I muscoli dello Stato.
Ho trovato un interessante articolo sulla questione centrale della formazione della polizia. Si tratta di un punto importante poiché dal tipo di formazione impartito agli agenti si evincono le intenzioni della gestione del corpo di polizia nel suo complesso, in rapporto, in questo caso, alle questioni di ordine pubblico durante le manifestazioni.
Ho trovato un interessante articolo sulla questione centrale della formazione della polizia. Si tratta di un punto importante poiché dal tipo di formazione impartito agli agenti si evincono le intenzioni della gestione del corpo di polizia nel suo complesso, in rapporto, in questo caso, alle questioni di ordine pubblico durante le manifestazioni.
Nell'articolo precedente ho parlato ingenuamente di mancanza di formazione. In realtà, di fronte a quanto stiamo per leggere una simile mancanza sarebbe solo auspicabile. La formazione c'è e come:
"Corriere della Sera del 7 giugno 2001 Centinaia o migliaia che siano, parte dei carabinieri che si stanno addestrando potrebbe trovarsi a Saint-Astier, nella regione della Dordogna, dove sorge il modernissimo centro di addestramento della gendarmeria francese. Un luogo unico nel suo genere in Europa, dove tutte le forze di polizia a ordinamento militare fanno a gara per andare a seguire i durissimi corsi.
Per alcune missioni all’estero anche i carabinieri sono transitati da questi 148 ettari di terreno collinoso dov’è ricostruita, come in un set cinematografico, una vera e propria città. Fra negozi, piazze e stradine - in un contesto simile a quello di un qualsiasi centro occidentale - vengono sperimentate tecniche di guerriglia urbana, viene affinato l’uso di lacrimogeni, ci si prepara a reagire all’uso di bombe a mano. Secondo una tecnica organizzativa consolidata, gli agenti da addestrare simulano di essere manifestanti, con tanto di fazzoletti al collo e caschi in testa. Tutti agenti, di diverse nazioni, per settimane gli uni contro gli altri, ad apprendere l’arte della guerriglia. Questo centro di addestramento pare pensato espressamente per le polizie latine a statuto militare : Carabinieri italiani, Gendarmerie francese, Guardia Civil spagnola e svolge anche funzione di addestramento MSU (polizia militare in zona di guerra). Altri centri dovrebbero essere quelli tradizionali di Bolzano (Laives) e Gorizia (Podgora), dove ha dato ottima prova di sé il Colonnello Munno, recentemente condannato per una esercitazione troppo realistica in cui i cc se le erano date tra di loro di santa ragione, prima del G8. Anche questi centri (attualmente inquadrati all'interno della seconda brigata mobile comandata da Leso) sono tradizionali centri di addestramento MSU."
La formazione consiste nella preparazione alla violenza. Nessun insegnamento quasi sociologico sul senso, gli obiettivi, le strategie pacifiche e preventive del mantenimento dell'ordine pubblico in occasione di grandi affollamenti. Gli agenti non imparano a gestire intelligentemente i possibili sconfinamenti violenti, bensì la guerriglia. Il modello educativo prescelto, da mettere in campo è: reprimere con la forza.
Di fronte a tutto ciò emerge il "dubbio" che le reali intenzioni del corpo di polizia siano non già di tutelare i cittadini dalla violenza dei facinorosi, bensì di mostrare, in occasione delle manifestazioni in cui le persone esprimono democraticamente il loro dissenso, i muscoli dello Stato. Si risolve, sembra, tutto in una questione di potere.
I ragazzetti che dopo o durante la leva assumono compiti di estrema importanza - compiti la cui gestione fa politicamente la differenza -, vengono preventivamente educati al fascismo; non conoscono il senso di quanto vanno a fare, nei loro corpi si replica un contenuto cruciale: lo Stato è forte e potente, non crediate che si possa dire la propria oltre un certo limite.
