberi sono là, sì, proprio là. Dalla parte del torto. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">E perle ai porci, e la ggente non capisce, e compagnia bella.</span></div>
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ma lo apprezzo quando mi permette di attivare qualche zona imprecisata del cervello che mette un po' di disordine tra le mie convinzioni (che tendo a rappresentarmi, realizzo adesso, come giuste e ineluttabili nella loro cristallina verità: ci ho messo una vita a farmele!), e le costringe a un momento di reset, o di regresso verso i presupposti. Insomma, a pormi domande che altrimenti, con gente che la pensa come me, non mi sarei posta, perché col tempo le risposte prendono il sopravvento sulle domande e tendono un po' - ma solo un po' - a dimenticarle.</span></div>
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Perché lo spazio pubblico richiede che si argomenti, e le premesse che dopo un po' sopiscono per esistere solo come conclusioni, devono riessersi premesse e nella dinamica dialogica esse non devono dare per scontato nulla. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Perché nell'argomentazione le persone non hanno storia, ma solo argomenti. </span></div>
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">C'è qualcosa di crudele in questo, ma gli è che finora non è stato trovato un criterio migliore per, come dire, "negoziare intersoggettivamente verità".</span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> </span></div>
<div align="justify">
</div>
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia";">Poi non è detto che tu dici il vero, eh*. Ma ti ringrazio perché mi hai permesso di capire meglio cosa io stessa intendo (sic!) e di elaborare strumenti di difesa razionale che altrimenti avrei lasciato ammuffire nella mia invisibile cassetta degli attrezzi, tra un "sono d'accordo con me stessa" e l'altro.</span></div>
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia";">Se, invece, alla fine non posso che ammettere che tu dici il vero, finisce che abbandono le mie convinzioni perché la tua tesi è giusta e sarebbe incontrovertibilmente sciocco ostinarsi a ritenere il contrario. Può essere sgradevole e richiede una certa autodisciplina che naturalmente mi manca; ma ci sto lavorando. </span></div>
<br />
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia";">Quel briccone di Aristotele non poteva non essersene accorto. </span></div>
<blockquote class="tr_bq">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">"[...] ed è bene essere grati non solo a coloro di cui condividiamo le credenze, ma anche a coloro le cui opinioni si sono dimostrate più superficiali; perché anche loro hanno portato un contributo - perché ci hanno preparato la strada. Se Timoteo non fosse esistito, ci mancherebbe una parte importante della poesia lirica; ma se non fosse esistito Frini, Timoteo non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto. Lo stesso vale per coloro che hanno espresso opinioni sulla realtà. Perché da alcuni di loro abbiamo ricevuto certe opinioni, ma altri sono stati la causa dell'esistenza dei primi". </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">[Da <i>Metafisica</i>, 2.1]</span></div>
</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><span style="font-family: "georgia";">E insomma ecco a me questa cosa sembra proprio fichissima. Quello che chiamiamo progresso esiste non solo grazie a chi pensa cose corrette, ma troppo sottovalutato è il ruolo degli errori, il ruolo di chi pensa cose rivelatesi sbagliate.</span></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">Diceva William James che </span><span style="font-family: "georgia";">"</span><i style="font-family: Georgia;">l'intelligenza non è altro che una riorganizzazione dei propri pregiudizi</i><span style="font-family: "georgia";">". </span><span style="font-family: "georgia";">Non si finisce mai di scoprire che, per quanto ci si creda illuminati e al passo con la Visione Giusta del Mondo, si è pieni fino al collo di pregiudizi. (Ok, è il caso di aggiungere che non ci sono più le mezze stagioni?). C'è un meccanismo perverso di interiorizzazione di autorità nelle persone; e forse quella che Hume chiamava <i>abitudine</i> svolge in questo un ruolo fondamentale.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Quanto alle dinamiche sociocognitive connesse, avviene che quando stai sempre con quelli del tuo stesso ambiente, il tuo modo di ragionare ne esce riconfermato e rafforzato, ma al contempo potenzialmente più chiuso, che fa rima con ottuso. Quando esci dal tuo ambiente, è allora che - oserei dire - finisci veramente per pensare. C'è tutta un'altra epistemologia là fuori, e tu non te ne eri neanche accorto, la cosa non ti riguardava né lontanamente ti sfiorava, tutto preso com'eri in quest'esercizio di riconferme nel quale pensavi si risolvesse l'attività intellettuale. </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<br />
<span style="font-family: "georgia";">Forse, dal momento che hanno tutta l'aria di essere, in fondo, ineliminabili, quel che fa davvero la differenza è il saperci convivere, con questi indesiderati ospiti fantasma (i pregiudizi), sviluppando magari una sorta di prontezza cognitiva a rimetterli in questione in ogni momento (con le dovute garanzie, però, ché non è che "<i>i fatti sono interpretazioni e tanti saluti</i>" e tutto tutto può essere messo in discussione così, come bruscolini - chiaro). Non è per nulla facile ed è anzi uno dei problemi principali dell'umanità - ne ostacola cerebralmente il progresso -, benché riconosca ai pregiudizi anche un ruolo di, come dire, stabilizzazione cognitiva.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "georgia";">Ma comunque.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Conclusione: chi la pensa come me è per ristoro socio-esistenziale, per l'azione, per l'approfondimento viscerale di quanto già confermato e per la commemorazione delle proprie idee medesime e insomma ci siamo capiti. Chi non la pensa come me, però, mi riesce, spesso, dannatamente più interessante. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Talvolta, entrare nelle epistemologie altrui, in altri universi cognitivi, che funzionano con altre premesse, con altre esigenze veritative, può costituire un'esperienza eccitante, da cui si esce in qualche modo rinnovati, cresciuti. Si potrebbe poi aprire tutto un capitolo sulla cosiddetta <i>apertura mentale</i> delle persone - che non consiste in altro che in quella luce che si accende quando qualcuno intende altro da te, ma tu anziché chiudergli la porta provi per un attimo a entrare nel meccanismo delle sue domande (perché non tutti partiamo dalle stesse domande, e ciò condiziona le risposte). Qui c'è poco da fare. Hai voglia a dirti filosofo e pensatore. Puoi benissimo dirti tale ed essere di un ottuso che dio ce ne scampi. Conosco filosofi (sedicenti, ça va sans dire) così fastidiosamente dogmatici, che quasi provo pena per la loro strutturale inaccessibilità a questo mondo dove ti poni veramente le domande, e non per finta. Naturalmente questo è un rischio che corriamo tutti, ma c'è chi ha uno speciale talento nel turarsi le orecchie di fronte all'eventualità che possa avere torto. Con tutti i rischi che ciò comporta. Siamo sempre lì: <i>è il desiderio di sicurezza a orientarti, o il desiderio di verità? </i>Ma è ben possibile imbrogliare anche nel rispondere a questa domanda...</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ecco, questo genere di imbroglio è veramente urtante, specie perché è molto diffuso. Farsi carico fino in fondo del rischio di mettersi a pensare non consente questo genere di sicurezze, significa disporsi a valicare dei confini comodi preparandosi all'eventualità di sconfinare nell'inaccettabile. Su questo ha scritto molto Nietzsche, che non a caso utilizzava il termine <i>pericolo</i> quando parlava di ricerca della verità. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>*qua uso i termini "vero", "corretto" e simili, nella loro accezione comune, e non nel senso della logica. </i></span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-78534009355316671652015-01-19T17:54:00.000+01:002019-02-07T19:45:34.638+01:00Criccofobia<div style="text-align: justify;">
