Appunti di Storia moderna

lunedì 4 maggio 2015

Il non-dibattito sulle unioni civili a Reggio Calabria

Note su un incontro pubblico incandescente.

29 aprile. Arrivo trafelata, a dibattito già cominciato, all'incontro organizzato da Collettiva AutonoMia a Palazzo San Giorgio, Reggio Calabria, con Graziella Priulla (docente a Catania), Demetrio Delfino (consigliere comunale PD), moderatrice Paola Bottero (autrice), Massimo Ripepi (consigliere comunale Forza Italia) e Giovanna Vingelli (docente Unical). Praticamente non si può entrare. C'è un sacco di gente, molta in piedi, chi preme fin sulla porta. Il clima è caldo e partecipato. (Forse troppo). Mi faccio largo e trovo un angolino in piedi da dove ho una visuale completa: ci sono madri con bambini, qualche politico, vecchie conoscenze dell'attivismo reggino, varia umanità; ma noto subito una cosa: vedo fluttuare tantissimi palloncini colorati. Strano, penso, curiosa. Che...che cos'è? Cioè, che vuol dire? 

Ma bastano pochi secondi ed è tutto chiaro. La platea è spaccata in due, e quando dico spaccata in due, intendo dire che quando una metà applaude e/o brandisce palloncini (proprio così: ho detto "brandisce palloncini"), l'altra metà giace immobile, con una smorfia di dissenso stampata in volto. E viceversa. (Ma solo una parte della platea ha i palloncini). Non mancano occhiate rapaci qua e là, battute, commenti salaci fra le due fazioni - è proprio il caso di tirare fuori questo termine -, che mi fanno pensare: guarda un po', ecco le due Reggio in una stessa stanza, sedute una accanto all'altra, incontrarsi e parlare; un'esperienza più unica che rara in un contesto dove di solito ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi. La cosa mi fa addirittura piacere: rimuovendo per un attimo il trauma dei palloncini - certe cose hanno bisogno di tempo per essere elaborate -, formulo anche un pensiero del tipo "dai, che questa è la volta buona che assistiamo a una specie di dialettica in questa città!". (Poi prevedibilmente rivelatosi niente più che una banalissima ingenuità). 

Arrivo dunque nel bel mezzo del discorso del consigliere Ripepi. Ma facciamo un passo indietro. Ripepi è quello che poche settimane fa è riuscito nella non difficile impresa di farci respirare ancora una volta aria di medioevo, nel già non poco feudale contesto, facendo approvare una mozione contro l'istituzione di un registro delle unioni civili in un consiglio comunale tristemente unanime, del tutto privo di opposizione. Così riconfermando la speciale vocazione di Reggio Calabria a farsi paladina della regressione culturale europea: sempre indietro di almeno trent'anni, noi, sul resto d'Europa; sempre work in regress, sempre in prima fila nella depressione. Ma consiglio di guardare la registrazione di quella seduta (a partire da 1:43), veramente esemplare, per rendersi conto dell'entità del fenomeno retorico in questione. Si vede Ripepi perorare indisturbato una causa su cui nessuno in aula aveva evidentemente avvertito l'esigenza di informarsi, prima della sua approvazione. Sì, insomma, parlo di questa storia della "teoria del gender" (?) che porterebbe la pornografia nei nostri asili e nelle nostre scuole. In quell'occasione, il sindaco Falcomatà, che in campagna elettorale si era dichiarato "dalla parte della comunità LGBT" sostenendo, in un insospettabile afflato rivoluzionario, di sfidare "conformismi e luoghi comuni", ha votato a favore della mozione di Ripepi senza battere ciglio. Soltanto il consigliere Delfino si è astenuto, gliene va dato atto: ma, per dirla tutta, perché non ha votato contro? Questo per me resta un mistero. 
Nel frattempo, noi tutti si aspetta ancora #lasvolta. Sì. Un po' come Beckett con Godot.

