Qualche settimana fa sono andata
a un incontro su Pasolini nel quartiere alessandrino. Ammetto che di
solito evito accuratamente incontri su autori conclamati, perché in essi generalmente si tende a un incensamento collettivo poco utile ai fini della conoscenza. A quell’incontro, dunque,
ci sono andata solo per accompagnare un’amica, sicura che avrei sentito
le solite cose.
Bene, contrariamente alle
aspettative, ho scoperto una cosa molto interessante. E cioè che l’ultimo
progetto cinematografico di Pasolini era fortemente contrassegnato da un certo esotismo coloniale, per dirla con Viviana
Gravano, che appunto ne ha dato una chiara lettura in tal senso. Mi riferisco a Appunti per un’Orestiade africana.
Pasolini si era recato in Uganda e Tanzania per realizzare una rilettura in chiave “terzomondista” dell’opera di Eschilo; poiché il progetto, alla fine, non andò in porto, non ne è rimasto che un taccuino di immagini, molto illuminante, che è presente su youtube (cfr. sotto).
Pasolini si era recato in Uganda e Tanzania per realizzare una rilettura in chiave “terzomondista” dell’opera di Eschilo; poiché il progetto, alla fine, non andò in porto, non ne è rimasto che un taccuino di immagini, molto illuminante, che è presente su youtube (cfr. sotto).
È stato un colpo assistere
all’approccio di Pasolini a quella che genericamente definisce “Africa” nel
video stesso. È possibile rendersene conto già guardando le prime immagini. In esse si vede Pasolini con la
videocamera specchiarsi sulla vetrina di un negozio. “Adesso mi sto specchiando
su una vetrina africana”. L’Europeo giunge nella non meglio specificata Africa
per rimirare la sua immagine su una vetrina. Teribbile, in effetti.
L’approccio esotista è il fil
rouge dei diversi video che avrebbero dovuto comporre l’Orestiade africana. In
particolare, colpisce l’incontro che Pasolini ebbe con alcuni studenti africani
all’università La Sapienza (intorno al minuto 16' nel video). Si avverte l’insofferenza di questi ultimi nell’essere
forzatamente ricondotti a paradigmi loro estranei; per esempio, Pasolini gli
appioppa una serie di definizioni, come “società tribale africana”, forzandone l'accostamento con la "civiltà arcaica greca". Come rileva fra l'altro uno studente,
"l'Africa non è una nazione, è un continente [...] va dall'Oceano Atlantico all'Oceano indiano [...] dire Africa non vuol dire niente".
Sì, insomma, il solito eurocentrismo.
Gravano lamentava, in particolare,
come un intellettuale così raffinato avesse potuto ignorare in blocco le
acquisizioni relative agli studi postcoloniali. Les damnés de la terre era un libro già noto; questi studi erano
già in voga da anni. Eppure Pasolini, nonostante la sua profondità
e la sua cultura, è caduto nella trappola dell’idealizzazione occidentale
dell’Altro, e le immagini di Appunti per
un’Orestiade africana sono la rappresentazione fedele dell’immagine
alterata, idealizzata, arcaizzante, eurocentrica, occidentale, del non meglio
specificato Terzo mondo.
Sul sito dedicato a Pasolini, si legge fra l'altro quanto segue, in relazione all'incontro con gli studenti:
“Anche qui esplode il contrasto tra il furore messianico dello scrittore-regista e la medietà dei suoi interlocutori. L’idealizzazione dell’Africa, sentita nella sua unità del passato da mantenere e del futuro da costruire, viene travisata dagli studenti: percepita come qualcosa di cui adontarsi o vergognarsi, e comunque da respingere. Il dramma latente è che la tensione ideale e poetica di Pasolini non sfiora più di tanto quelli che nella realtà dovrebbero incarnarne salvificamente il progetto.”
Secondo l'autore di queste parole, l’errore è degli studenti, non di Pasolini. Idealizzare è evidentemente un’operazione sempre pericolosa.
Tuttavia, condotta oltre un certo limite, per certi versi ho trovato anche scontata la critica che gli è stata mossa. Sarebbe come attaccare Aristotele per il suo spregevole sessismo. L’intellettuale non è in una torre d’avorio, nessuno è del tutto esente dalle contraddizioni e dai limiti della propria cultura; non sempre si hanno a disposizione gli strumenti per riconoscerli e metterli in discussione. In Italia, come ha anche detto Gravano, gli studi postcoloniali hanno sempre stentato ad affermarsi, per via della breve durata - in rapporto ad altre nazioni - dell'esperienza coloniale prima e durante il fascismo. Ma al contempo non so se sia del tutto necessario, per cogliere l'esotismo di un certo approccio, conoscere direttamente questo genere di studi; forse basterebbe un po' di buon senso e spirito critico che a Pasolini non mancavano; ma evidentemente non del tutto. La questione è interessante poiché mostra il potere condizionante delle visioni del mondo correnti anche presso le persone più critiche e illuminate; non mi piace, perciò, sparare a zero su Pasolini, ma solo rilevare questo aspetto cruciale che dovrebbe farci riflettere.
Qui, comunque, i video dell'opera incompiuta.
Qui, comunque, i video dell'opera incompiuta.
PS: è valso la pena andare anche perché, nella scalinata di FusoLab, c'era una ragazza sdraiata a terra, in abito da sera, con le lacrime e un bicchiere di vino bianco in mano. La ragazza cantava questo pezzo, con una voce bellissima, davvero emozionante, senza curarsi di chi saliva le scale. Lo ha fatto per almeno due ore.
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