Appunti di Storia moderna

martedì 25 settembre 2012

I convegnisti di professione della filosofia

Tempi duri per la filosofia. Essa trova discredito su tutti i fronti - da coloro che se ne dicono fautori, da coloro che, professando altre scienze, si accodano alla moda di ritenerla una chiacchiera fumante, dal senso comune, che sgrana gli occhi di fronte all'esistenza stessa di un concetto non direttamente sovrapponibile con "fare la spesa", "lavatrice", "posto fisso", "ikea", "tagliatelle al sugo".

Ora, io credo che i più pericolosi siano, paradossalmente, i primi: quelli cioè che si presentano con la carta d'identità del filosofo, la sventolano senza requie, tengono generosi convegni e istruiscono le masse sul vero senso delle cose, mentre gettano un'occhiata allo specchio per sistemarsi il ciuffo. La convegnistica, così come spesso si presenta - non sempre, va da sé -, quando è mediatizzata, quando ricalca i criteri del festival di sanremo, avanza precise attese dal relatore "filosofo", il quale si affretterà a soddisfarle. Per esempio: la filosofia deve essere facile e a portata di mano, deve consistere in un ragionamento espresso con gli occhi spiritati della bella figura, deve essere ardita e sfoggiare complessità, giocare con gli opposti, lanciare come bruscolini frasi a effetto. La fondatezza è da sfigati.


Un esempio? Umberto Galimberti. Oppure questa roba qui, segnalatami da Nicola, fra le altre.

Il filosofo è un tuttologo compiaciuto, che dispensa perle a porci pur essendo, a rigor di metafora, porco esso stesso. E' un fenomeno mediatico, un prodotto dei festival. E' una grande istanza di applauso. E' la conoscenza a spizzichi e bocconi e titoloni. E' tutto e niente. Questo tipo di filosofo qui, getta benzina sul fuoco del discredito generale della filosofia, proprio nell'atto stesso in cui crede di renderle un servizio. 
Prendere un microfono e assaltare l'uditorio con citazioni ardite (Nietzsche, Freud ridotti a frasi da baci perugina e Paolo di Tarso in latino non devono mancare mai) è ad oggi la filosofia. Accostare in modo ardito "Facebook, la filosofia e l'arte contemporanea" (giuro che è stato fatto) strizzando l'occhio al pubblico che finalmente può assaggiare il minestrone caldo della chiacchiera pseudocoltoforbita a buon prezzo. Il pubblico, estasiato, applaude. Poi bene ciao arrivederci è stato bello. La filosofia è ormai un estetismo per un pubblico semicolto. Un'occasione di ristoro delle masse e di sfoggio della mole di cultura rispettivamente capitalizzata. E' narcisismo spacciato per profondità. Temo di detestare queste stesse mie parole ma è la realtà.