Tornando a mercoledì pomeriggio. A un certo punto Ripepi stesso confessa di aver copiato la mozione per intero dalla proposta approvata in Veneto. Lo dice con evidente intenzione di corroborare le sue opinioni (il ragionamento sottostante è, evidentemente: "se l'ho copiata, significa che è buona!"), trascurando però che copiare senza verificare le fonti è sempre un'operazione sbagliata, soprattutto quando si riveste una carica pubblica e si ha la facoltà di intervenire sulle decisioni che riguardano la vita di tutta una comunità proprio sulla base di quelle. Sulle fonti si sono soffermate in seguito Priulla e Vingelli, con abbondanza di argomenti. In primis, Priulla osserva che questa storia della pornografia nasce dal giornale Libero, che parla di un progetto realizzato a Trieste  - "il gioco del rispetto" - fraintendendone integralmente il senso. Il progetto in questione, infatti, consiste nel problematizzare i ruoli di genere, per cui "se una bambina vuole vestirsi da Spiderman, lo può fare", mettendo in discussione anche i modelli prescrittivi di genere tradizionali per cui le bambine dovrebbero identificarsi con la cura domestica e i maschi con gli attrezzi da lavoro. Da qui alla pornografia, si converrà, ce ne passa parecchio...

Senonché, con un'immagine riuscitissima sotto un profilo retorico (in quanto fa leva sui "sentimenti"), Ripepi dice di non voler contestare il principio della laicità dello Stato, no, lui non contesta questo principio. Semplicemente non può, in qualità di uomo prima che di politico, "mettere da parte il proprio cuore". E nel suo cuore vi è della fede cristiana. Perché rinunciare al proprio cuore? Rinunciare al proprio cuore, sarebbe questa la laicità? Il ragionamento - ma sarebbe più corretto parlare di flusso di coscienza - non farebbe una piega. Che male c'è? Paola Bottero, poco prima, aveva citato Popper, Voltaire, ebbene questo "fa parte del suo cuore"; nel cuore di Ripepi c'è invece della fede cristiana. Semplice, no? Incredibile, in un secondo, è stato risolto il secolare dibattito del rapporto fra Stato e laicità. L'idea che il proprio cuore rinvii a visioni del mondo intrinsecamente escludenti, in quanto impedisce un riconoscimento giuridico a chi ne ha altre, di visioni del mondo, non sembra sfiorarlo neanche da lontano. 
Il discorso di Ripepi viene continuamente alimentato da applausi. Applausi decisi, forti, netti, che ti fanno pensare a un esercito compatto di persone che sono d'accordo su tutto. Quando non applaude, brandisce sollecitamente i palloncini di cui sopra. Al che io comincio a chiedermi chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo. Cerco lo sguardo di una persona amica, ho bisogno di un contatto umano, di sapere che non è un sogno, che è tutto vero. 

Dopo una piccola zuffa sui numeri dei votanti la mozione- un consigliere agguerrito, dalla platea, interviene infatti copiosamente nel dibattito, nonostante sia stata prevista una lista per prenotare gli interventi, da questi ripetutamente scavalcata con disinvoltura -, il consigliere Delfino motiva la decisione di astenersi dal voto sostanzialmente con l'argomento che riconoscere diritti non toglie niente a nessuno, e che la prospettiva è proprio quella di allargarne lo spettro senza nulla togliere ad altri. 
L'impressione è che Delfino non voglia sbilanciarsi troppo, del resto questo argomento è molto sensato e di fatto nessuno fra coloro che hanno votato la mozione Ripepi ha saputo spiegare perché dare dei diritti a qualcuno dovrebbe togliere qualcosa ad altri, né perché riconoscere dei diritti debba configurarsi come "un attacco" ad altri, segnatamente la cosiddetta "Famiglia Naturale". In un vero dibattito si sarebbe risposto a questa domanda: perché riconoscere un diritto a qualcuno dovrebbe toglierne ad altri? Ma di un tentativo di risposta, neanche l'ombra.
Giusto en passant: "naturale" è un aggettivo che viene sempre utilizzato per appioppare un carattere di immutabilità a qualcosa che di fatto resta una pratica umana e in quanto tale soggetta a cambiamento, come ha sottolineato Vingelli. Quando si utilizza il termine "natura" in chiave normativa, si dimentica che il riconoscimento giuridico di un'unione fra due persone è intrinsecamente innaturale: non esiste, in natura, "il matrimonio" né le unioni civili, ovviamente. 