<div align="justify">
<blockquote class="tr_bq">
<div style="text-align: right;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; font-size: x-small;"><i>«La vita è quella cosa che non finisce mai di aggiungere nuove voci al DSM-V» (Anonimo)</i></span></div>
</blockquote>
<span style="font-family: "georgia";">Succede. Cominci a sudare, i battiti incalzano, gli spazi ti appaiono improvvisamente opprimenti, lo sguardo cerca convulsivamente la via di fuga più vicina, un fischio sordo serpeggia insidioso nelle orecchie (sembra dire: "<i>vattene, prima che sia troppo tardi</i>"). Impossibile resistere all'impulso di metterti in salvo. Di, assolutamente, tirartene fuori. Sì, insomma, sto parlando della <i>criccofobia</i>. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"></span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Per via del mio essere criccofobica, ho un talento speciale: sento puzza di cricca anche dove i più non la sospetterebbero neanche da lontano. </span><span style="font-family: "georgia";">La tendenza risale alla mia più tenera infanzia. Giuro che ancora me lo ricordo, potevo avere sette, otto anni? Mi avevano portata in un posto tipo azione cattolica, dove c'erano gli animatori che ti dicevano mettetevi in cerchio e cantiamo questa bella canzoncina sulla felicità, con grandi sorrisi, di quei sorrisi che mettono a disagio perché decontestualizzati e indirizzati indistintamente a tutti. Dovevamo mimare le mosse di pipistrelli e vari ameni animali. Ecco, mi sembra ieri, ho quest'immagine lucida e presente: dovetti tirarmene subito fuori, mi venne una repulsione qui, difficile da spiegare. Un disagio strano, la sensazione netta e per certi versi violenta che <i>no, io non c'entro.</i></span><br />
<div align="justify">
<span style="font-family: "georgia";">Allora mi dissero <i>ehi ma perché non hai partecipato come tutti i bambini!</i> Ricordo che gli animatori non potevano accettare una cosa simile, dovevano insistere, mi vollero corrompere regalandomi un palloncino di tutto rispetto; una si inginocchiò davanti al mio metro e una virgola per dirmi <i>dai, vieni a giocare con noi, è divertente! perché non giochi con noi? guarda gli altri bimbi come si divertono. </i></span></div>
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span><span style="font-family: "georgia";">Prima di declassare il fenomeno a trauma infantile, va detto che è universalmente sottovalutata l'abilità degli umani di aggregarsi in cricche, di promuovere cricche, di esportare cricche, di trasformarsi ontologicamente da insiemi disgregati in cricche. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";">Ma in definitiva, che cos'è una cricca? Possiamo descrivere la cricca come la degenerazione di un gruppo di persone dallo status di gruppo di persone allo status di ammiccamento di gruppo. In pratica la cricca è un senso di approvazione che scaturisce dal fatto di far parte del gruppo stesso. E' la pacca sulla spalla, il "sei come noi e per questo ci piaci", è la nota di merito dell'appartenenza. C'è questa insopportabile aria di approvazione,</span><span style="font-family: "georgia";"> che fa presto a mutarsi in disprezzo per chi non appartiene - perché naturalmente non soddisfa i requisiti minimi di uguaglianza estetico-morale. N</span><span style="font-family: "georgia";">asce un gergo, un certo modo di applaudirsi addosso, una tendenza specifica a strizzarsi l'occhio a vicenda e a reciprocamente congratularsi per questo. </span><span style="font-family: "georgia";">Sì, insomma, siamo sempre in qualche modo a quella categoria hegeliana, tanto da me vituperata, che è il fantastico mondo di patty. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">Tengo a precisare che non avviene tutto <i>esplicitamente. </i>Tutto accade dietro una fastidiosa facciata di buona educazione, di normale routine relazionale. Allora il radar della degenerazione in cricca si attiva non appena cominci a sentire un sottile senso di costrizione, quando cominci a capire che ci si aspetta qualcosa da te "in virtù del gruppo". Tutto fatto col sorriso, con la disinvoltura dell'ovvia normalità, naturalmente. Ma proprio questo rende la cricca più potente, più pervasiva. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";">Generalmente si intende con "cricca" un gruppo chiuso di potere, che con le sue piccole grandi manovre riesce a perpetuare questo suo potere consolidato, in nome di una solidarietà basata sugli interessi. Io qua intendo il termine in senso più lato, perché ritengo che anche nell'informalità quotidiana si formino continuamente e inconsapevolmente piccole grandi cricche. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">Insomma, ma perché la fai tanto lunga? Che c'è di male ad approvarsi a vicenda? Giusto. Allora, provo a spiegarmi. A me un contesto dove l'essere come noi ti vogliamo diventa un merito mi fa orrore. E mi fa paura quello strano, <i>legittimo ma talvolta molto pericoloso</i> bisogno di identità e di approvazione degli umani che è alla base dell'esistenza stessa delle cricche. Perché pericoloso? Perché spesso gli umani rinunciano a cose importanti pur di essere approvati.</span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">La cricca è una forma di relazione profondamente normativa. </span><span style="font-family: "georgia";">C'era per esempio una conoscente che voleva darsi arie di essere "alternativa". Masticava rumorosamente dei chewing-gum, si guardava bene dal sorridere troppo perché questo avrebbe potuto essere scambiato per un cedimento all'ideologia borghese, sembrava avere in orrore ogni forma di gentilezza considerandola anch'essa un cedimento al nemico capitalista, e stava sempre attenta a che i suoi amici "libertari" rispettassero la <i>norma</i> libertaria (proprio così: ho detto norma libertaria). "Hai visto quella stronza de Claudia? Ha fatto x e y, inconcepibile...ecc...". Come nel film <i>Persepolis, </i>che a un certo punto si vedono queste due signore iraniane che beccano la ragazzina vestita "all'occidentale", la prendono per il collo per farla giudicare dall'autorità perché è una vergogna ecc. C'è sempre qualcuno pronto a perseguitarti perché non rispetti la norma; c'è sempre qualcuno pronto a spiarti nelle mutande per vedere se sei conforme all'idea di giusta società promossa dalla cricca; è uno degli sport preferiti della gente, quello di dirti come devi vivere - sì, insomma, il solito sadismo mascherato da normalità di cui abbiamo spesso parlato. Senonché la conoscente di cui parlavo, pur professandosi libertaria, ecco il paradosso, aveva un che di persecutorio e di poliziesco, che neanche il più antipatico dei tanto odiati "piccoloborghesi". E lo dico proprio perché per molti versi mi piace il pensiero libertario, in specie per il mai abbastanza citato <i>vivi e lascia vivere</i>. Ed eccola che arriva, annunciata da un brivido lungo la schiena, la criccofobia. Sono in due e hanno quel gergo, quel modo fastidioso di essere intrinsecamente d'accordo in quanto accomunate dalla medesima epistemologia sociale, quel certo sguardo sul mondo strappato alla gestapo, sempre all'attacco o sulla difensiva. A me con questa gente qua mi prende l'ansia criccofobica, e mi do alla fuga. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<i style="font-family: Georgia;">Perché non giochi con noi?</i><br />
