I.
Ovvero quando l'intelligenza è stupida.
- L'intelligenza senza sensibilità, quindi senza empatia, è stupida.
- L'intelligenza è sempre pratica, anche quando è astratta.
- L'intelligenza senza disincanto è stupida.
- L'intelligenza troppo disincantata è stupida.
II.
Un surrogato dei desideri.
- E se l'intelligenza fosse sopravvalutata? Non mi si fraintenda. Faccio un esempio.
Giovannino Perdigiorno - per usare l'illustre personaggio di Rodari - vuole un bel gelato al cioccolato. Però è in sovrappeso e dovrebbe evitare. Alla fine decide comunque di comprarlo, nonostante la dieta che dovrebbe seguire per prevenire problemi di salute. In questo contesto, la sua intelligenza può intervenire in almeno due modi:
1) in fondo, la vita è breve, meglio assecondare i desideri prima che sia troppo tardi pentendomi di non averlo fatto. Tanto poi, cosa vuoi che conti un semplice gelatino.
2) non dovevo assolutamente farlo, adesso dovrò fare più sport e saltare la cena. Stupido, non dovevo non dovevo.
In entrambi i casi, abbiamo delle razionalizzazioni ex post che non cambiano assolutamente l'azione già compiuta. Certo, potrebbero farlo a lungo termine: il senso di colpa per aver assecondato un "desiderio proibito" potrebbe aiutare a inibire ulteriori azioni future in tal senso. Ciò non toglie che l'intelligenza è intervenuta sul desiderio già soddisfatto:
a) o per fabbricarsi un alibi,
b) o come rimprovero.Il suo ruolo è di rinforzo o di punizione, in questo caso.
Rapportare quella che definiamo genericissimamente intelligenza (qualcuno chiamerebbe questo meccanismo "coscienza morale" ecc.) al mondo dei desideri è illuminante proprio per questo suo carattere almeno ambivalente di risultare funzionale al desiderio o contraria ad esso.
In questo contesto, l'intelligenza è la sede del come ce la raccontiamo. All'occorrenza, è la sfera del tutte scuse, per dirla con Kurt Cobain (lui usa il più fico: "All Apologies").
In entrambi i casi, che venga o meno soddisfatto il desiderio, l'intelligenza deve metterci lo zampino come motivatore o antimotivatore. Essa si limita a rimpastare in un modo o nell'altro il materiale preesistente ovvero l'unico, vero, motore di tutto: il desiderio.
Insomma, l'intelligenza può molto o può poco in relazione alla forza dei desideri. Ne è un surrogato più o meno debole. Tendo a credere che se il desiderio è forte l'intelligenza potrà solo trovare modi per legittimarlo. O, quantomeno, per renderlo più accettabile, cercando abbastanza scaltramente argomenti in suo favore. In caso contrario, il desiderio dovrà metterla in crisi. Freud diceva che il desiderio trova sempre il modo per come into its own, avere il suo tornaconto. Leggere queste parole mi ha fatto un certo effetto: c'è qualcosa di poetico, in questo. Spesso l'intelligenza viene usata dal desiderio, ripeto usata dal desiderio, nell'economia psichica secondo Freud, proprio a questo scopo. Lo schema è funzionalista e quello che volete: ma secondo me è vero assaje.
(Freud non è che parli di "intelligenza". Uso questo termine per rendere l'idea e naturalmente non stiamo tirando fuori tutto il discorso sull'inconscio e la topica psichica perché per me hanno un valore esclusivamente culturale, non essendo psicoalcunché).
Mi è capitato moltissime volte di fabbricarmi delle motivazioni ad hoc per legittimare dei desideri di dubbia opportunità o decisamente evitabili; oppure di non prestare attenzione a fattori della realtà che contrastavano con i miei desideri, tendenzialmente negandoli, quasi comportandomi come se non fossero esistiti. Capirlo dopo non è tutta 'sta botta di autostima, ma comunque. Possiamo dunque formulare il seguente principio non universale: talvolta, forse spesso, i desideri con la lucidità intellettuale ci fanno gli origami. Ripetiamo insieme.
III.
E se l'intelligenza fosse sopravvalutata?
