Appunti sparsi
Il corpo. Cadere è una di quelle esperienze che ci riconducono all'irriducibile corporeità dell'esistenza. Cadendo si perde l'equilibrio, magari a seguito di un impatto più o meno forte con un ostacolo; cadendo ci si fa male. Ci si può ferire, si prova più o meno dolore. Cadendo si incappa in qualcosa di improvviso, non previsto. Cadere è un crash, un incidente - inteso propriamente come qualcosa che incide - che, cioè, taglia, ferisce o, forse più esattamente, lascia un segno. Nell'esperienza, reale o figurata, del cadere, ci si vive come corpo. Si torna al corpo, si è costretti a misurarsi con esso e a risignificarsi in relazione ad esso. Cadere, come incidente, è un'operazione che implica uno stop, una rottura, un trauma. Cadere è l'interruzione, più o meno brusca, di un flusso. (Che può dare luogo a una pausa o uno stop: nella pausa si riprende da dove ci si è fermati; nello stop bisogna ricominciare da capo).
Cadere richiama l'idea dell'inciampo, dello schianto, richiama l'idea dell'imprevisto, associato alla forza di gravità. C'è, cioè, da un lato l'impatto improvviso e non cercato con qualcosa che ha a che fare con il corpo, e c'è dall'altro una specie di forza attrattiva, una causalità non evidente, un caso (chissà, "caso" e "cadere" avranno forse una radice comune? La cara Fanny, che a differenza mia conosce bene il latino, lo conferma). Quanto alla gravità, è interessante, a proposito del nesso cadere/corpo, che il sostantivo "grave" sia sinonimo di "corpo".
Il corpo. Cadere è una di quelle esperienze che ci riconducono all'irriducibile corporeità dell'esistenza. Cadendo si perde l'equilibrio, magari a seguito di un impatto più o meno forte con un ostacolo; cadendo ci si fa male. Ci si può ferire, si prova più o meno dolore. Cadendo si incappa in qualcosa di improvviso, non previsto. Cadere è un crash, un incidente - inteso propriamente come qualcosa che incide - che, cioè, taglia, ferisce o, forse più esattamente, lascia un segno. Nell'esperienza, reale o figurata, del cadere, ci si vive come corpo. Si torna al corpo, si è costretti a misurarsi con esso e a risignificarsi in relazione ad esso. Cadere, come incidente, è un'operazione che implica uno stop, una rottura, un trauma. Cadere è l'interruzione, più o meno brusca, di un flusso. (Che può dare luogo a una pausa o uno stop: nella pausa si riprende da dove ci si è fermati; nello stop bisogna ricominciare da capo).
Cadere richiama l'idea dell'inciampo, dello schianto, richiama l'idea dell'imprevisto, associato alla forza di gravità. C'è, cioè, da un lato l'impatto improvviso e non cercato con qualcosa che ha a che fare con il corpo, e c'è dall'altro una specie di forza attrattiva, una causalità non evidente, un caso (chissà, "caso" e "cadere" avranno forse una radice comune? La cara Fanny, che a differenza mia conosce bene il latino, lo conferma). Quanto alla gravità, è interessante, a proposito del nesso cadere/corpo, che il sostantivo "grave" sia sinonimo di "corpo".
Ricordo con piacere un'intervista fatta a Valerio Magrelli diversi anni fa, pubblicata su Philosophema (rivista che credo non esista più). Magrelli parlava del significato dell'incidente. C'è un impatto, più o meno violento, un accadere che ti costringe a riconoscerti come corpo. La sensibilità di Magrelli nel captare il significato dell'imprevisto, della rottura, del non lineare, delle zigzagature dell'esistenza, emerge fra l'altro in questa poesia:
"Amo i gesti imprecisi,
uno che inciampa, l’altro
che fa urtare il bicchiere,
quello che non ricorda,
chi è distratto, la sentinella
che non sa arrestare il battito
breve delle palpebre,
mi stanno a cuore
perché vedo in loro il tremore,
il tintinnio familiare
del meccanismo rotto.
uno che inciampa, l’altro
che fa urtare il bicchiere,
quello che non ricorda,
chi è distratto, la sentinella
che non sa arrestare il battito
breve delle palpebre,
mi stanno a cuore
perché vedo in loro il tremore,
il tintinnio familiare
del meccanismo rotto.
[...]"
Etimologia. In latino caduta si esprime con lapsus, da "labi" che significa muoversi in avanti o verso il basso, scivolare. Cadere è e implica un movimento. Pensiamo ancora per esempio alla parola collasso che deriva da "collapsus" (che deriva a sua volta da "collabi") concetto associato in medicina a uno shock.