<span style="font-family: "georgia";">Ho preso il paradosso della libertaria che di fatto non lo è per niente, ma se ne potrebbero fare moltissimi, dato che le cricche sono come i batteri: si riproducono per gemmazione. Ci</span><span style="font-family: "georgia";"> sono poi queste assemblee pseudopolitiche in cui conta di più esibire uno status sociopostculturale piuttosto che intervenire progettualmente o che. Anche lì, tutto quanto esca dal tracciato "</span><i style="font-family: Georgia;">siamo qui per riconfermarci nella nostra identità culturale, più che per fare qualcosa di politicamente sensato, anche se l'obiettivo in teoria sarebbe quello</i><span style="font-family: "georgia";">", implica sospetto, la non poi tanto spiacevole condanna alla non appartenenza. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";">Ma come ho fatto a dimenticare la cricca delle mamme? Quella è veramente atroce. Tranne rare e preziose eccezioni, ci tengo a dirlo, anche lì si avverte quella fastidiosa ma soprattutto fittizia pretesa di far parte di una comunità in virtù della comune esperienza del parto, da cui mi affretto scrupolosamente a prendere le distanze. Perché se non te ne tiri fuori subito, queste cricche ti fagocitano impietosamente, e finisci per parlare come loro, per pensare come loro, per guardare storto tutti quelli che non sono come loro, per abbandonarti alla semantica del martirio materno come loro. Non credo molto infatti nelle capacità umana di resistere a lungo senza farsi inghiottire dalla coazione ad essere uguali agli altri, e sento che anch'io, con l'abitudine, con una debolezza, sai quei momenti che perdi un attimo la lucidità, potrei senza accorgermene venire meno alle capacità di discrimine, e ritrovarmi così, all'improvviso, anch'io membro onorario di un mondo di patty qualsiasi. Per carità. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">Beh, nessun problema, si direbbe. Fosse questo la rovina dell'umanità, ecc... Ma oltre alla nuda e cruda criccofobia, che come tutte le fobie ha qualcosa di ancestrale e radicato negli abissi dell'io, e che come tutte le fobie qualcuno ce l'ha altri no, credo che sia un problema almeno per due ragioni.</span><br />
<span style="font-family: "georgia";">1) In termini di godibilità sociale. La criccotendenza colonizza il vivere sociale. Perciò, se nelle relazioni cerchi l'autenticità o qualcosa che anche pallidamente le assomigli, non ti restano che gli scarni residui non colonizzati: cioè le briciole. Ergo, non ti rimane che darti a un'asocialità per così dire forzata, e/o a più dure selezioni all'ingresso </span><span style="font-family: "georgia";">della compagnia che sei in grado di sopportare</span><span style="font-family: "georgia";">.</span><br />
<span style="font-family: "georgia";">2) Che è il più grave - in termini di, come dire, accesso alle risorse (immateriali e non). Infatti, com'è noto, nella società attuale per ottenere qualcosa, difficilmente non devi passare per una cricca. C'è una criccotendenza molto più intensa e pericolosa proprio in quei passaggi chiave, in quegli snodi invisibili che si trovano in prossimità dell'accesso alle risorse. E' il caso per esempio del mercato letterario in Italia. Più che il talento in sé, si richiede di <i>far parte del giro</i>, di avere le conoscenze, di soddisfare i criteri di approvazione stabiliti dalla cricca, esibendo lo stesso gergo, le stesse staccionate cognitive tra "noi e loro", la stessa smorfia di disprezzo stampata sul volto, quel dono di stare sempre dalla parte vincente dell'opinionismo che conta, ma soprattutto la stessa straordinaria abilità di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ecc. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">Perché tutto sommato la maggior parte degli esempi che ho portato sono di dilettanti in tema di cricca. Ci sono poi i professionisti della cricca, davvero pericolosi. Gli uffici stampa di partito che si spacciano per giornali, per esempio. I faccendieri o i propagandisti di professione, che appunto per professione sono tenuti a eliminare chi non coincida con i loro standard di credibilità sociale. Gli intellettuali di cui ho spesso parlato che fanno sistema e con una certa apologetica del potere finiscono per fare propaganda piuttosto che adempiere al loro compito, che in teoria consisterebbe nel dire la verità. Questo è un argomento molto serio e troppo sottovalutato, perché riguarda un meccanismo decisivo, quello della spartizione delle risorse e dei diritti connessi, iniquamente distribuiti - con "risorse" intendo generalmente anche cose come il potere decisionale, la possibilità di esprimersi, l'accesso a un determinato tipo di lavoro, eccetera. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
<span style="font-family: "georgia";">Ora, trascurando in questa sede le cricche partitocratiche e para-istituzionali che sono il vero grande cancro di questa società, queste micro o macrocricche informali, non immediatamente visibili, non immediatamente riconoscibili come tali, non vanno politicamente sottovalutate, nella misura in cui questo loro modo del tutto arbitrario di graziare o condannare il prossimo è irrazionale, ingiusto, arrogante e particolaristico. E' fatto della stessa materia di cui è fatto il feudalesimo. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";">Allora quel che bisogna fare, secondo me, è cercare di restare il più possibile fedeli a se stessi, nel senso di riuscire a non barattare il proprio umano, molto umano bisogno di identità e comunità con la propria autenticità. Di non farsi ricattare, insomma, e di riuscire a resistere alla tentazione di replicare a propria volta i barbari meccanismi da cricca. Non è per nulla scontato, ci vuole allenamento. (In questo senso, la criccofobia non è che una delle tante espressioni dell'istinto di autoconservazione). </span><span style="font-family: "georgia";">Perché, visto? anche dietro il più convinto libertario può nascondersi un criccotendente! O forse, diciamoci la verità, lo siamo un tantino un po' tutti? Non fa forse parte dei meccanismi di individuazione? Spero di no. </span><br />
<span style="font-family: "georgia";"><br /></span>
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<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/02/farsi-la-vita-degli-altri-ovvero-il.html" target="_blank">Farsi la vita degli altri, ovvero il paternalismo</a></span></div>
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Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-31039364990260399772014-12-04T12:06:00.002+01:002014-12-04T22:21:02.200+01:00Il linguaggio oscuro<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; text-align: justify;">
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Chissà, magari questo potrebbe
essere l’inizio della trilogia sugli intellettuali che sto maturando
con astio da tempo. Ho troppo da dire sull’argomento, quindi, onde evitare
di scrivere l’ennesimo papiro (ma chi mi paga? vabè che tanto poi lo faccio lo stesso), abbasso il tiro e mi limito a
quella sottocategoria di intellettuali – uso in questa sede il termine in senso
dispregiativo* - che scrive in modo oscuro: d’ora in poi,
gli "oscuristi" (parenti stretti degli oscurantisti?). Sono
quelli che mi rendono simpatico persino l’odiosissimo detto nazionalpopolare nonché gastro-linguistico,
“<i>parla come mangi</i>”. Pensa tu come siamo messi. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Dunque, sfoglia che ti sfoglia, ecco un bel
titolo, un bel tema, una cosa interessante, qualcosa che merita che io mi ci
fermi un attimo e anche più di un attimo a leggere. Fico. Dai, avanti così.
Scrivi scrivi, “mi piace”. Ma gli è che dopo titolo e sottotitolo, realizzi che nel leggere le cose oscuriste nessun essere umano può trarre
godimento alcuno. L'emozione che gli si associa è piuttosto quella della repulsione. <b>Se se, lo so, che scrivi per non compiacere nessuno</b>, che
scrivi “per te stesso”, che le masse andassero a farsi fottere eccetera. Certo
certo, condivido. Ma attenzione: ho come l'impressione che si abusi di questo argomento, che sia diventato <b>un alibi</b> <b>per mascherare </b></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;"><b>il nulla </b></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;"><b>con ricercato eloquio</b>, in modo da sembrare intellettuali. Magari, infatti, dalla lettura si traesse
dell’altro: se non il piacere, quanto meno dei contenuti, per esempio, una tesi, delle immagini o addirittura qualche
informazione interessante. Vediamo.</span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br />
Il piacere giace morto ammazzato all’angolo della
mia pazienza. Ma nel frattempo anche la ricerca di contenuti comincia a
preparare le valigie. Io e il mio esercito della
buona volontà siamo decimati, ma imperterriti continuiamo: orsù ciurma!
