La sola è un'entità ontologica dai contorni sfumati, con notevoli proprietà mimetiche, che si infila nelle menti degli umani alterandone l'ottimismo cognitivo. L'umano in questione, contratta la sola cognitiva, sarà preso dal morbo marzulliano: mi starà costui forse fregando? c'è del marcio dietro? a che fidarsi? e se fosse tutta una frode? giammai! devo difendermi. Teniamo dunque presente il grande potere dell'esseffosse, la forma verbale che per eccellenza riassume tutte le pippe di cui è capace l'umanità.
La sola cognitiva è diversa dalla sola vera e propria: la sola cognitiva è solo un sospetto di sola; mentre la sola vera e propria è una sola ontologicamente tangibile - cioè una stronzata concreta fatta ai danni di qualcuno, empiricamente rilevabile. La sola cognitiva è cioè la paventata sola, non la sola.
La sola cognitiva è diversa dalla sola vera e propria: la sola cognitiva è solo un sospetto di sola; mentre la sola vera e propria è una sola ontologicamente tangibile - cioè una stronzata concreta fatta ai danni di qualcuno, empiricamente rilevabile. La sola cognitiva è cioè la paventata sola, non la sola.
Per comodità distingueremo dunque due attori del conturbante processo 'sòla': il solato e il solante. Il primo è la presunta vittima, colui che sospetta di subire una sola; il secondo è colui che sola (secondo il solato). Non so se mi spiego.
Tra i due inizialmente tira aria di festa ovvero affabile scambio, come avviene talvolta in quei casi fortunati in cui gli umani non si ammazzano tra di loro. Ma a un certo punto il germe sola si è infilato spinoso e invasivo tra i due, ostruendo le arterie della comunicazione. Alla trasparenza più o meno cristallina subentra l'ombra sinistra del sospetto di sola, impersonale e indistinto e molto affamato.
Tra i due inizialmente tira aria di festa ovvero affabile scambio, come avviene talvolta in quei casi fortunati in cui gli umani non si ammazzano tra di loro. Ma a un certo punto il germe sola si è infilato spinoso e invasivo tra i due, ostruendo le arterie della comunicazione. Alla trasparenza più o meno cristallina subentra l'ombra sinistra del sospetto di sola, impersonale e indistinto e molto affamato.
Questo processo dunque, una volta avviatosi anche solo in termini cognitivi - quando cioè non abbiamo elementi reali e inequivocabili di sola -, difficilmente si estingue da sé. La sola cognitiva ha per l'appunto questa speciale proprietà di autoalimentazione energetica: è cioè una fonte di energia eternamente rinnovabile. Una volta inoculatosi il germe 'sòla' presso il solato, il solante apparirà irreversibilmente in altra luce. La puzza di fregatura promanerà da ogni più o meno innocuo suo gesto.
Il solato dunque, attiverà tutti i meccanismi di difesa di cui è filogeneticamente dotato - tutto recherà irreversibilmente in fronte il marchio della frode, egli leggerà ogni altra esternazione della persona in termini di trombamento morale con vasellina: tutto è potenzialmente una pugnalata alle spalle ben simulata, e da qui al complottismo generalizzato il passo è breve. Una volta che la sola è entrata come terzo incomodo nella relazione, abbiamo aria viziata e ogni cosa sa di yogurt scaduto.
Il solato dunque, attiverà tutti i meccanismi di difesa di cui è filogeneticamente dotato - tutto recherà irreversibilmente in fronte il marchio della frode, egli leggerà ogni altra esternazione della persona in termini di trombamento morale con vasellina: tutto è potenzialmente una pugnalata alle spalle ben simulata, e da qui al complottismo generalizzato il passo è breve. Una volta che la sola è entrata come terzo incomodo nella relazione, abbiamo aria viziata e ogni cosa sa di yogurt scaduto.