Priulla propone un discorso molto chiaro ed efficace sulle differenze di genere. Sesso e genere sono due cose diverse, uno è il dato biologico l'altro è il modo di viverlo (distinzione fondamentale che sfugge a troppe persone che si improvvisano opinioniste sul tema); nessuno nega le differenze, tanto che si parla proprio di educazione alle differenze di genere; non c'è nessun attacco alla famiglia, non esiste "una" famiglia ma esistono più famiglie, e altre cose molto sensate e argomentate. Se Ripepi poteva alimentare la verve comunicativa col flusso pressoché continuo di applausi e palloncinate – sono costretta a introdurre un neologismo per il singolare fenomeno -, Priulla deve fare i conti con continue interruzioni da parte di alcuni soggetti del pubblico, sempre pronti a scattare se una parola devia dal percorso a loro gradito. Diversi momenti comici - "anche i comunisti hanno sterminato gli omosessuali", ha detto qualcuno quando a un certo punto è venuto fuori il discorso dell'olocausto - hanno reso il tutto più tragico.

Giovanna Vingelli prova infine a proporre un'operazione quanto mai necessaria, avviata nei giorni precedenti coi propri studenti, e cioè leggere e analizzare criticamente la mozione in questione, discutendola frase per frase. Non posso trattenere un moto di commozione. Al mondo esiste ancora qualcuno che argomenta! Che attacca delle tesi ben precise con il ragionamento e i fatti! Brivido lungo la schiena, dopo l'analisi dell'espressione "istituzione naturale" presente nella mozione, di cui ho già detto; e ancora: la "teoria del gender" non esiste, come non esiste "un femminismo" ma esistono più femminismi, e ci sono tantissimi punti di disaccordo anche fra coloro che tematizzano le differenze di genere. Vingelli ricorda inoltre che la legge Scalfarotto non riguarda affatto le opinioni espresse, ma episodi discriminatori verso persone omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender: non si tratta, cioè, di sanzionare delle idee, diversamente da quanto si dica. Quando infine la docente cerca di spiegare che non è presente in nessun documento questa storia della scoperta dei genitali / masturbazione a scuola, Vingelli viene sommersa da voci di contestazione e di fatto non può più continuare. Che questa storia sia solo il frutto di una campagna diffamatoria diramata da certi organi di stampa, per gettare discredito su un discorso molto serio qual è quello delle differenze di genere e dell'educazione connessa, non sembra interessare gli interlocutori.

In questo clima comincia dunque il dibattito. Qualcuno parla della necessità di introdurre l'educazione sessuale nelle scuole; quindi l'intervento di una signora che dice, "siccome non sono una professorona, ma una docente delle scuole medie, scusatemi se sbaglio qualche verbo" (sic), prima di accusare le presenti di nazismo - con tanto di accorato "Arbeit macht frei" - perché obbligherebbero i docenti a insegnare la "teoria del gender", con annessa pornografia (!), nelle scuole. Quando Priulla domanda alla signora donde abbia tratto queste informazioni e la signora risponde "l'ho sentito dire", possiamo tastare con mano il livello di disinformazione dei detentori di palloncino alias sostenitori della mozione Ripepi. Degni di nota sono l'aplomb e la grande civiltà (forse troppa?) delle due docenti di fronte alle accuse infamanti rivolte loro. 
Purtroppo devo andar via quando Renata, dell'UDI, si domanda perché, dal momento che la sua mozione è stata copiata, Ripepi non ne abbia presa una migliore, perdendomi ahimè ulteriori chicche interessanti, come questa "teoria del ghender" tirata fuori a un certo punto da qualcuno. 