Lapsus nel linguaggio ordinario esprime l'errore non voluto, l'inciampo verbale. C'è un piccolo venir meno della volontà nel lapsus. Che si traduce con "scivolone". Volessimo riesumare Freud, nessun lapsus è per caso, ma esprime un atto mancato, un'istanza inconscia repressa che trova soddisfazione espressiva nell'errore.
Penso anche alla parola ac-cadere: quello che succede, in qualche modo, è qualcosa che cade; almeno, se non si è agito in prima persona questo accadere. Ha le caratteristiche dell'inciampo. Lo stesso vale per quel bellissimo, ambiguo verbo, che è occorrere, molto usato in inglese ("to occur") nell'accezione proprio di accadere, avvenire. Etimologicamente, occorrere è accadere con il prefisso "ob", che significa "innanzi". Qualcosa occorre quando cade innanzi. Interessante è in tal senso che il verbo accadere è spesso usato nella forma passiva e riflessiva: "cosa ti è accaduto?". C'è una sfumatura che richiama il subire un avvenimento, di cui si è spettatori e non attori. O, meglio, diciamo così: inciampatori.
Associazioni mentali-verbali. Notoriamente, cadere è un verbo molto usato per descrivere l'innamoramento nelle altre lingue. Tomber en amour è "innamorarsi" in francese. C'è anche l'espressione più prosaica, tombeur de femmes, tecnicamente "colui che fa cadere le donne" nell'attrazione (con tutta la parzialità dell'applicazione solo maschile dell'espressione...). In ogni caso, quest'espressione restituisce il fatto che quando ci si innamora si cade, si inciampa, ci si schianta contro qualcosa che non si era previsto. Si perde l'equilibrio; di nuovo, l'interruzione di un ordine. Tomber richiama la parola "tomb", tomba. Irresistibile è qui l'associazione eros/thanatos. Amore e morte, piacere e dolore, sembrano fusi insieme nell'espressione tomber en amour; almeno quanto l'espressione inglese, falling in love. Anche in inglese innamorarsi è, di nuovo, reso come cadere nell'amore.
Voglio ricordare, prendendomi tutte le licenze del caso, che il lapsus freudiano era chiamato dallo psicanalista Fehlleistung. Fehl- è radice di "fallimento", "errore", in tedesco.
Voglio ricordare, prendendomi tutte le licenze del caso, che il lapsus freudiano era chiamato dallo psicanalista Fehlleistung. Fehl- è radice di "fallimento", "errore", in tedesco.
Presumo che tante parole con la radice "fall" derivino dal latino fallere, che secondo il dizionario etimologico significa "abbattere", "far sdrucciolare" (di nuovo, perdere l'equilibrio), "ingannare". Si pensi, che so, a fallacia, fallimento, fallo, fal-so, eccetera. Ma come non pensare, a questo punto, al fallo maschile? Questo è molto interessante. Chissà, forse l'organo sessuale maschile ha assunto questo nome perché storicamente associato al peccato.
Quanto all'accezione di "inganno", con un po' di fantasia, si potrebbe a questo punto associare l'idea dell'innamoramento con quella dell'inganno, dell'illusione. Ma preferisco insistere sul carattere di non prevedibilità della, diciamo così, caduta nell'amore; sul carattere di incidente, ciò che imprevedibilmente taglia, che ferisce, che sanguina e riconduce la persona a ripensarsi in quanto corpo. L'incidente - il cadere - è una cesura più o meno netta, è uno spartiacque fra un prima e un dopo della vita, con cui si deve fare i conti. Il tempo si taglia in due, è diviso da un accadere imprevisto, che fa male. La componente di dolore dell'incidente richiama anche, potenzialmente, la sfera semantica del trauma. Il trauma è, etimologicamente, una rottura - da ti-trao, foro, perforo. Mi piace anche giocare con il verbo tedesco traumen, sognare, con cui potremmo rileggere l'idea del nesso cadere-tomba-morte-amore- sogno come illusione o inganno.
Quanto all'accezione di "inganno", con un po' di fantasia, si potrebbe a questo punto associare l'idea dell'innamoramento con quella dell'inganno, dell'illusione. Ma preferisco insistere sul carattere di non prevedibilità della, diciamo così, caduta nell'amore; sul carattere di incidente, ciò che imprevedibilmente taglia, che ferisce, che sanguina e riconduce la persona a ripensarsi in quanto corpo. L'incidente - il cadere - è una cesura più o meno netta, è uno spartiacque fra un prima e un dopo della vita, con cui si deve fare i conti. Il tempo si taglia in due, è diviso da un accadere imprevisto, che fa male. La componente di dolore dell'incidente richiama anche, potenzialmente, la sfera semantica del trauma. Il trauma è, etimologicamente, una rottura - da ti-trao, foro, perforo. Mi piace anche giocare con il verbo tedesco traumen, sognare, con cui potremmo rileggere l'idea del nesso cadere-tomba-morte-amore- sogno come illusione o inganno.