Il filosofo disoccupato, bistrattato e screditato, che spesso interiorizza esso stesso questo discredito, deve trovare un modo per ottenere un riconoscimento sociale per il suo fumoso ruolo sociale, e per riscattarsi della sua emarginazione parla alle platee come esse vogliono che si parli. Frasi a effetto, citazionismo spinto, voli pindarici pseudopoetici. Bravo! Bravo! Bravo! Applausi scroscianti. L'obiettivo? Dirlo agli amici. Apparire in tv. Soldi. Per il pubblico: tornare a casa con la sensazione di avere acquisito un surplus di cultura, come i punti nella tessera del supermercato.
Il problema è che viene a crearsi quindi l'idea che la filosofia sia questo tout court. Il che contribuisce a impoverirne ulteriormente l'immagine già in via di impoverimento dall''800 a questa parte: da quando, cioè, il positivismo avrebbe tracciato un punto di non ritorno, inculcando l'idea che ciò che non è "fatto" non è scienza ma appunto chiacchiera fumante, e che ciò che non è scienza non merita di essere preso in considerazione, ma al massimo derubricato alla sezione "letteratura" della cultura - dove con letteratura s'intende, naturalmente, qualcosa come "tempo libero", quindi "hobby", quindi trastullato arbitrio, come il patchwork per casalinghe.
Questa "disciplina" disgraziata versa dunque in condizioni estremamente sfavorevoli. Da quando la scienza le ha tolto l'autorità (non che sia stato un male: ci limitiamo a constatarlo), essa ha cominciato ad arrancare, ad affannarsi alla ricerca di una legittimazione che non potrà trovare, se non in modo molto fragile, nella generosa convegnistica nella quale ha finito per risolversi. Gli altri, quelli che studiano e sperimentano ogni giorno la fatica del concetto, devono scusarsi di perdere del tempo con questa cosa fumosa, vaga, favolistica che è la "filosofia", e sono tenuti a giustificare il perché essi ancora le riconoscano un senso.
Ha senso allora difendere la filosofia dalle molestie dei filosofi stessi, dal discredito popolare, dal discredito degli scientisti che non perdono tempo con le favole?
Ritengo che abbia senso per molti motivi. In particolare perché non esiste una disciplina che includa il giudizio, la valutazione, il prendere posizione sulla base di logicamente argomentati assunti, per, come dire, deontologia. Le scienze, anche quando di fatto non ci riescono, devono comunque espungere dai propri discorsi tutto quanto sia giudizio e presa di posizione assiologica: esse devono aderire ai fatti, prenderli per mano e farne delle leggi. Le grandi mancanze della filosofia, sono i vantaggi delle altre scienze, ma, credo, sono anche dei vantaggi per lei: il potersi permettere di valutare e di decidere è una debolezza ma anche una prerogativa. E' LA sua prerogativa.
Perché ciò è importante? Perché valutare e prendere posizione fa politicamente la differenza. Per dirla facile, un mondo dominato da ingegneri e tecnici sarebbe, in linea di principio, un mondo barbaro. L'etica riflette su ciò che è giusto, analizza i ragionamenti che conducono all'attribuzione del carattere "giustizia". L'etica è ciò che dovrebbe fare, in ultimo, la differenza fra l'uomo e l'animale, nello spazio lasciato vuoto dalla giurisprudenza. Non ultimo, la razionalità del processo che porta alla valutazione e alla decisione e quindi all'attribuzione del crisma di giustizia all'oggetto, è prerogativa della filosofia. La biologia, la fisica, l'ingegneria elettronica, ma anche la sociologia non possono darmi dei criteri di razionalità sulla base di valutazioni: esse al massimo possono restituirmi la descrizione di processi, ai quali, per esempio in un'ottica funzionale, si attribuisce in seguito il carattere di razionalità.

L'oggetto preciso della filosofia è in continua evoluzione: è un oggetto mobile, potenzialmente tutto, ma mai veramente tutto. Prima di considerare un oggetto specifico, essa è il discorso preliminare per eccellenza. E' la scienza delle condizioni, per parafrasare Kant. E' il prima di ogni discorso. E' il discorso del prima. E' il discorso sulle condizioni del discorso. E' una pratica discorsiva che ridefinisce costantemente non solo il suo oggetto, ma anche le condizioni del suo darsi e i termini del suo processo. E' un grande sforzo di legittimazione razionale.
Parlarne in termini di discorso, può portare a fraintenderne la portata. Il discorso ha implicazioni politiche, oltre che epistemologiche.
Essa dunque si pone nell'interstizio lasciato aperto dalle altre scienze: le scienze occupate nei loro impegni particolari, perdono di vista il contesto, la totalità, i fini del loro operare.
Termine caduto in disuso, la ragione svincolata dal diktat del rilevameno non mediato dei fatti ha il suo terreno prediletto nella filosofia. Ed essa, ci insegna Kant, rivendica autonomia. Le altre scienze sembrano, a una prima occhiata, eterodirette: ciò che le orienta è sempre una domanda esterna, come dire. La filosofia è la scienza della ragione che rivendica autonomia: meglio, che rincorre l'autonomia come ideale regolativo, cioè come traguardo mai definitivamente raggiunto ma al quale tende infinitamente.

