Tendenzialmente qualunquista, almeno quanto i leghisti criticati. Ma il tema mi è caro, e spesso solo un approccio indulgentemente narrativo-emotivo avvicina le masse ai libri. Si spera che la reazione dei più non si fermi alla sterile opposizione al Nord, ma all'approfondimento degli spunti offerti dal libro presso altre fonti, direzione autocoscienza storica.
Con questo genere di libri, facilmente dicotomici, banalmente oppositivi, di solito sono molto cattiva. Ma glielo perdono, perché - non nascondo - provo una specie di rabbia irrazionale per la subalternità coatta del meridione e il senso di inferiorità che provano i meridionali, per l'emigrazione di massa e per le lezioni di civiltà che giungono non richieste ogni giorno da molti settentrionali. Il libro asseconda e fomenta la mia rabbia, e se non avessi le cautele dello spirito critico cadrei in preda a un facile antisettentrionalismo.
La verità è che la ricchezza del Nord - Pino Aprile o non Pino Aprile - ha geneticamente molto a che fare con l'arretratezza del Sud. Proprio come avviene su scala mondiale con tutti i sud del pianeta.
Proprio come avviene con gli immigrati pagati miseramente per 14 ore al giorno - e pure presi a calci - nascosti dietro il Made in Italy. Su queste e altre contraddizioni si basa la ricchezza parziale e parassitaria di alcuni.
Il paradosso consiste nello scacco ideologico. Nel riuscire contestualmente a far credere al Sud, agli immigrati, a tutte le cosiddette categorie (rese) deboli, di essere loro il problema. Con tutto il corredo discriminatorio a livello di autorappresentazione e di immaginario collettivo.
Proprio come avviene con gli immigrati pagati miseramente per 14 ore al giorno - e pure presi a calci - nascosti dietro il Made in Italy. Su queste e altre contraddizioni si basa la ricchezza parziale e parassitaria di alcuni.
Il paradosso consiste nello scacco ideologico. Nel riuscire contestualmente a far credere al Sud, agli immigrati, a tutte le cosiddette categorie (rese) deboli, di essere loro il problema. Con tutto il corredo discriminatorio a livello di autorappresentazione e di immaginario collettivo.
Al di là delle mie inutili opinioni, la qualità del libro richiama vagamente le riviste di cui l'autore è stato direttore (Gente, ecc). I meccanismi “argomentativi” proposti infatti ricordano quelli dei grandi rotocalchi italiani che raccolgono nel singolo numero le struggenti storie di disabili, i miracoli di Padre Pio, le chiappe di qualche velina da sottoscala con annessa intervista "ora ho trovato me stessa" e un mazzo di carte napoletane in omaggio. Ciononostante, il libro funziona proprio per questo. In pochi leggono libri di storia, ancor meno ricostruzioni storiche diverse dalla storia mainstream, come dire, dunque per avvicinare i più al problema non si può che far leva su una certa dose di superficialità argomentativa combinata agli strumenti persuasivi dell'emozione. E poiché si tratta di un tema del tutto assente - se non per distorsione - nei media e nel dibattito pubblico, in questo caso il sacrificio della qualità per la quantità trovo che non sia del tutto da buttare.
(Tra parentesi, non dubito sulla verità di moltissimi dati terrificanti che l’autore si limita a raccogliere da altre fonti e riproporre. Dubito semplicemente delle modalità espositive, specie in alcune parti).
D'accordissimo sullo stile di Aprile, ma e' un libro veramente necessario...
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