I lapsi ("caduti"). E' singolare che l'idea di caduta sia stata associata, nel Medioevo, a quella del venire al mondo, della creazione. Fiumi d'inchiostro sono stati versati, nella storia del pensiero medievale, per razionalizzare l'esperienza della caduta, strettamente connessa al peccato originale, al venire al mondo, al farsi corpo dell'umanità. Nascere per molti pensatori medievali è cadere da un altro mondo, quello originario, divino, perfetto, immateriale e incorruttibile. Nascere è farsi corpo, esporsi alla intrinseca limitatezza e fallibilità della materia, dentro un mondo imperfetto, corruttibile, dominato dall'errore. Come nell'incidente, come nell'innamoramento, così nel venire al mondo inteso come caduta la dimensione corporea fa la differenza.
Agostino ha riflettuto molto sui cosiddetti lapsi, i caduti, "quei cristiani che, per sfuggire alle persecuzioni, avevano in un primo momento rinnegato ufficialmente la propria fede, e in seguito chiesto di essere riammessi nella Chiesa" [C. Esposito, P. Porro, Filosofia antica e medievale, Laterza 2010, p. 215]. Al di là della polemica medievale intorno a questa categoria di cristiani, la caduta è sempre stata associata alla nascita e al peccato originale. La redenzione da questo stato di caduta è possibile allora, per esempio secondo i neoplatonici, solo con il ritorno a dio. Un risalire (cadere è di contro uno "scendere", uno schiantarsi a terra) che coincide con la purificazione, intesa come liberazione dal corpo e dalla "molteplicità degli accidenti", verso l'Uno-dio.
Agostino ha riflettuto molto sui cosiddetti lapsi, i caduti, "quei cristiani che, per sfuggire alle persecuzioni, avevano in un primo momento rinnegato ufficialmente la propria fede, e in seguito chiesto di essere riammessi nella Chiesa" [C. Esposito, P. Porro, Filosofia antica e medievale, Laterza 2010, p. 215]. Al di là della polemica medievale intorno a questa categoria di cristiani, la caduta è sempre stata associata alla nascita e al peccato originale. La redenzione da questo stato di caduta è possibile allora, per esempio secondo i neoplatonici, solo con il ritorno a dio. Un risalire (cadere è di contro uno "scendere", uno schiantarsi a terra) che coincide con la purificazione, intesa come liberazione dal corpo e dalla "molteplicità degli accidenti", verso l'Uno-dio.
Il nesso cadere/corpo è dunque fortissimo, semanticamente originario. Non a caso tipica del neoplatonismo è anche l'idea di una doppia creazione: una, per così dire, intellettuale e una sensibile, materiale e corporea. Origène di Alessandria, a partire da questo assunto, sviluppa una tesi non proprio originale per quei tempi. Secondo Origene la prima creazione ha riguardato soltanto le
"sostanze intelligenti e dotate di libertà. Proprio in quanto libere, alcune di esse sarebbero decadute dal loro stato puramente intelligibile, acquisendo un corpo e dando così origine al mondo sensibile. Più precisamente: ogni essere razionale fu creato da Dio libero e dotato della capacità di progredire o regredire; la scelta che ciascuno ha fatto di sé nell'esistenza puramente intelligibile determina la condizione nell'esistenza attuale. Le anime, dunque, sono cadute o discese nei corpi per effetto di una loro decisione" [ivi, p. 205, corsivi miei].
Se il nesso caduta/corpo è, con infinite varianti, originario, quello fra caduta e scelta evidentemente non lo è. Per Origène la caduta nel mondo sensibile è frutto di una scelta dovuta al libero arbitrio, e precisamente a questa va imputata l'origine del male. Se accantoniamo queste teorie sulla caduta, spesso frutto di una scelta e del libero arbitrio (contrariamente all'opposizione fra gli eletti e i dannati propria per esempio di Agostino), cadere è un'azione indipendente dalla propria volontà. E' cioè in essa intrinseco il concetto di caso.
Nella teologia cristiana, ancora, il male nasce da una caduta: quella di Lucifero dal Cielo.
Accezione negativa del cadere. Storicamente, dunque, il cadere ha un'accezione negativa. Dal punto di vista dei valori, il salire, l'andare verso l'alto o in avanti, il progredire, l'ascesa verso dio, la rappresentazione di "ciò che è alto" come qualcosa dotato di valore, si contrappone alla discesa, alla caduta appunto, verso il basso, ciò che è inferiore, mancante in relazione a qualcosa che è superiore. Scendere è regredire. Regressione e corpo sono storicamente associati in questo universo semantico del cadere, complice la cultura cristiana che ha sempre visto nel corpo la sede del peccato e dell'errore.