Mostrare i muscoli della burocrazia, da un lato, e promuovere un deterrente dall'altro - onde ai comunistelli passi la voglia di riunirsi per dire sempre NO a qualcosa che lo Stato d'altronde promuove.
In questa luce, le parate militari - pure esibizioni di forza, dei bicipiti delle istituzioni - e i pestaggi collettivi di Genova, la violenza a Chiomonte, ecc. coincidono in modo lampante nelle intenzioni.
Ma cosa dice la Polizia di tutto questo? In un articolo illuminante pubblicato sulla rivista ufficiale della polizia, possiamo coglierne un aspetto - benché naturalmente ammorbidito dal timore dell'opinione pubblica.
"Quale la nuova filosofia dell’ordine pubblico? Innanzitutto una maggiore preparazione del personale grazie all’istituzione di un’apposita scuola voluta dal ministro dell’Interno Maroni e dal capo della Polizia Antonio Manganelli, scuola il cui primo obiettivo è stato la socializzazione delle best practices. Nella struttura di Nettuno inaugurata nel dicembre 2009 vengono tenuti corsi formativi per funzionari e agenti nell’ottica di un processo di revisione del sistema formativo della Polizia di Stato avviato negli ultimi anni. Questo ha insegnato il G8 di Genova di dieci anni fa, non più sfasature nella catena di comando, non più iniziative individuali, ma rispetto di moduli, procedure e codici di comportamento improntati a una maggiore professionalità degli operatori di polizia."
(...)
"Una gestione “intelligente” e molto è stato fatto per costruire una cultura dell’ordine pubblico nata da un approccio diverso fatto di dialogo e di condivisione. «Non c’è più l’autoritarismo di una volta perché ora l’autorità è al servizio del cittadino dal momento che c’è un obiettivo comune da raggiungere – aggiunge Alfieri – . In sostanza c’è una coscienza diversa da entrambe le parti. La nostra è una nuova cultura basata anche sull’addestramento e sull’equipaggiamento degli operatori e sulla coscienza dei ruoli e delle alte funzioni che la legge riserva alle autorità di pubblica sicurezza. Inoltre oggi abbiamo di fronte un interlocutore più evoluto e ciò facilita il nostro lavoro teso ad assicurare il diritto di manifestare come quello di dare legalità e sicurezza a tutti gli altri cittadini»"
Commovente. Si parla di 2009, l'articolo è stato scritto prima del giugno di quest'anno. Come spiegare allora l'uso della forza in Val di Susa? L'opinione pubblica - nonostante i tentativi dei media di stato - non può credere alle parole della rivista ufficiale della polizia, "Polizia Moderna".
Se poi questa fosse la reale posizione, univoca e sincera, della polizia, avremmo assistito in questi 10 anni alle scuse degli agenti che hanno commesso gli errori o del corpo di polizia tutto ai ragazzi e alle ragazze coinvolti senza motivo nelle violenze.
Se poi questa fosse la reale posizione, univoca e sincera, della polizia, avremmo assistito in questi 10 anni alle scuse degli agenti che hanno commesso gli errori o del corpo di polizia tutto ai ragazzi e alle ragazze coinvolti senza motivo nelle violenze.
Abbiamo che persone sono legittimate a usare la violenza contro altre persone. Punto. E l'unico motivo consiste semplicemente nel potere, nel ricordare alla gente chi lo detiene e a cosa incorre sfidandolo (ammesso e non concesso che le intenzioni di chi manifesta siano precisamente queste).
Poiché ho il vizio di pensare a ciò che ne hanno detto e scritto i filosofi, non posso non ricordarmi delle parole di Michel Foucault, innanzitutto comprendendo l'interesse che lo ha spinto ad approfondire il tema del potere nel suo vario e infinitesimale manifestarsi. Nel corso al Collège de France del 1979 Foucault parla del neoliberismo, e dello strano paradosso che si è generato nel suo seno: da un lato, tale sistema promette libertà, dall'altro, per mantenere questa promessa, deve prendere le forme di uno Stato di polizia. L'uso della forza, che incontrovertibilmente concorre a fare dello stato uno Stato, non può essere ingenuamente rappresentato solo come modo di tutela dei diritti dei cittadini e di prevenzione dei danni che alcuni arrecano ad altri. L'uso della forza è innanzitutto la condizione di esistenza dello stato, prima che come corpo sociale, come sistema di potere.