Dev’esserci dell’altro! Qualcosa, per esempio. Negativo capitana - mi dicono
dalle retrovie -, finora nulla.<br />
Ecco appunto che mi assale, durante la contorta
lettura, il dubbio di trovarmi di fronte a quell’entità che nei cartoni
animati i supereroi chiamano “<i>il nulla in altre forme</i>”. Sì insomma, quella cosa
che non è niente ma che si maschera in modo da sembrare qualcosa. E’ la stessa
sensazione che provo coi logorroici: quelli parlano, parlano, ma tutto questo
parlare non è altro che una decorazione compulsiva di un ben dissimulato vuoto.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br />
E alla fine, morto ammazzato il piacere
della lettura, fuggita a gambe levate la ricerca dei contenuti,
definitivamente strmazzata a terra la possibilità di trovare un’informazione,
eccomi a tu per tu con l’autore. Sì, insomma, <b>quello che ha scritto questa
roba</b>, come lo vogliamo chiamare, effusore di oscurità?<br />
Gliela leggo bella chiara in faccia, tutta la sua
psicologia, mentre trattiene le goccioline di sudore con uno sguardo fiero, e
tira su col naso in aria di sfida ma per farsi coraggio. </span></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<ul>
<li><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;">Vedranno che sono
molto colto. <b>Penseranno che me ne intendo!</b></span></li>
<li><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;">Nessuno potrà
attaccarmi, perché chi vuoi che capisca quello che dico? Hihihi! <i><b>Se non mi
capiscono, non possono neanche criticarmi!</b></i> E siccome narcisismo vuole che
nessuno ammetta candidamente “non ho capito”**, capire una cosa complicata come
quella che ho scritto sembrerà degno di essere esibito come una nota di merito. Dai, è fatta!</span></li>
<li><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;">Magari metto pure<b>
il curriculum alla fine, così penseranno che sono uno che conta</b>. E tutto
quello che dico diventerà credibile, per il sol fatto di scrivere "laureato", “professore”
o “ha scritto decine di articoli in svariate riviste importanti” in calce al mio
articoletto. La gente penserà: uno così titolato non può dire minchiate! Sono a posto wow.</span></li>
<li><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;">Eccomi dunque
entrato nella cerchia di quelli che dicono cose che bisogna leggere, linkare e
citare per essere a propria volta fichi. Non ci posso credere!!!</span></li>
<li><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; line-height: 150%;">Insomma, sarò un
intellettuale!!!!11 Corro a dirlo a mammà!</span></li>
</ul>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">
A occhio e croce, l’oscurista pensa questo. Non
venite a dirmi il contrario. E’ terrorizzato dalla possibilità di essere quello
che è, cioè banale. Vuole essere speciale, e non lo fa, stavolta, in modo
qualunque, ma bensì in modo patetico e, a dispetto di tanta fierezza, ridicolo: per il semplice fatto che<b> non ha gli strumenti per essere quello che vorrebbe essere </b>- segnatamente, un intellettuale. Certe cose uno se le deve sudare - semicito di nuovo Antonin Artaud - non può averle così, gratis, persino prendendo in giro gli altri, come se gli altri non sgamassero il trucchetto.</span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">E adesso, un consiglio al lettore medio, che rivolgo anche a me stessa. Quando
il dubbio di non capire un testo ti coglie (no, non mi riferisco alla<span class="apple-converted-space"> </span><i>Critica della
ragion pura</i>, ma a quell’articolo in quella rivista su
internet che il tuo amico appassionato di estetica tiene tanto a farti leggere), acquista il
kit, facile da usare ed economico, <b>“<i>ma de che stamo a parlà?</i>”</b> di <i>Meglio
tacere</i> edizioni. Ogni volta che penserai di essere tu a non arrivarci, la
magica domanda ti tirerà fuori dall’impiccio. <b>Tutte quelle frasi roboanti saranno costrette a ridimensionarsi </b>e fare i conti con l'elementare richiesta.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Il fenomeno rientra perfettamente in quella che Adorno chiamava <b>semicultura</b>, <b>anche nota come </b></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><i><b>middlebrow</b>,</i><span class="apple-converted-space"><i> </i><a href="http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-12-01/house-of-corna-124132.shtml?uuid=ABIHHGKC" target="_blank">come scrive Guia Soncini</a>, </span></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">cioè la cultura intesa come esibizione sociale di carattere narcisistico: <b>la cultura come arredo fashion</b>. Leggere Pierre Bourdieu e qualche profonda critica del gusto estetico di massa può essere utile per riconoscerla, ma non ve n'è necessariamente bisogno: personalmente, mi basta il senso di irritazione. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br />
Riconosco tuttavia in tutto questo un problema. <b>La
soglia del “non capisco” è molto variabile da soggetto a soggetto</b>, e molto
strumentalizzabile anche (leggi: "non ho capito, ma è colpa tua che non sai scrivere"). Prendi quegli autori che moltissimi ritengono
“oscuri”, e che invece devi fare lo sforzo e poi li capisci. Possiamo rivolgere
a costoro lo stesso rimprovero di questo post?<br />
Prendi un <b>Habermas</b>. Uno che per dire che le persone
si mettono d’accordo su un problema, dice che l’idea è intersoggettivamente
condivisa. Sì, insomma, la prolissità per eccellenza. Habermas è appunto
prolisso – tra un’espressione breve e una lunga, sceglie sempre la soluzione
meno economica – ma non è oscuro. Soggetto, predicato, complemento, rinviano a
dei referenti, agonizzanti magari, ma pur sempre
dei referenti: un “qualcosa”. Quindi Habermas tu puoi criticarlo, misurandoti con argomenti, quelli che lui espone: benché abbia tutta l'aria di farlo, non nasconde <i>il nulla</i> dietro un eloquio forbito - semmai complica le cose semplici e ammorba il lettore, ma questo è un altro discorso. Ho scelto un autore che non amo molto, per una sorta di mia onestà intellettuale, perché devo riconoscere che comunque, nonostante l'apparenza e lo scazzo nel leggerlo, qualcosa dice. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Certo,<b> la questione non è pacifica</b>, perché ci sono poi i dibattiti su personaggi semi-divini come <b>Heidegger,</b> che a mio avviso in diverse cose scritte non dice assolutamente nulla (dico, mai letto il saggio, "A che i poeti"? Il sol pensiero mi provoca reflussi gastroesofagei), mentre per altri sono intrise di significato...senza parlare dell'uso balordo delle maiuscole per dare un'aria mistica al tutto. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ad ogni modo, diffido profondamente di ogni testo che, per comunicare, abbia bisogno di <i>apparire</i> intellettuale: di solito, si avverte questo bisogno prepotente come il vero oggetto del testo in questione, in modo che l'aria intellettuale che si vuole trasudare a forza <b>mi distrae dal senso di quello che leggo</b>. I migliori sono quelli non già che riescono a dire in modo semplice le cose complicate (perché anche essere complicati non è certo di per sé un male, e non bisogna cedere alla tentazione di credere che si abbia il dovere di "parla come mangi", per carità), ma che <b>danno la priorità al senso </b>di quello che dicono, prima che a tutto il resto.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>*Ovviamente, con ciò sottintendo la possibilità di usarlo anche in senso positivo. Ci sono buoni intellettuali e cattivi intellettuali, secondo me (Costanzo Preve preferiva definirsi un "dotto", disprezzando il termine). Dico solo che la maggior parte dei cosiddetti intellettuali rappresentano solo la forma abortita del disperato tentativo di sembrarlo.</i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i><br /></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>**A proposito, <b>ma perché al giorno d'oggi sembra ci si vergogni di dire "non ho capito"? </b>Perché ci si sente in competizione quando si affrontano argomenti "intellettuali" e si cerca il più possibile di nascondere se non si è letto un libro o se non si conosce un autore o se non si è colto il senso di un argomento? A quale ansia da prestazione sociale è stata asservita la "cultura"? <b>Perché fare della "cultura" una specie di performance?</b> A questo argomento pruriginoso sarà dedicato, prima o poi, un altro post...</i></span></div>
