Dopo una prolungata iniezione in vena di Nietzsche, prima di lasciarmi andare definitivamente all'overdose del pericoloso forse e chi s'è visto s'è visto, devo togliermi un paio di sassolini dal sandalo.
Leggere Nietzsche è un'esperienza che, come dire, shakera le sinapsi. Tutti gli argomenti toccati da quel briccone di un filosofo tedesco con occhio rapace e sfacciata nonchalance schiudono un mare di problemi, infinite domande e potenziale incontinente stalking filosofico. Friedrich mi è molto simpatico - anche se le donne non stavano simpatiche a lui, la loro funzione esaurendosi nel partorire superuomini - anche chi lo detesta, e in fondo anch'io lo detesto, non può non trovarlo simpatico. Per molti motivi, ma più di tutto perché viola l'aura pseudosacrale dell'accademismo più ammuffito e ci restituisce una serie di ritratti psicologici dei dotti e dei tromboni della conoscenza che ha ancora una sua prorompente ed anacronistica attualità.
E' a ciò strettamente connessa una sottilissima e spassosissima arte dell'insulto in cui Nietzsche posso dire fu maestro quasi assoluto. Il Nietzsche che apprezzo è il Nietzsche esistenzialista e lo (straordinario) psicologo, il dissacratore e il macchiettista, il "genealogo", se esiste questa parola, insomma in parte il Nietzsche "diagnostico" - non quello politico-normativo (ammesso e non concesso che si possa distinguerli), e tanto meno quello epistemologico.
E' a ciò strettamente connessa una sottilissima e spassosissima arte dell'insulto in cui Nietzsche posso dire fu maestro quasi assoluto. Il Nietzsche che apprezzo è il Nietzsche esistenzialista e lo (straordinario) psicologo, il dissacratore e il macchiettista, il "genealogo", se esiste questa parola, insomma in parte il Nietzsche "diagnostico" - non quello politico-normativo (ammesso e non concesso che si possa distinguerli), e tanto meno quello epistemologico.
Ora, tra tutte le cose che vorrei mandargli a dire, che sono tante e tribolanti, e che non so se avrò modo di appuntare qui, una mi preme particolarmente: la più semplice e banale, direi.
Tutto preso dallo smascherare le bassezze e dal cogliere in flagranza di meschinità gli ometti del suo tempo - i socalled "tisici dello spirito" - Nietzsche, deliberatamente o inconsapevolmente, ignora un semplice fatto. Ignora che egli stesso può essere ricompreso nella diagnosi che fa degli altri.
A un certo punto, dice, i filosofi con le loro teorie nascondono degli interessi, come dire, psicologici, personali. Le loro filosofie servono loro per autolegittimarsi e prendere di mira qualche istinto in favore dei propri. Il che è molto interessante e può ben essere vero. Più esattamente:
"Mi si è chiarito poco per volta che cosa è stata fino ad oggi ogni grande filosofia: l'autoconfessione, cioè, del suo autore, nonché una specie di non volute e inavvertite mémoires; come pure il fatto che le intenzioni morali (o immorali) hanno costituito in ogni filosofia il vero e proprio nocciolo vitale, da cui si è sviluppata ogni volta l'intera pianta. In realtà si agisce bene (e saggiamente) se, per dare una spiegazione a ciò, si comincia col domandarci sempre in che modo le più lontane asserzioni metafisiche di un filosofo si siano determinate: quale morale tutto questo abbia di mira (lui stesso abbia di mira). Conseguentemente io non credo che un 'istinto di conoscenza' sia il padre della filosofia, ma che piuttosto un altro istinto, in questo come in altri casi, si sia servito della conoscenza (e della errata conoscenza) soltanto a guisa di uno strumento. Ma chi considera i fondamentali istinti umani [...] si accorgerà che [...] ognuno di questi, nella sua singolarità, sarebbe disposto anche troppo volentieri a presentare se stesso come l'ultimo fine dell'esistenza e come il più legittimo signore di tutti gli altri istinti. Ogni istinto infatti è bramoso di dominio: e come tale cerca di filosofare. [...] non c'è nel filosofo un bel nulla d'impersonale; e particolarmente la sua morale offre una risoluta e decisiva testimonianza di quel che egli è - vale a dire in quale disposizione gerarchica i più intimi istinti della natura siano posti gli uni rispetto agli altri."
[F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, pp. 11 - 12]
Ora, mi sembra che in virtù di queste stesse premesse, quando Nietzsche ci riempie la testa di discorsi che suonano un po' orendi sul signore che ha il diritto di schiacciare il debole in virtù della volontà di potenza e della sua prorompente brama di dominio; quando si perde in infiniti pipponi sul fatto che la giustizia è stata inventata dai deboli per spirito di vendetta e invidia contro i forti, che i forti in questo modo sono continuamente ostacolati nel dare libero sfogo al suddetto istinto di dominio, mi chiedo: Friedrich, in virtù di quanto sopra da te stesso affermato, cioè che dietro ogni filosofia si nasconde un'autoconfessione interessata del suo autore, è del tutto evidente che sentendoti tu nella vita uomo superiore, ricco di talento e inavvicinabile all'uomo medio (come anche a quello "alto"), dico, non è che tutta 'sta manfrina sulla volontà di potenza non è altro che un modo per vendicarti della vendetta personale che i cosiddetti mediocri che denigravano il tuo talento ti hanno usato nel corso della tua vita? Dietro la tua filosofia cosa c'è, se non il bisogno di vendicarti della loro invidia, creando ad hoc la fumosa categoria dei deboli e conseguentemente affermando che soverchiare il prossimo è legittimo per autolegittimarti in tal senso? Diciamo che io non lo penserei; lo penso soltanto perché tu stesso hai affermato che dietro ogni filosofia c'è una qualche morale che serve al filosofo medesimo per dare libero sfogo ai suoi più bassi istinti.
Infine (che è anche molto bello):
Infine (che è anche molto bello):
"Questi 'uomini buoni' [...] chi di essi sopporterebbe ancora una verità 'intorno all'uomo'!...ovvero, per rendere più concreta la domanda: chi di essi tollererebbe una biografia vera! ... Un paio di indizi: Lord Byron aveva annotato qualcosa di molto personale sul proprio conto, ma Thomas Moore era 'troppo buono' per una cosa del genere: dette alle fiamme le carte del suo amico. La stessa cosa deve aver fatto il dr. Gwinner, l'esecutore testamentario di Schopenhauer: giacché anche Schopenhauer aveva annotato qualcosa su di sé e forse anche contro di sé [...]. Il bravo americano Thayer, biografo di Beerhoven, interruppe tutt'a un tratto il suo lavoro: arrivato a un certo punto di quella rispettabile e candida vita, non riuscì più a sopportarla...Morale: quale uomo avveduto scriverebbe ancora una parola onesta su di sé?"
[F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi p. 133]
PS: "genealogista" :-D
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