Da quando il potere del sovrano ha smesso di esercitarsi sui territori per spostare il terreno fertile del potere sulla popolazione, la Biopolitica conferisce all'apparato dell'ordine una sfumatura precisa di controllo sui comportamenti, tendenzialmente illimitato. Altro problema intrinseco a questo è poi quello del sistema penale...che prima o poi approfondiremo sulla scorta di Foucault.
Di qui il paradosso tra libertà e sorveglianza. Di qui il paradosso della tutela al cittadino perseguibile con la violenza. Di qui il confine sottile tra la prima e la seconda.
Il fatto - ahinoi, inaggirabile - che le istituzioni siano persone calcificate in decreti, regolamenti, codici di comportamento, ecc insomma sempre in prima e ultima istanza persone non può garantire che i due piatti della bilancia siano sempre perfettamente allineati.
Un esempio: il poliziotto con la faccia coperta che picchia la testa del giovane che, d'altro canto, non sognava neanche di opporre resistenza, ma come un agnellino impaurito solleva le mani in alto "io non faccio nulla, resistenza passiva". Il potere qui non ha volto. Ha manganelli, pistole, muscoli. E' terrore puro che deambula. Nei calci del poliziotto anonimo si addensa il senso di tutto questo. La bilancia non è regolata da un sistema elettronico ma da persone, ricordiamo preventivamente educate al fascismo - preparate a vedere nell'altro senza divisa l'oggetto dello sfogo delle pulsioni di chi la divisa ce l'ha; la bilancia perciò è imperfetta, e un piatto può far cadere l'altro: la violenza che doveva essere legittimata dalla tutela del cittadino, alla fine le si oppone, semplicemente.
Tengo a precisare che questi pensieri non derivano da una cieca, generica adesione a principi propugnati da ogni centro sociale che si rispetti. Si tratta di riflessioni personali scaturite da fatti, fra cui quelli di Genova.
Segnalo infine uno degli articoli più interessanti che ho letto sull"'impunità di stato".
Segnalo infine uno degli articoli più interessanti che ho letto sull"'impunità di stato".
Grazie Anacronismi.
RispondiEliminaUltimamente fai pensieri sempre più anarchici, sempre più simili ai miei.
RispondiElimina"Il ricatto ordinario" credo sia il più bel post che ho letto negli ultimi 6 mesi. Forse è tardi per commentarlo e sono anche OT comunque io mi sono presa una lunga vacanza, e sta durando da più di un anno. Ho smesso di "diventare grande", e oltre che di lavorare anche di vivere in società, per quanto mi è possibile.
Sono diventata a tutti gli effetti un essere decisamente improduttivo..
Sai una cosa. Sto maturando. Sono stata licenziata dopo 2 anni di lavoro alienante, e i pensieri sopiti, latenti di quando lavoravo, ora che mi sono liberata della condizione della mente sotto sequestro, stanno lentamente sbocciando. Prima c'era una condizione oggettiva: non avevo tempo per pensare. Non avevo tempo per approfondire le intuizioni di sempre. (Anche questo rientra nel ricatto ordinario, funzionalissimo alla sua eterna prosecuzione, al suo eterno rinnovamento).
RispondiEliminaNon saprei se definirla anarchia, comunque. Certo non è una presa di posizione a priori. Buona improduttività:)
Grazie a voi.
OT?