Ma non limitiamoci al Medioevo: pensiamo al concetto heideggeriano di gettatezza, geworfenheit. Mi si perdoni l'assoluta libertà con cui associo parole e concetti lontanissimi, ma è irresistibile pensare che se per i medievali venire al mondo equivalesse a cadere nel corpo, per Heidegger essere al mondo è essere gettati nel mondo. Le prospettive sono radicalmente differenti, ma c'è una piccola affinità, almeno nell'intendere la vita concreta come qualcosa che si subisce. Forse il filosofo tedesco avrebbe fatto meglio a usare la parola caduti in luogo di gettati, perché il verbo gettare implica il gesto di un soggetto terzo cui si deve l'atto del gettare, mentre il cadere ha qualcosa di impersonale e in tal senso fatale. In ogni caso, gettatezza ha un'accezione negativa; come il cadere è una condizione che si subisce e non si agisce.
Alla luce di quanto detto sopra, anche in questo caso venire al mondo è essere esposti a una forza estranea, essere in balìa della materia; proprio come il cadere.
Certo, c'è l'aforistica del cadere-per-poi-rialzarsi, che abbiamo trascurato. Ma una cosa è certa: cadere è un movimento che rompe un equilibrio, da ripristinare o da ricreare dal principio, radicalmente.
"sostanze intelligenti e dotate di libertà. Proprio in quanto libere, alcune di esse sarebbero decadute dal loro stato puramente intelligibile, acquisendo un corpo e dando così origine al mondo sensibile. Più precisamente: ogni essere razionale fu creato da Dio libero e dotato della capacità di progredire o regredire; la scelta che ciascuno ha fatto di sé nell'esistenza puramente intelligibile determina la condizione nell'esistenza attuale. Le anime, dunque, sono cadute o discese nei corpi per effetto di una loro decisione" [ivi, p. 205, corsivi miei].
Se il nesso caduta/corpo è, con infinite varianti, originario, quello fra caduta e scelta evidentemente non lo è. Per Origène la caduta nel mondo sensibile è frutto di una scelta dovuta al libero arbitrio, e precisamente a questa va imputata l'origine del male. Se accantoniamo queste teorie sulla caduta, spesso frutto di una scelta e del libero arbitrio (contrariamente all'opposizione fra gli eletti e i dannati propria per esempio di Agostino), cadere è un'azione indipendente dalla propria volontà. E' cioè in essa intrinseco il concetto di caso.
Nella teologia cristiana, ancora, il male nasce da una caduta: quella di Lucifero dal Cielo.
Accezione negativa del cadere. Storicamente, dunque, il cadere ha un'accezione negativa. Dal punto di vista dei valori, il salire, l'andare verso l'alto o in avanti, il progredire, l'ascesa verso dio, la rappresentazione di "ciò che è alto" come qualcosa dotato di valore, si contrappone alla discesa, alla caduta appunto, verso il basso, ciò che è inferiore, mancante in relazione a qualcosa che è superiore. Scendere è regredire. Regressione e corpo sono storicamente associati in questo universo semantico del cadere, complice la cultura cristiana che ha sempre visto nel corpo la sede del peccato e dell'errore.
Ma non limitiamoci al Medioevo: pensiamo al concetto heideggeriano di gettatezza, geworfenheit. Mi si perdoni l'assoluta libertà con cui associo parole e concetti lontanissimi, ma è irresistibile pensare che se per i medievali venire al mondo equivalesse a cadere nel corpo, per Heidegger essere al mondo è essere gettati nel mondo. Le prospettive sono radicalmente differenti, ma c'è una piccola affinità, almeno nell'intendere la vita concreta come qualcosa che si subisce. Forse il filosofo tedesco avrebbe fatto meglio a usare la parola caduti in luogo di gettati, perché il verbo gettare implica il gesto di un soggetto terzo cui si deve l'atto del gettare, mentre il cadere ha qualcosa di impersonale e in tal senso fatale. In ogni caso, gettatezza ha un'accezione negativa; come il cadere è una condizione che si subisce e non si agisce.
Alla luce di quanto detto sopra, anche in questo caso venire al mondo è essere esposti a una forza estranea, essere in balìa della materia; proprio come il cadere.
Certo, c'è l'aforistica del cadere-per-poi-rialzarsi, che abbiamo trascurato. Ma una cosa è certa: cadere è un movimento che rompe un equilibrio, da ripristinare o da ricreare dal principio, radicalmente.
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