</div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-54257315038258756132014-11-16T18:20:00.002+01:002014-11-16T18:40:06.672+01:00Carl Einstein/2 - Goethe, letteratura senza conflitto<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ecco un estratto da <i>Necrologio: 1832-1932</i>, che Carl Einstein scrisse dopo la morte di Goethe. Si tratta di un necrologio diverso da quelli cui si è abituati. Di solito, si lodano le qualità morali, i meriti letterari del morto; qui, invece, si dà libero sfogo a una critica corrosiva. Questo pezzo è interessante non solo perché è un raro esempio di critica spietata di un'istituzione, di un classico che siamo abituati a elogiare, mostrandocelo in tutt'altra luce, ma anche perché, nel complesso, non è gratuita o estemporanea ma poggia su un ragionamento, su una visione del mondo. Ossessionato dalla morte e dalla decadenza, dall'inquietudine e dalle ombre, Einstein non poteva soffrire l'arte conciliante e pacificatoria, l'arte inoffensiva, non tragica, che cioè nega il conflitto come quella di Goethe - il cui ottimismo è giudicato </span><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: 14.5454540252686px;">«</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">reazionario</span>»<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">, al più segno di una </span><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: 14.5454540252686px;">«</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">onorevole mediocrità</span>»<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">. Si sia d'accordo o meno, i testi di Einstein fanno sempre pensare. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Vale la pena leggerlo anche perché, nell'atto stesso di essere corrosivo, trovo lo stile di Einstein assolutamente spassoso. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"></span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Da <i>Necrologio: 1982-1932</i>, in C. Einstein, a c. di G. Zanasi, <i>Lo snob e altri saggi</i>, Guida, Napoli 1985, pp. 63-72:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: 11pt;">«</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">[...] Goethe, ritardatario di un classicismo morente, è per i tedeschi
la quintessenza della sventura filologica. [...]</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> Con l'aiuto del tradizionale repertorio di allegorie imparate, egli si costruisce un metaforico olimpo da liceale. In altre parole: si fa bello con abili paragoni usati in modo decorativo. Ma in quest'antichità teatrale, [...] che, in realtà, riflette soltanto una sconfinata vigliaccheria, trova il modo di tenersi lontano senza rischi dai problemi di attualità [...]. Vogliamo enumerare alcuni aspetti scandalosi della sua antichità da liceale: in primo luogo un ridicolo ottimismo, un elemento del tutto reazionario con cui si evita vigliaccamente ogni critica e si rimette ad autorità superiori il compito di determinare il presente. I problemi fondamentali del decadimento e della morte sono pavidamente evitati. [...] Infine, una serenità ripugnante che è un requisito del Rococò, dell'aristocratico indolente. In base a questa concezione, l'arte elimina tutti i conflitti o li riconcilia in una rima carina. Notiamo in Goethe una fuga ininterrotta da tutti i dualismi che vengono sostituiti con il culto di un'unità inerte e senza conflitto [...]. Non occorre sottolineare che in una siffatta antichità convenzionale, sessualità ed erotismo degenerano in decoro [...]. L'etica di Goethe è identica, sotto ogni aspetto, alle convenzioni di un limitato ceto sociale. [...] E' stata molto lodata la chiarezza di Goethe, laddove nella sua opera troviamo una perfetta confusione e l'incapacità di guardare in faccia con coraggio i problemi che incombono. La poesia di Goethe è sostanzialmente poesia liberale, ossia egli conferma un'innocua realtà media e lascia intatte le convenzioni già esistenti su un presunto reale. Ciò gli consente di progredire tranquillamente e di considerare tutto innocuo, perché tutto è divenuto ormai inoffensiva letteratura misurata. [...] Un segno caratteristico di questa onorevole mediocrità è vedere, per esempio, come il sensibile sia identificato col bello e col gradevole e come le passioni siano graziosamente subordinate alla ragione. [...] è incapace di ricavare dall'entusiasmo più di un verso ragionevole e degrada lo stesso entusiasmo altrui al livello di un gioco sereno. Goethe è l'uomo non tragico, e ciò nonostante tutti gli orizzonti di Faust che, in ultima analisi, chiude da affarista di successo. </span></blockquote>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">E' molto elogiata la propensione di Goethe all'ordine e alla chiarezza: è una caratteristica del tipo debole che diffida della propria interiorità e sa vivere solo in circostanze sicure. [...] Si considera a torto grandezza interiore l'ampio repertorio della sua cultura oggettiva. [...] Socialismo come via verso il certificato di matrimonio, ribellione impune come pezzo di varietà. Un filisteo dell'evoluzione, la Greta Garbo del darwinismo con la folta barba di un profeta fallito.</span></blockquote>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">[...] E' davvero ripugnante vedere come Goethe ritenga significativo ogni istante della sua vita e, per paura di morire, prepari il suo monumento biografico. [...] E' solo un modo diverso di designare un'osservazione priva d'interesse, uno sfruttamento estetico degli eventi. [...]</span></blockquote>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Goethe era così preso dall'idea della felicità da considerare il reale solo come un continuum, mai come uno stupefacente paradosso mortifero. [...] Non capì che il valore dell'arte sta in gran parte proprio nella sua facoltà di accrescere l'inquietudine e l'assurdo. Non intuì mai il carattere mortifero dell'opera d'arte e, nonostante tutto l'acume faustiano, non riconobbe la qualità distruttiva dei simboli (che sono nati da antichi tabù); non capì che il mito e il simbolo si radicano nel conflitto tra l'uomo e il mondo primitivo e che l'uomo, tanto minacciato, si difende dalla realtà esterna creando una nuova realtà mitica. [...] non ha mai compreso la lotta per la struttura dell'uomo e del cosmo. Non ha mai diffidato delle parole e del linguaggio, bensì mascherava la sua mediazione descrittiva e il suo ottimismo servile con allegorie meschine, splendenti ma sorpassate. Così il Faust è, in effetti, un aneddoto metaforico con un'azione virtuosamente condita.</span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 11.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">»</span></blockquote>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Post correlati:</span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/03/carl-einstein1-rivolta.html" target="_blank">Carl Einstein/1 - Rivolta</a></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/11/affinita-elettive.html" target="_blank">Affinità elettive</a></span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-3138551884915738582014-11-15T10:17:00.002+01:002014-11-15T10:34:17.199+01:00Affinità elettive<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Non posso perdonare a <a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/03/carl-einstein1-rivolta.html" target="_blank">Carl Einstein </a>certe parole pesanti, sprezzanti, e probabilmente vere, su Goethe. Sì, insomma, quelle</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">sulla sua "chimica creativa",</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> sulle libertà che si prendeva di usare i meccanismi di interazione delle particelle per farne delle metafore un po' ruffiane sulla vita. (Penso che ne pubblicherò un estratto: è un testo fenomenale). </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Carl Einstein lo rimproverava di compiacenza, e sono sicura che avesse ragione. E' infatti molto appagante per gli umani poter pensare che esista davvero qualcosa che somigli al concetto di affinità elettive. Sono quelle cose che quando torni a casa la sera ti danno il senso della giornata, l'universo ti sembra meno angusto e gli umani hanno l'aria di esserti accessibili e tu a loro</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">. Perciò, fosse pure un concetto costruito ad arte, una ruffianeria letteraria, la solita narrazione gratificante per il pubblico: che importa. Le mie illusioni me le tengo strette, me le sono sudate, e le affinità elettive sono tra queste. Ne ho sperimentate e continuo a sperimentarle - l'illusione sta nel non cedere alla tentazione del troppo facile disincanto, a quella voce corrosiva che dice: è tutto vano! Ognuno segue le sue proprie logiche! Ognuno segue le sue opportunità - gli altri, una convenienza. <i>Le affinità elettive sono quell'esperienza relazionale che rende impossibile, sul nascere, qualsiasi pensiero di questo tipo. </i></span><br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ognuno di noi ha un modo tipico di vedere le cose, ha una narrazione preferita, un certo taglio nel raccontarsela che si ripete. Il mio modo è anche questo. Penso che siamo profondamente soli, talvolta mi piace prendere liberamente a prestito la metafora di Kuhn, dell'incommensurabilità dei paradigmi, per descrivere la comunicazione tra umani: ciascuno ha tutto un suo lessico familiare, un suo alfabeto emotivo, visioni ed esperienze accumulati a strati, che fanno un sistema relativamente aperto e poi, relazionandosi, devono fare i conti con altri lessici, altri bagagli semantici, altre visioni ed esperienze, e la parvenza di uno scambio ricade su se stessa, frustrata. Talora lo scarto è grande, tra me e te c'è un dislivello cognitivo (in realtà anche <i>emotivo</i>) che non ci capiamo, come monadi procediamo su due rette parallele che non s'incontrano neanche se lo vogliono, e la relazione si esaurisce da sé senza stare troppo a raccontarselo. Come nel caso di una battuta che fa ridere </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">nel contesto di una cultura, ma </span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">nel contesto di un'altra non viene colta, perché comprenderla presuppone una serie di <i>codici condivisi invisibili </i>che sempre lavorano sottotraccia quando ci si capisce, ma della cui esistenza si viene improvvisamente a conoscenza solo quando vengono meno. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma, banalmente, accanto al moto centrifugo che spinge ciascuno a richiudersi le porte dietro, sbarrando il passo al mondo, dei contro-movimenti agiscono in senso contrario - si tratta, fra le altre cose, delle affinità elettive. E' quando scopri quella semantica comune, uno stesso alfabeto esistenziale, un certo taglio intangibile comune nel parare i colpi del mondo e nel costruire realtà, che invincibilmente si rivela e tu non puoi che prenderne gioiosamente atto. Le affinità elettive obbediscono a una legalità propria, seguono il loro moto, la loro razionalità. Nel romanzo di Goethe, è evidente che esse si prendono le loro libertà irresistibili, beffandosi, per una sorta di forza coerente interna, delle convenzioni sociali e dei lacci che obbligano la vita a tradire le sue logiche. Nel libro di Goethe si parla di amore, ma le affinità elettive sono anche il volto più bello delle vere amicizie (faccio parte di quello sparuto gruppo nell'universo che ancora crede nell'amicizia). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Il concetto evoca una scelta irresistibile, secondo un ossimoro potente ci dice che vi è una scelta - un'elezione appunto - ma al contempo il dato di un'affinità. Non si può opporle resistenza, l'affinità elettiva accade. Al più, la si può coltivare: sarebbe un delitto non farlo. Ci si riconosce subito: un po' come quella fratellanza segreta, immediatamente nota ai protagonisti anche quando non si conoscano, tra persone che tengono un libro in mano, secondo il racconto di Kundera. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ma n</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">on sono gli stessi libri che abbiamo letto, gli stessi posti che abbiamo frequentato, o i ruoli che abbiamo avuto: c'è lo stesso<i> codice intimo a monte</i>.</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"> Non bisogna essere uguali, anzi spesso si è molto diversi: ma c'è un immateriale retroterra comune, forte e potente, che agisce sottotraccia. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Trovo il fatto entusiasmante nella misura in cui sono cosciente che non è per nulla scontato entrare in connessione, come insegna la metafora di Kuhn che arbitrariamente applico alle relazioni umane. Entrare in connessione - seguire lo stesso filo, capito? - è l'eccezione, preziosa.</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Le persone con cui ho un'affinità elettiva sono punti luminosi, sempre accesi anche quando assenti, di cui ho regolarmente bisogno per sperimentare sempre di nuovo <i>quel</i></span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">la rara, ritemprante esperienza di capirsi al volo con un'altra persona</i><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Almeno al pari dei sentimenti, le affinità elettive levano al panorama umano che ci circonda quell'aria informe che talvolta ostenta, per dare un senso ai volti, per individuarsi a vicenda, per muoversi nella selva delle relazioni assegnando loro, con cura, il loro peso specifico. Le affinità elettive rendono questo cicaleccio continuo che sono gli altri, improvvisamente sopportabile - nella misura in cui rendono attuale la possibilità</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">, viva e fulgida,</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> che esso venga interrotto...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Allora, se il moto centrifugo e quello centripeto in qualche modo si compensano, è un po' come eros e thanatos: solo l'amore, inteso come l'impulso a unire, può opporre resistenza alla morte e contrastare la tendenza disgregante delle cose - è l'eterna "lotta dei giganti", per dirla con Freud. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">In breve, le affinità elettive sono il mio miglior contro-argomento alla tesi del disincanto. Si badi, le affinità elettive non salvano, non ci tolgono alle contraddizioni, non garantiscono il lieto fine - semplicemente, sono il moto inverso e coraggioso a quella tendenza disgregante che si fa fatica, da soli, a contrastare. </span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-3811871961553846892014-10-26T16:03:00.000+01:002014-10-26T19:18:45.881+01:00Già impegnata con il voto?<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Improvvisamente, tanta gente è interessata a
sapere se io sono impegnata. No, non in quel senso. Nel voto, s’intende.</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> Avessi tanti spasimanti quanti
quelli che mi hanno “chiesto il voto”, starei fresca. Immagino, se tutti i
santini dei candidati che ricevo - quest'anno ci sono più candidati che abitanti -, fossero tratti da un catalogo di pretendenti? Avrei l’imbarazzo della fuga. Cosa
c’è di meno sexy di una faccia da fototessera, col cognome sparato in cubitale, i bordi
arancione fosforescente, e una scritta ricolma di struggente speranza o accorato richiamo alla redenzione (durante le elezioni, poi tutti stronzi come prima) del civico consesso? </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Pesco a caso: c’è uno che, con sguardo simil-arrapante, scrive
persino che vuole essere giovane, sì, ma con gli “antichi valori”. Prima o poi devo fare una raccolta di slogan elettorali, hanno tanto da dare alla letteratura.</span><br />
<a name='more'></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ma veniamo al punto. Sono costretta a
lamentare un deficit cognitivo in relazione a questa domanda. Ogni volta che mi viene posta non ci arrivo, sorry, I
don’t understand. Non posso perciò fare a meno di chiedere: scusi, in che senso? Non ho capito. Che vuol dire se sono <i>già impegnata con il voto</i>? Segue risposta evasiva. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Mi ricorda tanto, per continuare con il
parallelismo amoroso, l’inizio di un approccio: per la serie, ehi pupa, hai già
promesso fedeltà a qualcuno? Terribile. Segue ammiccamento
con occhiolino ;) </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">E' una domanda come un'altra, mi si dirà. No che non è così. I modi di dire sono sedimentazioni di costumi e visioni del mondo. Tanto più che i</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">mpegno contiene la parola “pegno”, che ha a che fare con il concetto di pagare. Rinvia cioè allo scambio economico, a un do ut des.</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">L’impegno presuppone una fedeltà a
qualcuno, una garanzia, ti do la certezza che voterò te, <i>te e nessun altro</i>. Come
uno struggente: amerò te, te e nessun altro. Ora, mi chiedo: perché, nell’ambito di una
democrazia occidentale del terzo millennio (così dicono), io dovrei dare a
qualcuno la garanzia di votarlo? Perché si dà per scontato che ciascuno si “impegni”
nel voto? Questo presuppone che:</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">-<span style="font-stretch: normal;">
</span><!--[endif]-->il
voto non sia segreto, il che va palesemente contro i principi costituzionali;<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-align: justify; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">-<span style="font-stretch: normal;">
</span><!--[endif]-->io
tenga a impegnarmi nella misura in cui tu, a tempo debito, ti impegnerai per me (<i>me</i>: non la comunità, nda).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Insomma, non mi sembra qualcosa di troppo lontano da un selfie in cabina elettorale.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>A Reggio Calabria si stanno svolgendo le elezioni dopo due anni di commissariamento del comune per contiguità con la 'ndrangheta.</i> <i>E questo è l'unico commento che mi sento di fare in merito.</i></span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-59602950375717293852014-10-24T22:23:00.003+02:002014-10-24T23:07:03.896+02:00"Scrivo di getto"<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i><b>cioè quando il sacro fuoco della letteratura ti avvampa "dentro"</b></i></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Torna a grande richiesta la rubrica di antropologia spicciola: <a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2013/10/profili-semiseri-dei-filosofi.html" target="_blank">dopo i filosofi</a>, è ora il turno degli scrittori. Spero di mantenere alto il livello della rubrica: di essere </i></span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">cioè </i><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">sempre acida, come si conviene.</i><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">A casa di un’amica c'era una serie
di romanzi di autori di oggi sparsi in mezzo ai classici - gli ho dato una sbirciata, perché sul tema esordienti contemporanei sono pressoché del tutto ignorante, e non mi dispiacerebbe leggerne qualcuno - nonostante le tristi esperienze del passato, che mi hanno obbligata a una serrata cura ricostituente fatta di classici dell'Ottocento. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sicché p</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">assando il dito da un dorso all'altro mi imbattevo su una quarta di copertina decisamente singolare.