RispondiEliminaIl Gruppo degli improduttivi :)
Mi unisco a voi, oltretutto non riesco a compilare un modulo che sembra scritto per cancellare ogni umanità a favore di non si sa bene che razza di lavoro mal pagato, orrendo sotto ogni punto di vista, precario e senza speranze, secondo me.
Preferisco la "matematica" a questi moduli acchiappa fessi.
Ormai trovare un lavoro è diventata una specie di lotta tra esseri umani e uno sport dove vince chi lecca di più... Eh, ma tra leccare il didietro di un cretino qualunque e vivere sotto i ponti non so mica quale sia meglio, eh, come prospettiva.
Scusa le divagazioni... rinnovo il mio apprezzamento per ciò che scrivi.
Penso che sia problematica anche l'alternativa rigidamente dicotomica promossa da ogni parte: lavorare come diciamo noi/vivere sotto un ponte. Penso che sia discutibile, e l'obiettivo di ogni azione politica veramente nuova debba consistere nella problematizzazione di questo schema, che ci raccontano e ci permea di sé sin dalla tenera infanzia.
RispondiEliminaPurtroppo è uno schema fin troppo applicato, come dire... L'altro problema riguarda chi entra come dirigente dopo aver vissuto le angherie di cui sopra. questo ultimo, nella maggior parte dei casi, si comporta allo stesso modo, ho notato. E si ricomincia. Sembra una specie di circolo.
RispondiEliminaFacendo una ricerca su internet non so per quale motivo mi sono imbattuto in questo post. Sono un appartenente alle forze di polizia, e sebbene sul momento avessi pensato di lasciare questa pagina in seguito ho deciso di leggere bene e di non sottrarmi al confronto, sempre che sia accetto.
RispondiEliminaQuanto è stato scritto mi ha molto rattristato. E lo dico non tanto in riferimento alle abbondandi inesattezze riguardo ai riferimenti citati (almeno per quanto riguarda i carabinieri, che conosco bene), ma proprio perché non posso fare a meno di notare come, in fondo, l'ideologia è veramente capace di chiudere gli occhi... E qui non parlo di colori, opinioni politiche, destra o sinistra etc... e' una questione di capacità di vedere le cose criticamente, scindendo gli episodi "singoli" e le "devianze" da quella che è una impostazione di fondo.
Io mi permetto di dire solo questo, premettendo di non voler mancare di rispetto a nessuno: ogni giorno la più grande soddisfazione è quella di ricevere la gratitudine per il mio lavoro da parte delle persone comuni, dei lavoratori che con il loro sudore portano avanti questa Italia, tutto il resto mi pare proprio retorica,per carità anche da parte della politica.
E come sono sicuramente criticabili certi comportamenti di colleghi che non hanno saputo fare altro che essere violenti (se fosse per me questi li manderei tutti a casa!!!) non vedo come si possano giustificare i comportamenti di certi manifestanti che, in realtà, non esprimono altro che la loro aggressività repressa spaccando quello che gli capita a tiro e provocando disordini e pericoli per quelli che li circondano... Ripeto, rispetto tutti, ma so per certo, senza timore di essere smentito, per esperienza personale, che il nostro operato è apprezzato non solo dalla stragrande maggioranza dei cittadini, ma anche dagli stessi manifestanti.
D'altra parte dopo aver lavorato nell'ambito di diverse manifestazioni, in assetto da ordine pubblico, prendendosi addosso sampietrini e ogni altra cosa che potesse arrecare danno, con l'ordine di NON caricare... e dopo avere visto in quelle situazioni che spesso erano proprio gli stessi manifestanti pacifici, quelli seri, quelli che erano là per portare un'idea e non la violenza, ebbene erano questi a tentare di impedire ai manifestanti facinorosi di provocare danni e violenze.. beh dopo tutto questo so per certo che anche loro erano dalla nostra parte, perchè ce lo hanno detto, senza paura di sembrare "poco anarchici".
Sono dell'idea, inoltre, che chi volutamente sbaglia, sia che si tratti di uno sbirro, sia che si tratti di un manifestante, debba rispondere per questo, perché ha creato qualcosa che con la democrazia non c'entra proprio nulla!
