Sorry, è che è un periodo che "le cose semplisci della vita".
Accennavo alla scena del film Fight Club, in cui sconosciuti si incontrano e in stile gruppo di autoaiuto si abbracciano. Si tratta di una scena molto interessante: restituisce in pochi minuti tutto un retroscena di sofferenza, solitudine e squallore insopportabili, che le persone devono interrompere iniettandovi per così dire dei momenti di umanità e gratuità, di pura relazione fine a se stessa. Pena il crollo. Si tratta di ritrovare un po' di contenimento nel contatto con gli altri, una sensazione di familiarità, qualcosa che vagamente ricordi l'utero della mamma e l'indifferenziato originario da cui proveniamo tutti, dentro un mondo estraneo, brutto, cattivo e impersonale. Sicché questa sequela di automatismi in cui sembrano risolversi certe quotidianità, è per così dire interrotta e messa in questione da questo semplice, potente gesto dell'accogliere tra le proprie braccia un'altra persona. La scena strappa un sorriso, perché ha una certa potenza evocativa il fatto che gli abbracci diventino, nel film, parte di quella stessa routine a cui in qualche modo dovevano sopperire.
La funzione sociale dell’abbraccio è probabilmente sottovalutata. L’abbraccio è uno scambio tra umani che occupa quella intangibile zona di confine tra l'accoglienza dell'altro/a, l'affetto, l'amicizia, l'amore, il riconoscimento, la libertà nella relazione. Nell’abbraccio è marcato l'aspetto dell’alterità, della reciprocità, ed è trasversale a diversi tipi di relazione. E’ attenzione gratuita e esclusività. L’aspetto del ‘conforto’ non lo esaurisce certo: non pretendo, adesso, di tassonomizzare. Certo è che è uno dei gesti in cui i corpi si comunicano un grande senso di reciprocità.
Come suggerisce Fight Club, l’abbraccio spezza il circuito della tensione,
interrompe il decorso irrazionale della negatività, ferma l’abbrutimento e
costruisce una piccola isola felice, come uno scoglio nel mare: col mare non
può certo competere, ma sa difendersi e resiste nonostante tutte le onde che
gli arrivano addosso. L’abbraccio allenta la morsa del
brutto e del merda. L’abbraccio è anche difensivo, una forma gratuita di difesa
contro la guerra che ogni giorno bisogna affrontare per mantenersi a galla. Come
tale, la definirei come una forma di microresistenza: una di quelle tante
piccole esperienze che costellano ciascuna vita, accendendo in essa dei puntini
luminosi che alla fine formano una scia vivace – micro-esperienze di libertà
rispetto alle quali ciascuno dovrebbe poter vantare un diritto. Esiste un
diritto all’abbraccio?
Nell'abbraccio non sei una funzione economica, non sei un interlocutore formale, non sei un numero nella lista, non sei uno dei tanti esseri informi che circolano nelle città senza guardarsi in faccia, no, sei tu e io ti abbraccio. Il ‘tu’ trova un riscontro, nello scambio ritrova un po’ se stesso – vive un’esperienza di riconoscimento, cioè di riconferma del proprio sé all’interno della relazione. Come molte delle esperienze migliori della vita, non comprende nel pacchetto la comunicazione verbale – le parole non fanno parte della sua essenza. Essendo un’esperienza di comunicazione piena, non ha bisogno di didascalie; almeno, non necessariamente.
Nell'abbraccio non sei una funzione economica, non sei un interlocutore formale, non sei un numero nella lista, non sei uno dei tanti esseri informi che circolano nelle città senza guardarsi in faccia, no, sei tu e io ti abbraccio. Il ‘tu’ trova un riscontro, nello scambio ritrova un po’ se stesso – vive un’esperienza di riconoscimento, cioè di riconferma del proprio sé all’interno della relazione. Come molte delle esperienze migliori della vita, non comprende nel pacchetto la comunicazione verbale – le parole non fanno parte della sua essenza. Essendo un’esperienza di comunicazione piena, non ha bisogno di didascalie; almeno, non necessariamente.