- Mi è capitato di godere della compagnia di persone non particolarmente brillanti da un punto di vista intellettuale, talora anche tendenzialmente analfabete. E di annoiarmi mortalmente con persone molto istruite (credendosi per questo intelligenti). Ferma restando la strutturale tendenza all'asocialità, naturalmente dipende dai casi. Ricordo che c'era un tizio che ci teneva moltissimo a farsi identificare come persona intellettualmente dotata; lì per lì mi piaceva e voleva piacermi. Non nascondo il fascino per questo genere di persone. Ma poi mi sono accorta che si trattava di un pregiudizio. G. era assolutamente incapace di relazione. C'era dell'autismo emotivo, da cui tutta l'intellettualità - reale o immaginata - non lo aveva affatto difeso. Non so che farmene della tua intelligenza - posso chiarirmi un paio di opinioni, ma le nostre vite resteranno reciprocamente impermeabili, perché quel che conta non è il tasso di brillantezza intellettuale rispettivamente capitalizzato, ma l'entrare in relazione. Quella cosa chiamata feeling. Se tu parti con la performance, lo inibisci sul nascere e ti saluto sbadigliando. L'intelligenza senza feeling, come dire, non è arrapante.
Per arrivare a capire questa banalità ci ho messo un sacco di tempo. Per anni ho creduto fermamente il contrario. Credevo di dover e voler avere a che fare solo con persone "intelligenti". Ma progressivamente sto cambiando idea e ne sono sempre più convinta. Quel che voglio dire, naturalmente, non è che mi piace circondarmi di persone stupide, ma che l'intelligenza in fin dei conti è un requisito importante ma dopotutto secondario nel magico mondo delle relazioni umane.
Forse ho dimenticato qualcosa, ma per il momento mettiamola così. (Prossimamente su questi schermi l'illuminante opinione di Carl Einstein in merito).
PS: di recente ho vissuto un'esperienza che potremmo definire sconvolgente che mi ha chiarito ulteriormente queste e altre cose. Penso che ne parlerò, appena ho l'occasione.
III.
E se l'intelligenza fosse sopravvalutata?
- Mi è capitato di godere della compagnia di persone non particolarmente brillanti da un punto di vista intellettuale, talora anche tendenzialmente analfabete. E di annoiarmi mortalmente con persone molto istruite (credendosi per questo intelligenti). Ferma restando la strutturale tendenza all'asocialità, naturalmente dipende dai casi. Ricordo che c'era un tizio che ci teneva moltissimo a farsi identificare come persona intellettualmente dotata; lì per lì mi piaceva e voleva piacermi. Non nascondo il fascino per questo genere di persone. Ma poi mi sono accorta che si trattava di un pregiudizio. G. era assolutamente incapace di relazione. C'era dell'autismo emotivo, da cui tutta l'intellettualità - reale o immaginata - non lo aveva affatto difeso. Non so che farmene della tua intelligenza - posso chiarirmi un paio di opinioni, ma le nostre vite resteranno reciprocamente impermeabili, perché quel che conta non è il tasso di brillantezza intellettuale rispettivamente capitalizzato, ma l'entrare in relazione. Quella cosa chiamata feeling. Se tu parti con la performance, lo inibisci sul nascere e ti saluto sbadigliando. L'intelligenza senza feeling, come dire, non è arrapante.
Per arrivare a capire questa banalità ci ho messo un sacco di tempo. Per anni ho creduto fermamente il contrario. Credevo di dover e voler avere a che fare solo con persone "intelligenti". Ma progressivamente sto cambiando idea e ne sono sempre più convinta. Quel che voglio dire, naturalmente, non è che mi piace circondarmi di persone stupide, ma che l'intelligenza in fin dei conti è un requisito importante ma dopotutto secondario nel magico mondo delle relazioni umane.
Forse ho dimenticato qualcosa, ma per il momento mettiamola così. (Prossimamente su questi schermi l'illuminante opinione di Carl Einstein in merito).
PS: di recente ho vissuto un'esperienza che potremmo definire sconvolgente che mi ha chiarito ulteriormente queste e altre cose. Penso che ne parlerò, appena ho l'occasione.
molto bello. hai ragione.
RispondiEliminamatilde
Ciao matilde :)
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