Le brave persone ci sono dappertutto ma, purtroppo, anche gli imbecilli.
Un carabiniere.
Concordo col Carabiniere, il marcio è ovunque dalle forze dell'ordine ai manifestanti. Il problema dunque è alla radice, poichè la violenza non nasce dal nulla ma a mio parere è creata dalle poche opportunità e libertà che lo stato offre ai propri cittadini. Non è questione di essere "Anarchici" o "Sbirri" è semplicemente una questione di vivere la propria vita in modo sereno, occupandosi del prossimo e delle cose comuni (cosa che la polizia e i carabinieri fanno e anche molto bene) e se questo manca non è di certo colpa delle forze armate ne tanto meno degli imbecilli violenti, ma è colpa a mio parere di una privazione di libertà e di pochissime alternative alla violenza e di un rancore profondo che la "società" impone dentro, nell'anima a chi purtroppo, non riesce ad offrire mai una vera alternativa.
RispondiEliminaGentile Carabiniere, mi piacerebbe approfondire - sul serio - la questione delle inesattezze delle fonti citate: purtroppo, non ne ho trovate molte, e se volesse darmi qualche altra indicazione ne sarei ben contenta, dato che francamente vorrei saperne di più. Non ho svolto inchieste al riguardo, ho solo cercato informazioni presso i giornali e i siti web che ancora parlano di Genova. Mi piacerebbe conoscere approfonditamente programmi didattici e metodi di formazione delle forze dell’ordine. Vorrei sapere se le forze dell’ordine studiano i contesti oltre che le modalità di azione degli agenti in caso di scontri. Vorrei sapere che tipo di consapevolezza sociale viene loro trasmessa. Poiché credo, e lo si è letto, che nella formazione risieda il senso (gli obiettivi) che l’istituzione dà a se stessa e al suo operare nella società.
RispondiEliminaIl fatto che i manifestanti pacifici fossero contenti della presenza delle forze dell’ordine non è in alcun modo in contrasto con quanto espresso nel post. Il post sembra fazioso e magari anche lo è. Ma non c'è una barricata tra i cattivi e i buoni, almeno non si intendeva teorizzare questo. Benché le possa sembrare un paradosso, mi trovo concorde con lei, a parte il discorso dell’ideologia che annebbia gli occhi e dei manifestanti violenti che qui nessuno vuole giustificare in alcun modo. Il post precedente, collegato idealmente a questo, recita:
“E’ vero che non si possono condannare in blocco le forze dell’ordine come categoria, in un generico attacco che odorerebbe di qualunquismo. La critica si circoscrive perciò a quanto accaduto – alle persone coinvolte, individualmente responsabili – rispetto al quale la categoria deve tuttavia prendere in carico l’imbarazzo di comportamenti di molti suoi esponenti che, certamente, avrebbero potuto essere evitati, ma che hanno comunque avuto luogo, e che pertanto non possono essere minimizzati, elusi, o addirittura considerati degni di oblio”.
I comportamenti, è vero, sono individuali. Ma tra i comportamenti di un cittadino qualunque e quelli di un agente c’è una differenza: il cittadino risponde di se stesso e rappresenta se stesso, l’agente rappresenta un’istituzione. Dunque la mia domanda è: quanto è legittimo isolare i comportamenti, pure reiterati e collettivi (cfr. notte della Diaz), degli agenti, negando ogni nesso con l’istituzione di cui essi sono un’emanazione?
E’ il crinale sottile tra i tentativi di “isolamento” e individualizzazione degli episodi accaduti e il fatto che c’è una categoria che deve prendere in carico comportamenti compiuti con la legittimazione del distintivo. I poliziotti nella Diaz erano tanti, tantissimi. Se è vero che i reati sono individuali, d’altra parte c’è un coinvolgimento istituzionale: la responsabilità dei singoli non può essere in toto rinnegata o isolata dall’istituzione che essi rappresentano e che li ha formati.