Tutto ciò è molto concreto. E ne ha un bel dire Aristofane, precursore di una scuola che oggi continua a mietere proseliti. Altro che fantasia. Il non poter dare una risposta definitiva è la debolezza e la forza della filosofia. E', a guardar bene, un grande esercizio di democrazia: habermasianamente, il ragionamento apre a un altro ragionamento, e il terreno di confronto deve essere la razionalità, gli argomenti, la sensatezza, la correttezza logica. Ecco perché la filosofia inizia davvero lì dove muore il principio d'autorità, antidemocratico e irrazionale per definizione, che impacchetta la verità e la impartisce dall'alto senza possibilità di intervento razionale su di essa. Non può permettersi di decidere in modo irrevocabile, ma può contrattare, argomentare: ragionare.
Le scelte e le responsabilità non trovano spazio in nessuna delle altre scienze, tutte descrittive. La filosofia può permettersi di essere normativa, e questo mentre ne indebolisce l'impatto sul mercato - che può usare solo descrizioni e oggetti - le dà un enorme privilegio, che significa responsabilità: solo nel suo seno vi sarebbe lo spazio per decidere se aderire o meno al fascismo, per esempio - ammenoché non avanziamo argomenti di natura economica o spregiudicatamente politica per decidere in merito. Mi si potrebbe obiettare, a ragione, che proprio la filosofia ha potuto legittimare il fascismo: un filosofo come Giovanni Gentile ha potuto trovare in esso una via d'uscita dall'individualismo atomistico, nella forma "comunitaria" (con Adorno diremmo, di "uguaglianza repressiva") professata dal fascismo. L'obiezione sarebbe corretta, perché esprimerebbe il rischio che corre la filosofia proprio per la sua debolezza - per il suo essere discorso e valutazione. L'esistenza di questo rischio, che può diventare politico, non va negata, c'è, ed è compresa nel pacchetto del gioco forza-debolezza della filosofia, intrinseca al confronto razionale tra posizioni. Evidentemente, con gli argomenti e la teoria non siamo definitivamente al riparo dai problemi; ma al contempo, ciò non deve prendere una piega nichilistica, di negazione in blocco di una verità.

D'altronde, rinvendicare un'utilità "pratica" alla filosofia non è necessariamente il solo o il miglior modo per difenderla. La sua inutilità stessa, il suo essere svincolata dal concetto di prestare servizio per, è l'autonomia di cui sopra: questo fa la differenza in termini di libertà. Aristotele quando diceva che essa è agli antipodi della schiavitù, non diceva in fondo qualcosa di molto diverso da Kant, che parla di illuminismo in termini di autonomia della ragione.

Ora, per collegare tutto ciò al discorso precedente sui convegnisti di professione: a rigor di logica, la filosofia avocando a sé autonomia e rifiutando l'eteronomia, non deve vendere. Se per caso vende, ottimo. Ma se la sua natura viene fraintesa e il vendere prende il sopravvento, fino a sopraffarla e a prendere il posto della filosofia, siamo a una non filosofia. La convegnistica compiaciuta è un simulacro pacchiano della filosofia, proprio perché il vendere diventando priorità tradisce la natura autonoma della filosofia.

3 commenti:

  1. Mi piace questo blog, lo seguo con piacere, anche se da poco, e mi è piaciuto questo articolo anche se non ho capito cosa intendi con: "L'etica è ciò che dovrebbe fare, in ultimo, la differenza fra l'uomo e l'animale..". Cosa volevi dire? Posto che l'uomo è esso stesso un animale e che anche gli altri animali hanno un'etica, allora non capisco più. Volevi intendere la differenza tra l'uomo cittadino e l'uomo primitivo? L.

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  2. Chiaro, anche l'uomo è un animale, anche gli animali hanno un'etica. Tuttavia, con etica, intendo sistema di valori consapevolmente assunto dal soggetto: non, dunque, nel senso di insieme di comportamenti condivisi e consolidati, ma nel senso di consapevolezza razionale di alcuni comportamenti a scapito di altri, di cui si fa carico la persona nello spazio lasciato libero dalle norme giuridiche. C'è, cioè, un gap tra appunto norme giuridiche e comportamenti individuali, che può essere colmato dall'etica. In questo senso gli animali non uomini non hanno un'etica, poiché qui la sua caratteristica principale consiste nella consapevolezza e nella razionalità. Certo, mi fai pensare che potevo trovare un modo migliore per dirlo :)
    Grazie, un saluto :)

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  3. L'importanza che ha l'etica è decisamente sottovalutata. Anche i non-umani hanno la consapevolezza, però adesso ho capito cosa intendi.

    Grazie a te, per la spiegazione. Buona domenica. :) L.

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