Diceva “<i>La tizia tal dei tali, nata e cresciuta nella città tale …ha scritto il tale racconto e vinto il tale premio... scrivo di
getto</i>”. Ho sgranato gli occhi per un attimo. Ho letto bene? Proprio così, c'era scritto: "scrivo di getto". </span><br />
<a name='more'></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ho trovato quest’espressione
così irritante, che ho dovuto scaraventare immediatamente il
libro al suo posto, non prima di aver gettato un'occhiata piena di disprezzo alla foto dell'autrice che, con gli occhi umidi e impregnati di letteratura, scrutava un improbabile orizzonte. In un attimo, ho visto tutta la letteratura stramazzarmi davanti. <o:p></o:p></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">(Ma in fondo non ce l'ho con chi l'ha scritto. Ce l'ho con chi l'ha pubblicato).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Così ho pensato ai
luoghi comuni degli "scrittori". Mi fa sempre tenerezza vedere come la
gente proprio non si rassegni a essere quello che è: <a href="http://taccuinoanacronistico.blogspot.it/2014/06/essere-speciali-in-modo-qualunque.html" target="_blank">si vuole essere speciali a tutti i costi, ma lo si fa sempre, irrimediabilmente in modo qualunque</a>. Questo estratto di luoghi comuni ne è una
prova.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b><i>- Scrivo di getto.</i></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sottotesto: scrivere per me è
la cosa più naturale del mondo, baby. Nel senso cioè, non è che stia lì per ore a
sistemare una frase o a combattere alla ricerca della parola giusta. Flaubert
mi fa un pippa: io sono oltre. Io c’ho
il sacro fuoco della letteratura che mi avvampa “dentro”. Io ho la
vocazione, voi no, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">non potete capire. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Presente quelle ricerche che dicono, il talento non è un dono naturale-divino, ma è il frutto di un’applicazione e un impegno continui? Gliene fornirò una copia. Concordo con chi dice che la scrittura sia una cosa molto poco naturale, che la scrittura sia una forma di artificio. Parole come lucidità, ragione, controllo, rientrano a pieno titolo, a mio modesto avviso, in quest'esperienza. Nulla di più lontano da questa concezione vitalistica della narrazione.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ho una brutta notizia per codeste persone. Scrivere di getto, molto spesso, è solo una forma camuffata di dilettantismo. E poi non riesco a dissociare l'espressione "getto" dall'immagine del vomito. Non credo che sia questo che generalmente s'intende con "letteratura".</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-indent: -18pt;">- </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-indent: -18pt;"><b><i>Quando scrivo mi perdo. E io amo perdermi...</i></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Stranamente, questa frase l’ho
sentita dire soprattutto da persone che prediligono la narrazione autobiografica
nel senso deteriore del termine, in stile cioè anima bella contro le avversità
della vita. Dove cioè “io” non si perde
affatto, ma anzi, è il motivo principale della narrazione, meglio descrivibile
come un esercizio di narcisismo spacciato per letteratura. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Per carità, noi siamo dalla parte del perdersi. La felicità ha probabilmente molto a che fare con l'esperienza del <i>Subjektlos</i>, del senza soggetto, del diluirsi nelle cose. Ma in primo luogo la condizione del senza soggetto è opposta per definizione a quella del narcisismo. In secondo luogo, lo stato di grazia da cui scaturiscono alcune migliori scritture è qualcosa di così complesso e raro che mi riesce davvero arduo attribuirlo alla gente a cui ho sentito usare quest'espressione. Davvero. Io ci provo, ma è più forte di me non ci credo. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ovviamente non ce l'ho col narcisismo: ce l'ho col narcisismo che vuole presentarsi diverso da quel che è. Ho sempre preferito il narcisismo sfacciato al narcisismo dell'anima bella...</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-indent: -18pt;">- <b><i>Io. Scrivo. Coi. Punti. Perché. Fa. Più.
Fico.</i></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Il punto, in effetti, è il
segno di punteggiatura più fico. Prendi un punto esclamativo e prendi un punto.