Siamo cioè nel fantastico mondo della dietrologia. Dietrologia è a mio avviso la teoria e pratica del ritenere che ci sia un "dietro" inteso come sede della verità, rispetto a una facciata che invece mistifica e nasconde il vero. Per la dietrologia cercare il vero equivale a cercare l'imbroglio. Dietrologia è qualcosa di più, però, della semplice diffidenza rispetto a ciò che appare. La diffidenza spesso è estremamente prolifica, una buona risorsa: perché le sole da che mondo è mondo esistono e come. Ma la diffidenza degenera in dietrologia quando si irrigidisce, quando non è circostanziata, quando è coazione a ripetere indistinta, che sublima in forma di prevenzione discorsiva quello che è, a conti fatti, una grande, gigantesca paura di essere fregati. E le paure, si sa, talvolta salvano dai pericoli, talaltra li creano.
Sì, insomma, è un processo molto hegeliano (presente la logica dell'essenza? ma non scomodiamola via, per motivi così terreni); è in ultima istanza il pericoloso potere delle inferenze umane, secondo un processo ermeneutico che asseconda le paure e le amplifica maliziosamente a oltranza. L'interpretazione in questo caso attizza le paure, è la realtà aumentata della paura.
Spendiamo dunque due parole per questi due strani soggetti, per questi più o meno involontari agenti dell'informe processo, che tante relazioni umane contribuisce ad ammorbare. Il solato è presumibilmente qualcuno che ha conosciuto molte sole nella sua vita: tanti calci nel didietro, meglio noti come "delusioni". E quindi ha suo malgrado imparato che gli altri di solito sono una minaccia da cui difendersi, non una risorsa, non quell'altro da sé di cui ha bisogno e che teme, di cui cioè condivide la vulnerabilità. E a partire da questo apprendimento, funesto o vantaggioso a seconda dei punti di vista, egli avrà sviluppato delle forme di difesa tra cui il presumere fregatura prima che essa sia realmente verificata: prevenire la fregatura immaginandola può ridurre il tasso di fregatura, così pensa a ragione o torto il solato.
Il solante può essere chiunque. Può essere un vero solante (meglio noto come "stronzo"), cioè una di quelle persone meschine che fanno "buon viso a cattivo gioco", che bazzicano negli opportunismi con nonchalance, che purtroppo sono presenti in quantità imbarazzanti sul nostro pianeta. Oppure può essere una persona con ottime intenzioni, che si trova in balìa delle inferenze incontrollate del presunto solato. In quest'ultimo caso, la sua posizione è francamente scomoda. Egli infatti con la massima ingenuità operava in contesto che gli attribuiva solamenti subdoli senza che se ne accorgesse. E' quindi in questo senso egli stesso un solato: il processo gli sfugge, lo subisce, deve difendersene, anche se non lo sa.
Per carità, potrebbe anche ignorarlo, non è detto che gl'interessi. Ma quanto è brutto quando qualcuno legge le tue azioni coi parametri difensivi - degenerati in maligni - della sola paventata, della sola a prescindere? Per costui dunque non resta che una piccola e antipatica impotenza, e ammesso che gl'importi non può modificare le convinzioni del presunto solato, perché il solato è un insicuro, non si fida e non ci crede, soprattutto non lo fa a prescindere, e niente basterà a ridurre il coefficiente di paura che ormai fa parte del suo pacchetto mentale. E' irreversibilmente de coccio.
La non fiducia è spesso un'ottima difesa dalle angherie che può tenderci il prossimo. Ma la non fiducia, altrettanto spesso, puzza di autoconservazione. E chi vuole autoconservarsi a oltranza, chi fraintende la propria vita con l'esercizio indefesso e meticoloso dell'autoconservazione, intesa come timore di perdersi che si trattiene, perde la scommessa (vedi di nuovo Hegel, servo/padrone).
La differenza è che non fidandoti perdi in partenza, omettendo l'azione, proprio per la paura di perdere. Rischiando, la perdita è semmai solo una possibilità tra le altre: rischiando non ci si preserva, ci si mette in circolazione. E' il mettersi in gioco, che fa paura ma rende la vita proprio quello che è, vita, e non mera autoconservazione. Se quel che si teme è un dolore, comunque dal dolore non si scappa.