Quando vedo una persona triste o con dei problemi, penso, chissà se avrà qualcuno da abbracciare o da cui essere abbracciata. Non avere nessuno da abbracciare è terribile: è forse proprio questo il significato che darei alla parola 'solitudine'. Quando vedo che la realtà è, spesso, ripugnante e che ci sono vite letteralmente devastate dalle piccole grandi angherie che questo stato di cose politico-economico (ma anche esistenziale) continuamente riversa sui singoli, penso, ci vorrebbe un abbraccio, un grande abbraccio caldo per tutti. (Magari un cambiamento politico radicale...certo, nda). Tutta questa gente con la faccia abbrutita dalle
rogne, tutta questa tristezza in circolazione potrebbe essere scalfita, anche
solo per un attimo, con un enorme, gigantesco abbraccio. Sto forse parlando di peace&love? Sto parlando di quella
categoria hegeliana molto denigrata, meglio nota come ‘volemose bene’? Non lo nego e me ne assumo la responsabilità, ma in ultima istanza, sto dicendo
che l’abbraccio può cambiare il mondo? Mi piacerebbe, ma la – mia – risposta è, banalmente, che può solo renderlo più sopportabile e tendenzialmente più umano. Dici niente...
Non ti ci facevo così peace&love :)
RispondiEliminaLeggendo il tag "microresistenze" mi è venuta in mente questa domanda: che ne pensi di quei tizi che talvolta stazionano nelle piazze con il cartello "free hugs" e distribuiscono abbracci agli estranei? A me mettono l'ansia. Sarà che l'idea del contatto fisico con un estraneo non è per forza piacevole, sarà che per me l'abbraccio è qualcosa che sottintende necessariamente un rapporto affettivo preesistente, sarà pure che, messa così, il gesto affettivo viene ripetuto in serie a prescindere dal significato e quindi mi sa di fordismo (!). Insomma, no bello, con buona pace delle presumibili intenzioni di critica al principio di scambio economico sottintese all'idea degli abbracci gratis... ma forse la cosa che mi mette più ansia è che per piazzarsi per strada con un cartello così bisogna avere davvero tanto bisogno di abbracci, perché come per il riconoscimento non si può abbracciare se non venendo abbracciati a propria volta. PS: se fossi in città ti direi "vediamoci" (con abbracci o senza), ma non lo sono... cmq domani ti scrivo un'e-mail :)
E va bene, lo ammetto, sono very peace&love: ma come ho già detto, me ne assumo tutta la responsabilità ;P La tua domanda casca a pennello, condivido le tue perplessità, penso che almeno in parte il tuo esempio possa essere paragonabile a quello della scena di Fight Club. Cioè mi sembra qualcosa come una parodia di un bisogno, il bisogno di essere accolti e accettati senza condizioni, al quale in un contesto alienato si risponde con l'abbraccio automatizzato, sicché questo automatismo - fordista ecc - rimanda proprio all'opposto, alla relazione fittizia. Come a dire che il bisogno di relazione alla fine non può che scontrarsi con la relazione automatizzata in un contesto che ha perso la possibilità stessa della relazione. Curiosamente, tanto l'esempio di Fight Club quanto quello dei free hugs delle piazze riguardano le grandi città, i luoghi della "spersonalizzazione", alienazione & co. per eccellenza. Quindi insomma tenderei a considerare la cosa come una metafora o uno spunto di riflessione sul fatto che la gente vuole essere accolta ma non ci riesce e allora impacchettiamo anche questo bisogno. Va detto poi che l'abbraccio tra estranei, come dici, sembra un controsenso, perché l'abbraccio è una manifestazione che, anche se amicale ecc, rinvia alla sfera dell'intimità, e invadere questa sfera viene vissuto appunto come un'invadenza, una cosa inopportuna che infastidisce: mi ricordo per esempio nella metropolitana di NY che era vietato guardare negli occhi gli estranei, perché gli occhi - un po' come gli abbracci - hanno a che fare con un'intimità. Sul "no bello" quindi non posso che concordare, salvo filosofeggiarci sopra :P
RispondiEliminaSono in città, ma è deserta e piovosa! Tutti in vacanza eh? Te la spassi anche tu? Brava brava! Spero che almeno tu ti stia divertendo! leggo molto volentieri la tua mail e ... un abbraccio :)