Il primo è da bimbominkia entusiasti [si fa per dire, nda: io li uso spesso, hanno qualcosa di liberatorio!!!], il secondo è della gente
tranchant, di quelli senza fronzoli capito, senza manfrine. Perciò, siccome voglio
sembrare fico, ne metto tantissimi, perché più punti = più fico, <i>semplice</i>. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sto ancora cercando di comprendere il mistero cognitivo che sta dietro questo curioso passaggio inferenziale. Si crede di essere più fichi e di incrementare la suspance. Ma quel che ne scaturisce è niente di diverso da un tentativo abbastanza sgraziato di appioppare al proprio testo un ritmo che non ha. Avvertiamo come protagonista del testo l'autore stesso, segnatamente la sua ansia di essere fico. In tale contesto, la storia non è che il pallido sfondo di questo io che non riesce a contenersi, di questo io che rappresenta l'unica giustificazione del testo stesso. Il correlato vocale di questo modo di scrivere è senz'altro la voce impostata dell'attore che ha preso troppo alla lettera le istruzioni della scuola di recitazione, non so come dire. </span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Facciamo così su due piedi un esempio:</span><br />
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-small;"><i>Quel giorno, si alzò dal letto con la fronte umida. Anna, si chiamava. Si guardò intorno. Cercava qualcosa. Non sapeva cosa. Si guardò allo specchio. Gli occhi arrossati. Il viso gonfio. Che succede, pensò. Prese lo spazzolino. Lavò i denti. Con energia. Qualcosa bruciava, lì dentro. Poi. Finalmente capì. Aveva l'influenza. Gliel'aveva attaccata lui. Il fratellino.</i></span></blockquote>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La mancanza di stile non è qualcosa a cui si possa sopperire con un'inflazione di punti - e un testo non è una tessera del supermercato.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><i>Ce ne sono molti altri, ma per il momento mi limito a questi. Data l'urgenza. </i></span></div>
Anacronistahttp://www.blogger.com/profile/03550648963971396002noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3555490179885612000.post-83589303674555221582014-10-16T18:51:00.001+02:002017-05-22T11:30:16.577+02:00Dice che hanno fatto un film su Leopardi<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><i>Questa è una non-recensione: si tratta solo di appunti sconnessi a partire da un film che non ho ancora visto.</i></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Faccio parte di quella schiera di persone che "il libro era meglio del film", quindi parto già col pregiudizio. Mi è capitato un sacco di volte. Per esempio, dopo aver letto un capolavoro straordinario come <i>Madame Bovary </i>di Flaubert, vidi il film e restai profondamente non già delusa, bensì incazzata. Non puoi abbassarmi il livello del libro con un film così scialbino, con un'attrice così "poco convinta" </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">- me ne frego che si trattasse di Isabelle Huppert -</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">, con un'atmosfera che ricorda tanto </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La casa nella prateria</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">. Sono operazioni che non si possono perdonare. Se t'interessa fare una trasposizione da un testo, devi partire dall'obiettivo che la tua trasposizione non sarà la copia del testo stesso però didascalizzato, altrimenti lascia perdere, la tua è solo un'usurpazione indebita di materiale prezioso. Il film deve avere una sua autonomia estetica, come dire. Presente il concetto di minestra riscaldata? </span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; text-align: justify;">Una volta una tizia a uno pseudoconvegno disse, </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-align: justify;">in fondo, Madame Bovary è la semplice storia di un adulterio...</i><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif; text-align: justify;">bene, questo concetto espresso da una persona che non aveva capito nulla del capolavoro di Flaubert, è esattamente lo stesso che possiamo trarre dal film su Madame Bovary. Il film, cioè, ci racconta l'adulterio e il suicidio, poi è stato bello ciao. </span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ma tornando al discorso, gira voce che hanno fatto un film su uno degli autori con cui ho sviluppato un legame affettivo di lunga data, cominciato in adolescenza proprio con le biografie - mi piaceva prima di tutto la sua vita: Leopardi era uno sfigato e pure triste! Leopardi era un erudito, sin da bambino! Era una persona sensibile, un incompreso, un disadattato... </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Cosa c'è di più interessante?</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> </span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"> - e proseguito con la prosa delle Operette morali e dello Zibaldone, che ho sempre preferito ai Canti. Ribadisco il concetto di Calvino: Leopardi sarebbe stato un grandissimo romanziere; nella prosa ha qualcosa di speciale.</span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Certo in questo caso non si tratta della trasposizione da un libro, ma della trasposizione da una biografia, il che espone il tutto a pressoché gli stessi rischi della prima, perché il pericolo di ridurre a una lettura, a un'aneddotica, all'arbitrarietà o meno di quel che piace a chi crea il film, è sempre presente. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ma i</span><span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">nnanzitutto quest'uscita cinematografica ha avuto il merito di farmene ricordare: da troppo tempo non pensavo più a Giacomo, presa da ben altre letture. Così, viste le clip, sono andata a riprendermi lo Zibaldone, questo magma incontenibile di pensieri e sentimenti. Immagino che l'uscita del film susciti la stessa reazione in più d'una persona. Questo m'interessa molto per via dell'anacronismo di Leopardi - nel senso polemico di cui sopra -: riattualizzare gli apparenti anacronismi è un'operazione che merita stima e incoraggiamento. Certo io non ho ancora visto il film, e come dicevo devo ammettere di partire già prevenuta. Innanzitutto il volto di Leopardi non lo immaginavo come quello di Elio Germano, e questo crea nella mia mente una dissonanza visiva che spero di mantenere: spero, cioè, che d'ora in poi nei miei pensieri Giacomo mantenga la faccia che in essi aveva prima, e pensandolo non pensi, per dire, alla faccia di Elio Germano. (Nulla contro questo attore, ci mancherebbe, spero si capisca che dico altro).</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">In secondo luogo, ho il terrore della piega da "fiction di papa francesco" o atrocità del genere. Purtroppo ho questa fastidiosa sensazione con moltissimi film italiani, che cioè mi sembrano tutte delle fiction, proiettate però su uno schermo più grande - in specie quelli biografici sulle Grandi Personalità Del Passato sono più esposti a questo rischio. Sarà riuscito Martone a evitare l'aria esasperantemente didascalica delle fiction? Sarà riuscito a non banalizzare, a non drammatizzare gratuitamente, a non imprigionare Giacomo dentro una lettura faziosa, restituendolo nella sua complessità? Chiedo, perché l'idea di fare un film su di lui, benché ammirevole, trovo che sia una sfida veramente tosta. Ciò non vuol dire che sia irrealizzabile. Trovare il giusto equilibrio è in fondo la sfida di ogni film. Va detto però che quando la storia è una storia ex nihilo siamo indubbiamente avvantaggiati; se si tratta invece, come in questo caso, di qualcosa di generalmente noto ai più, su cui cioè si è sedimentata una certa, come dire, forma di conoscenza collettiva, devi confrontarti con delle aspettative e, per fare un buon lavoro, devi deluderle risolutamente, audacemente tutte. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Del resto, ammiro la scelta, anche la sola scelta di un soggetto come Leopardi, che nel senso comune è associato al ridicolo concetto di pessimismo (non si usi questa parola in mia presenza), alla gobba e allo studio matto e disperatissimo, nonché all'Infinito e alla Ginestra da mandare a memoria per un 6 in italiano al liceo, e invece fu una delle personalità più dense e vitali che la letteratura ci abbia mai consegnato. </span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Subìta la catalogazione banalizzante da programma ministeriale, Leopardi ne esce irrimediabilmente compromesso: cosa può esserci d'interessante in un autore che sembra più una macchietta, un luogo comune sulla tristezza? Bisogna perciò uscire immediatamente dal concetto di programma e pure di ministeriale per accostarsi ai suoi testi così emotivamente connotati e così ricchi come i sentimenti di chi li creava; e per apprezzare tutte le sfumature linguistiche di un uomo così attento a cogliere le contraddizioni della vita, le pieghe dei sentimenti e così capace di modularne esattamente le forme nel linguaggio. Il film può dunque essere utile in tal senso: nel rendere vivo, degno di storia, qualcosa che l'aria burocratizzante dei programmi ministeriali, l'atmosfera stantìa delle scuole dalle pareti ingiallite in cui talvolta - non sempre per fortuna - si trova a essere letto, ha reso...poco interessante.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Ho sentito comunque un'intervista di Martone che dice di aver voluto porre l'accento sulla questione del corpo. Ho trovato molto interessanti queste parole. Leopardi aveva un corpo! Si tende a pensare, reduci da secoli di dualismo cartesiano, che corpo e mente siano due entità a sé stanti, e invece Leopardi stesso è la riprova del fatto che le cose non stanno affatto così. Qui si potrebbe aprire un intero capitolo sulla rimozione del corpo nella letteratura e nella filosofia occidentale da non so quale secolo a oggi...</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;">Insomma s-concludo questa non-recensione ridandomi appuntamento a dopo la visione del film <i>Il giovane favoloso, </i>con la promessa che, se i miei pregiudizi saranno confermati, sarò molto cattiva; altrimenti, sarò pronta a metterli in discussione. </span></div>
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