Bisogna distribuirsi, altrimenti viviamo in una perenne costipazione morale; in perenne irrigidimento e difesa, paura dell'infelicità che finisce per generare essa stessa infelicità. Per dirla economica, chi risparmia troppo, per paura di perdere i soldi, poi muore, e coi soldi sotto il materasso non si può dire che abbia migliorato la sua qualità della vita. Questa tirchieria morale di chi non si fida per principio, di chi non si fida perché fa delle proprie paure una norma e non piuttosto un limite con cui fare i conti - per esempio da sfidare -, produce stagnazione. La paura c'è, e anche per fortuna direi, ma essa di per sé non è un buon motivo per risparmiarsi col pretesto della sola.
Fidarsi presuppone una sicurezza emotiva che non è affatto scontata. Ma fare dell'insicurezza emotiva o delle passate delusioni un alibi per non giocare a questo gioco che prima o poi finirà (ricordiamoci che c'è una clessidra che ci accompagna sempre), non è una mossa particolarmente ingegnosa, è vivere per sottrazione. In questo senso, bisognerebbe che s'imparasse tutti a solarsi da soli: a solare tutti questi meccanismi che inibiscono le azioni e la libertà di fidarsi, togliendo loro tutta questa presunta autorità con cui si arrogano la nostra vita.
Per quanto dunque comprendiamo le oggettive difficoltà insite nel processo sola (che come si è visto ha a che fare con quelle cose strane e potenti che sono la fiducia e le paure), talvolta legittimo, talvolta no, noi oggi spezziamo comunque una lancia sulla testa cioè in favore del presunto solante. Perché in casi come questi siamo garantisti, perché crediamo nella possibilità delle sue buone intenzioni e scommettiamo su quelle, perché sappiamo che spesso egli non vuole affatto solare ma il complottismo del solato lo ingabbia nella trama claustrofobica delle inferenze difensive, da cui deve a sua volta difendersi. Perché preferiamo la possibilità di giocare a carte scoperte - se temi la sola, prima di pronunciare la sentenza del processo di cui sei unico regista, forse comunicare può essere una soluzione preferibile alla condanna.
Ma allo stesso tempo solidarizziamo con il presunto solato: egli ha paura, ha bisogno di rassicurazioni. Mentre solidarizziamo, però, diciamoglielo che sarebbe interessante solare le sue stesse paure, che forse questa è sì una sola per la quale conviene darsi pena, rispetto a quell'altra, che spesso è solo una pippa preventiva.
Spendiamo dunque due parole per questi due strani soggetti, per questi più o meno involontari agenti dell'informe processo, che tante relazioni umane contribuisce ad ammorbare. Il solato è presumibilmente qualcuno che ha conosciuto molte sole nella sua vita: tanti calci nel didietro, meglio noti come "delusioni". E quindi ha suo malgrado imparato che gli altri di solito sono una minaccia da cui difendersi, non una risorsa, non quell'altro da sé di cui ha bisogno e che teme, di cui cioè condivide la vulnerabilità. E a partire da questo apprendimento, funesto o vantaggioso a seconda dei punti di vista, egli avrà sviluppato delle forme di difesa tra cui il presumere fregatura prima che essa sia realmente verificata: prevenire la fregatura immaginandola può ridurre il tasso di fregatura, così pensa a ragione o torto il solato.
Il solante può essere chiunque. Può essere un vero solante (meglio noto come "stronzo"), cioè una di quelle persone meschine che fanno "buon viso a cattivo gioco", che bazzicano negli opportunismi con nonchalance, che purtroppo sono presenti in quantità imbarazzanti sul nostro pianeta. Oppure può essere una persona con ottime intenzioni, che si trova in balìa delle inferenze incontrollate del presunto solato. In quest'ultimo caso, la sua posizione è francamente scomoda. Egli infatti con la massima ingenuità operava in contesto che gli attribuiva solamenti subdoli senza che se ne accorgesse. E' quindi in questo senso egli stesso un solato: il processo gli sfugge, lo subisce, deve difendersene, anche se non lo sa.
