Selvatico, sonnolento, anarchico, ha gli occhi chiusi a metà; gli alberi le ciglia lascive, pigre. Sta sdraiato sulla costa, piano, come ad abbracciare - un abbraccio caldo e totale che ci si affonda, come amore che civetta con la morte.
Lo Ionio è il pathos sonnecchiante, languido, è Poseidone che dorme di un sonno profondo, come magma di un vulcano inattivo - una divinità intangibile, fatta di nebbie oniriche senza confini come i sogni. E' un inconscio fisico, un grande inconscio blu che straborda.
Lo Ionio ha la faccia della nostalgia. Anche vivendolo qui ed ora ha l'atmosfera del ricordo - del prima a cui bisogna tornare, anche se poi questo prima non c'è; un viaggio da fermi che lambisce l'infinito. Lo Ionio è ancestrale, come quei ricordi sbiaditi dell'infanzia, dai suoni ovattati e le immagini sfocate; è fuoco fresco, è il sublime: mistero e fascino a un tempo; specie di notte, quando i suoi enormi fianchi neri attraversati da onde di luna sembra che parlino. Dicono qualcosa che non ha parole, e non può averle - mentre dall'occhio di Selene osservano il silenzio.
Lo Ionio è un signore con la barba, saggio e fatale; un abisso divino, ambiguo e potente.
Lo Ionio è un signore con la barba, saggio e fatale; un abisso divino, ambiguo e potente.
E' il mare dell'infanzia. Andavo a bruciarmi i piedi e a sporcarmi i capelli coi suoi granelli ardenti ogni domenica, affondavo in quel blu primordiale, cullata da onde di cotone, nell'inutile chiasso della spiaggia, per me silente: il resto spariva inghiottito dall'orizzonte - gli occhi semichiusi, addormentati in un sorriso invisibile - tranne il sale, il vapore, la sabbia, le pietre bollenti e quella strana, preverbale sensazione di eternità che mi coglieva. Mio padre mi sorvegliava dall'ombrellone - esci, hai le labbra viola - io non potevo, ero drogata da quello strano incenso mediterraneo.
Ricordo i piedi sporchi del catrame di Saline Joniche, l'acqua affollata di Lazzaro, il vento di Bocale, le cristalline increspature di Annà di Melito, il sontuoso azzurro di Bova, le onde selvagge di Bianco, i lunghi minuti in macchina nella Jonica - sempre uguale, ancora, sempre lo stesso identico doppio senso a due corsie, le stesse code e gli stessi rivenditori di pinne e ciambelle, lo stesso calore che esala dall'asfalto coi suoi giochi ottici come nell'arsura di un incendio permanente.
Ricordo i piedi sporchi del catrame di Saline Joniche, l'acqua affollata di Lazzaro, il vento di Bocale, le cristalline increspature di Annà di Melito, il sontuoso azzurro di Bova, le onde selvagge di Bianco, i lunghi minuti in macchina nella Jonica - sempre uguale, ancora, sempre lo stesso identico doppio senso a due corsie, le stesse code e gli stessi rivenditori di pinne e ciambelle, lo stesso calore che esala dall'asfalto coi suoi giochi ottici come nell'arsura di un incendio permanente.
E' un posto dimenticato, un posto a parte, che viene meno l'urgenza della civiltà - quella cosa che ha fretta e colori prefabbricati e marmitte e gente, gente, gente con la camicia, le scarpe nuove - quelle per uscire - e borse piene di chiavi. Qui tutto si è fermato. E' questo il posto che gli emigrati maledicono nell'atto stesso di desiderarlo - torna sempre in sogno, una persecuzione mitica - rievocato nella fuga mentale autoprotettiva dall'industrializzato, prevedibile, manierato nord.
Lo Ionio è il più sincero Sud. E' le vecchie vestite di nero, coi capelli intrecciati e la pelle dura; è le vie scritte in grecanico e le cinque dita di Pentidattilo dall'altra parte, dietro il mare, come una mano con le dita consumate - rocce calde - tesa ad afferrare il cielo. E' i vecchi paesani che giocano a carte o guardano storditi i turisti dalle panchine, con gli occhi rossi e un sorriso inspiegabile, antico.
Dopo un lungo rifiuto del mare - del social del mare - delle infradito colorate, i parei floreali, la goliardìa da spiaggia, l'assuefazione sul telo e le chiacchiere delle signore - oggi torno, nuova, a capire. E' una magia ostile, e nel pacchetto c'è la gente rumorosa e logorroica, la socialità allegro consumistica, già vista - ma rapisce testarda, è un incantesimo allo iodio.
Dopo un lungo rifiuto del mare - del social del mare - delle infradito colorate, i parei floreali, la goliardìa da spiaggia, l'assuefazione sul telo e le chiacchiere delle signore - oggi torno, nuova, a capire. E' una magia ostile, e nel pacchetto c'è la gente rumorosa e logorroica, la socialità allegro consumistica, già vista - ma rapisce testarda, è un incantesimo allo iodio.
Sono tornata ora un po' per dovere materno, ma lentamente ho realizzato: i ricordi tornano e la sensazione che tutto ciò sia mio, subito, sulla pelle, mi ha riallacciato a questi posti di un'intensità mitologica, aurea, eterna. Sempre straniera, io - qui meno. Uno dei pochi - l'unico? - posti di cui possa dire, sempre con la pelle, è casa mia. Lo dico con la pancia, con le viscere, con in mano un coccio di memoria primordiale. Prima di bere dal Lete ero figlia di quella schiuma incantata. Senza rendermene conto - presa dalla preadolescenza, poi dalla misantropia, ora nuova - sono diventata figlia di questo pezzo di terra e mare che ha qualcosa di africano. Tornare è una reminiscenza, è vita fusa col prima della vita, è la soglia che la ragione non può superare: è sentirsi, dentro, senza limiti, quello; è sentirsi parte di una poesia scritta in altre forme.
Mar Ionio, bello.
RispondiEliminanon trovo nulla di anacronistico nei tuoi discorsi.
RispondiEliminaè indecente dare dell'anacronistico al è.
dopo di che, lo ionio è anche il mio di mare ma chissà perché lo penso femminile.
a volte.
Dovrò fare un post di spiegazione di quello che intendo con anacronistico. Si tratta di un aggettivo che uso polemicamente. In sintesi, lo intendo come opposizione a ciò che è mediaticamente attuale, "di moda".
RispondiEliminasì, avevo capito.
RispondiEliminaanacronistica anch'io.
il "di moda" mi da la nausea.
è un clown che si aggira per il mondo.