Perciò mi sono posta la questione della formazione. Che tipo di formazione hanno ricevuto quei poliziotti che hanno picchiato a sangue, all’improvviso, in un non meglio giustificato blitz notturno, i ragazzi e le ragazze del Genoa Social Forum (sin dall’inizio lontani da ogni violenza) che dormivano bellamente nella Diaz e che hanno risposto all’irruzione con la pura e semplice “resistenza passiva”?
RispondiEliminaQuanto è individuale quello che è accaduto? Parecchi agenti, tutti concordi sul da farsi, sembra, hanno dato libera espressione alla violenza. Se con ciò non si può argomentare un’”impostazione di fondo” d’altro canto è problematico negare ogni nesso tra quei comportamenti e l’istituzione. Che non ha mai mostrato “pentimento” al riguardo. Benché abbiamo riportato un trafiletto autocritico tratto da Polizia Moderna che però sembra smentito dai fatti della ValdiSusa.
Il post non è la verità, il blog non è una testata giornalistica ma è, banalmente, il mio punto di vista: una riflessione sul potere che prende spunto da quanto accaduto 10 anni fa. A scanso di equivoci, non indosso la maglietta del Che, né frequento assiduamente centri sociali, e i miei amici non li chiamo “compagni” e non sono neanche anarchica per principio. Un’agnostica della politica, semmai.
Parla una semplice cittadina che in questo blog e nella vita ama pensare e mettere in discussione quanto è considerato generalmente più ovvio. In questo caso, che le forze dell’ordine sono i buoni che salvano la società dai cattivi. Quello che si dice, in fondo, è che non sempre è così e ci sono questioni approfondire.
Vivo nel paese della ‘ndrangheta e sono felice quando un latitante viene arrestato o quando un testimone di giustizia viene aiutato nel difficile percorso. Sono felice di vedere che la polizia è riuscita ad arrestare l’autore di un atto incendiario all’automobile di un coetaneo giornalista, motivato dal semplice e brutale fatto che “parlava troppo”. Io sono contenta che esista un’istituzione con il compito di difendermi.
E’ proprio per questo che rimango basita di fronte alle testimonianze di chi il G8 l’ha vissuto in prima persona. Ma come è possibile, ingenuamente mi chiedo. Allora c’è qualcosa che va oltre la mera tutela delle persone, penso. In casi come quello è il potere la questione: sorge il dubbio che sia una questione di forza e legittimazione di alcuni a scapito di altri. Sorge il dubbio che la formazione non sia adeguata e sufficiente.
Le gratificazioni per il suo lavoro non mancano e di ciò non posso che compiacermi. Qui non si intendeva denigrare il corpo di polizia in blocco. Ma, ripeto, riflettere ad ampio raggio partendo da specifici episodi – citati nel post precedente “Per ricordare Genova 10 anni dopo”, che molto probabilmente non le piacerà.
Sono contenta di leggere che un agente è critico verso alcuni colleghi che sbagliano; benché nessuno degli agenti della Diaz sembri ad oggi critico verso se stesso.
Sono contenta che non si sia sottratto al confronto – molti al suo posto avrebbero bollato il post come la solita lagna pseudoanarchica e post-adolescenziale e qualunquista (probabilmente un po’ lo pensa, ma si è comunque esposto al confronto). Questo le fa onore. Non parta prevenuto, però, contro chi “da fuori” dubita e riflette su alcuni episodi.
Sciagurato è questo paese, dove per spartire il pane della verità e della conoscenza, è necessario, e non sufficiente, a cittadini democratici e nonviolenti di continuare ad affrontare processi, ingiurie, menzogne, arresti, digiuni della fame e della sete, a vedere la propria immagine stravolta e negata, a constatare che il proprio popolo è costretto all'ignoranza e alla irresponsabilità...
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