Un falso dibattito

Non mi resta che rimangiarmi amaramente il pensiero iniziale, della dialettica possibile, troppo ingenuamente volemosebenistico. Una dialettica è impossibile per il semplice motivo che i registri adottati dalle due fazioni sono radicalmente opposti. Uno è improntato a formule retoriche, opinioni non documentate e flussi di coscienza, l'altro all'argomentazione razionale. Le prime ricorrono a frasi effetto, a formule e schematizzazioni di facile presa emotiva. L'argomentazione razionale mira invece a sostenere una tesi ragionando in modo consequenziale e supportato da dati attendibili. Non bada dunque agli effetti, non fa leva sull'impressionabilità dell'uditorio ma sulla sua intelligenza. La differenza è sostanziale. La pubblicità, per esempio, ricorre a forme discorsive retoriche: essa infatti deve vendere qualcosa. Sono moltissime le fallacie logiche presenti nella pubblicità. Come sappiamo, altrettanti sono gli effetti nocivi prodotti dalla mancanza di argomentazione nel dibattito pubblico, in quanto, come mostra la stessa mozione Ripepi, questo favorisce scelte irrazionali che vanno a incidere, di fatto, sulla qualità della democrazia. 

Per rendere la misura di quello che intendo, mi sia concessa una parentesi probabilmente noiosa. Ho riscontrato parecchie fallacie logiche nel discorso di Ripepi. Mi limito a sottolinearne tre. Una è la tesi che, siccome in altre parti d'Italia la mozione anti-unioni civili è stata approvata, allora la mozione è buona. Si tratta di una fallacia di autorità, o argomento ad verecundiam, in cui semplicemente ci si limita a dire che una cosa è buona perché l'ha detta o fatta qualcun altro (in questo caso, regioni "più avanzate" della nostra...), il che è operazione ben lontana dall'argomentare. Dire "l'hanno fatto anche loro" non è un argomento: resterà sempre anche a questi "loro", addotti a giustificazione delle proprie tesi, l'onere di trovare un argomento. 
La seconda. Sostenendo che se legittimiamo le famiglie omosessuali, nulla potrà vietarci di farlo con unioni di tre, quattro, nove persone, con magari anche il cane. Si tratta di un argomento fallace a catena (detto slippery slope), il cui schema è: se succede X, succede Y e anche Z, e poiché Z è disastroso anche X lo è. Ma non c'è alcun nesso diretto fra X e Y, così come parlando di Z non si fa che deviare dal compito di trattare il problema X.
La terza. Utilizzando come avversario retorico la non meglio specificata "teoria del gender", non riconducibile a nulla di preciso, quanto piuttosto a idee che ognuno adatta alle proprie esigenze polemiche, si compie una fallacia dello straw man, cioè si ricorre a un argomento fantoccio: la tesi contestata non esiste, è costruita ad arte per corroborare le proprie vedute. Non si contesta quindi una tesi reale e circoscritta, ma una tesi riproposta in modo errato perché così è più facile avere ragione. 
Dati questi presupposti, ci ritroviamo davanti semplicemente a un falso dibattito. Mentre Priulla e Vingelli argomentano circoscrivendo le tesi da contestare, Ripepi e sostenitori/sostenitrici non prendono di mira alcuna tesi precisa, attaccando piuttosto idee attribuite, non realmente sostenute dagli avversari (es. pornografia nelle scuole, annullare le differenze, attaccare la famiglia, ecc.). 

Due osservazioni conclusive

1) A Reggio Calabria, ma direi in Calabria tout court, il femminismo non ha una voce forte e compatta come quella dei/delle seguaci di Ripepi. Ragione per cui è perfettamente possibile per una mozione del genere che passi indisturbata, senza che nessuno le opponga un controdiscorso. Questo è grave, ed è responsabilità di tutte e tutti costruirlo. Non smetto mai di dolermi della mancanza di una rete forte, capace di intervenire nel dibattito pubblico in modo pressante. Questo non diminuisce, tuttavia, la responsabilità dei consiglieri che hanno votato la mozione. 
2) Non basta, tuttavia, opporre un piano argomentativo a quello retorico. Opponendo due - ottime - docenti universitarie a Ripepi si è compiuta un'operazione in cui si opponevano argomentazioni a formule retoriche, impedendo allo "scontro" di qualificarsi immediatamente in termini politici. Infatti, anche qualora chi sostiene la mozione avesse prodotto buoni argomenti, le visioni avrebbero continuato ad essere diverse. E' qui che dal piano "logico", per quanto imprescindibile, si passa a quello politico. Se, da un lato, la necessità di informare su un tema in cui vige indisturbato l'opinionismo rampante è imprescindibile, dall'altro la questione è politica e richiede un approccio politico. 

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