Per carità, potrebbe anche ignorarlo, non è detto che gl'interessi. Ma quanto è brutto quando qualcuno legge le tue azioni coi parametri difensivi - degenerati in maligni - della sola paventata, della sola a prescindere? Per costui dunque non resta che una piccola e antipatica impotenza, e ammesso che gl'importi non può modificare le convinzioni del presunto solato, perché il solato è un insicuro, non si fida e non ci crede, soprattutto non lo fa a prescindere, e niente basterà a ridurre il coefficiente di paura che ormai fa parte del suo pacchetto mentale. E' irreversibilmente de coccio.
La non fiducia è spesso un'ottima difesa dalle angherie che può tenderci il prossimo. Ma la non fiducia, altrettanto spesso, puzza di autoconservazione. E chi vuole autoconservarsi a oltranza, chi fraintende la propria vita con l'esercizio indefesso e meticoloso dell'autoconservazione, intesa come timore di perdersi che si trattiene, perde la scommessa (vedi di nuovo Hegel, servo/padrone).
La differenza è che non fidandoti perdi in partenza, omettendo l'azione, proprio per la paura di perdere. Rischiando, la perdita è semmai solo una possibilità tra le altre: rischiando non ci si preserva, ci si mette in circolazione. E' il mettersi in gioco, che fa paura ma rende la vita proprio quello che è, vita, e non mera autoconservazione. Se quel che si teme è un dolore, comunque dal dolore non si scappa.
Bisogna distribuirsi, altrimenti viviamo in una perenne costipazione morale; in perenne irrigidimento e difesa, paura dell'infelicità che finisce per generare essa stessa infelicità. Per dirla economica, chi risparmia troppo, per paura di perdere i soldi, poi muore, e coi soldi sotto il materasso non si può dire che abbia migliorato la sua qualità della vita. Questa tirchieria morale di chi non si fida per principio, di chi non si fida perché fa delle proprie paure una norma e non piuttosto un limite con cui fare i conti - per esempio da sfidare -, produce stagnazione. La paura c'è, e anche per fortuna direi, ma essa di per sé non è un buon motivo per risparmiarsi col pretesto della sola.
Fidarsi presuppone una sicurezza emotiva che non è affatto scontata. Ma fare dell'insicurezza emotiva o delle passate delusioni un alibi per non giocare a questo gioco che prima o poi finirà (ricordiamoci che c'è una clessidra che ci accompagna sempre), non è una mossa particolarmente ingegnosa, è vivere per sottrazione. In questo senso, bisognerebbe che s'imparasse tutti a solarsi da soli: a solare tutti questi meccanismi che inibiscono le azioni e la libertà di fidarsi, togliendo loro tutta questa presunta autorità con cui si arrogano la nostra vita.
Per quanto dunque comprendiamo le oggettive difficoltà insite nel processo sola (che come si è visto ha a che fare con quelle cose strane e potenti che sono la fiducia e le paure), talvolta legittimo, talvolta no, noi oggi spezziamo comunque una lancia sulla testa cioè in favore del presunto solante. Perché in casi come questi siamo garantisti, perché crediamo nella possibilità delle sue buone intenzioni e scommettiamo su quelle, perché sappiamo che spesso egli non vuole affatto solare ma il complottismo del solato lo ingabbia nella trama claustrofobica delle inferenze difensive, da cui deve a sua volta difendersi. Perché preferiamo la possibilità di giocare a carte scoperte - se temi la sola, prima di pronunciare la sentenza del processo di cui sei unico regista, forse comunicare può essere una soluzione preferibile alla condanna.
Ma allo stesso tempo solidarizziamo con il presunto solato: egli ha paura, ha bisogno di rassicurazioni. Mentre solidarizziamo, però, diciamoglielo che sarebbe interessante solare le sue stesse paure, che forse questa è sì una sola per la quale conviene darsi pena, rispetto a quell'altra, che spesso è solo una pippa preventiva.
Nessun commento:
Posta un commento
Per motivi imperscrutabili, capita spesso che i commenti spariscano nel nulla. Io tolgo solo insulti e spam. Meglio perciò eventualmente salvarli e riprovare.