Appunti di Storia moderna

giovedì 4 marzo 2010

Etica dell'argomentazione: sì, come no

Il destino mi ha riservato un brutto scherzo: si è preso gioco di me facendomi capitare nel bel mezzo di un kafkiano esempio di dibattito tra laici e cattolici. 
Da quando mi sono imbattuta in questa incresciosa situazione, devo dire che ho imparato molto. Sì. Ecco che cosa ho imparato.
1) E' inutile. Inutile parlarci. Tutta la mia ammirazione per la teoria dell'argomentazione (C. Perelman), per il concetto di etica della comunicazione (K.O. Apel), per il carattere intrinsecamente discorsivo della democrazia (J. Habermas), ecco, va in frantumi non appena abbia l'occasione concreta di dare sfogo a tanto fremere argomentativo - represso.
Sul crocefisso nelle scuole. Ecco l'incalzare "argomentativo":
"l'UE ha accolto il ricorso dei cattolici"
"ma dai"
"giuro"
"sono d'accordo! sono d'accordo!"
"io no"
"noi quando andiamo da loro non gli diciamo di togliere Maometto dalle pareti"
"ah quindi è per dispetto che vuoi il crocefisso, non consideri che la scuola è un'istituzione pubblica che dovrebbe vantare il requisito della laicità, esattamente al pari delle al.."
"dici così perché non ci credi!"
"no lo direi anche se fossi cattolica, avrei a cuore la democr..."
"ma non sono gli atei a protestare contro il crocifisso! in televisione non ho mai visto atei lamentarsene, sono sempre loro, gli islamici"
Risparmio il seguito della conversazione, sempre più aberrante.
2) Tutte le finezze argomentative, la tensione il più possibile razionale delle motivazioni a giustificazione di una tesi, si sgretolano, schiacciate dal peso incalzante della soggettività tronfia sbrondolante. E' un tipo di soggettività che non rispetta le pause della conversazione, che diventa paonazza, e che, si vede, usa la parola per pura rabbia dogmatica. La parola è funzionale, cioè, non alla comunicazione, ma alla semplice esondazione del proprio io addosso all'altro inerme: in altri termini, uno tsunami individualistico. Le armi razionali, quelle della argomentazione democratica, espongono chi le possieda a tutte le intemperie che solo un infervorato cattolico può generare con la sicurezza di vincere, cioè sopraffare. 
Usando una metafora militare, l'argomentante è come un uomo nudo in mezzo ad un campo di battaglia fitto di arcieri, cannonieri e valorosi spadaccini (tutti presenti nell'unica persona del dogmatico cattolico).
3) Insomma, intesa come pratica discorsiva razionale, la filosofia è inutile. La filosofia non farà mai presa presso i non-filosofi. Quindi è condannata all'autoreferenzialità e al compiaciuto scambio accademico, ormai anche quello moribondo e stantìo.
Lo slancio emancipativo della filosofia, sempre tesa a un miglioramento delle condizioni di esistenza umane, grazie alla pratica dello scambio razionale tra uomini e donne autoconsapevoli, diventa, nel migliore dei casi, un bel ricordo, una polverosa speranza. 
Come fare uscire la filosofia dal circolo dei filosofi? (Che è come chiedere: come realizzare davvero la democrazia?)

8 commenti:

  1. Noi prendere in considerazione l'ipotesi di cambiare codice no, eh?
    Se mittente, destinatario e contesto ce li dobbiamo tenere, il messaggio vorrebbe essere quel che è e il canale non fa troppa differenza, direi che vince le eliminatorie il codice.
    Cioè: con tutte le lingue che ci sono, perché proprio la parola?

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  2. Meglio i pugni, vero? Sempre pensato.

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  3. :D be', magari potremmo provare con le immagini, per dire...

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  4. Intendi uno schemino stile mappa concettuale per gli esami delle scuole medie, che riassuma i concetti chiave della democrazia di cui la laicità è presupposto imprescindibile? Dici che potrebbe essere utile?
    Forse sarebbe più efficace il codice ultraterreno: potremmo metterci d'accordo con il loro dio, e chiedergli, per favore, di dire loro che, anche se lui esiste(sse) non è giusto contaminare la dimensione pubblica di particolarismi arrogantelli.
    ;P

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  5. Diciamo che il commento era principalmente relativo al punto 3 e conseguenze. Sul problema di cosa ci sta a fare la filosofia ha lungamente scritto Gramsci. Non farò il citazionista.
    E sulla questione del dogmatismo la tua posizione è un po' troppo - consentimi - fichtiana. Parendo che la discorsività non funzioni, si sarebbe tentati, berlusconianamente, di ricorrere a tanto sofismo. Premesso che secondo me un po' lo si può anche usare - dopotutto c'è un'estetica della parola - e aggiunto che, al limite, lo schemino male non fa, il bandolo della matassa è: non sarà che forse, nonostante le nostre più alte speranze e consuete abitudini, ragionare è troppo sforzo? Se però anche la composizione di immagini può esser frutto di un'attività razionale (penso alla pubblicità, e in generale alla comunicazione visiva, quindi a un altro codice) allora forse dobbiamo filosoficamente iniziare a capire come si fa a dire le cose con le immagini. Che non significa che si debba essere tutti Duchamp o Lissitzky, ma magari esercitarci un po' in questa direzione potrebbe non farci poi così tanto male.
    Ovvero, forse non parliamo più la lingua prevalente. E infatti, dopotutto, quanti contenuti sono oramai veicolati per immagini?

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  6. Forse il problema non sta tanto nel codice, ma in qualcosa di anteriore al codice. Quelli che qualcuno chiamerebbe "schemi mentali" o, ancora, in senso non polemico "pregiudizi", o di nuovo "visioni del mondo", alla humboldt per intenderci (nel senso proprio di "recinti"). QUesta cosa mi fa dare per scontato (chissà, magari a torto) che cambiando il codice le possibilità di ricezione non mutino nella sostanza (anche se in effetti questo è l'opposto di Humboldt).
    Della questione della lingua prevalente. Stavolta polemicamente, si potrebbe dire che l'imbarbarimento generale (quantità) non è una buona ragione per adattarvisi (qualità), non so quanto una "Mimesi" del genere possa servire.
    Però ho capito. Dici, in fondo, che la filosofia parla un linguaggio che non ascolta nessuno. E' così.

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  7. Il problema degli schemi mentali e dell'inattitudine alla ricezione è vecchio quanto il mito della caverna, e ce lo porteremo sempre appresso. Se non vogliamo fare la fine dello schiavo liberato, forse dobbiamo proiettare delle ombre.
    Se cambiamo il codice... be', i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo. Forse il mio mondo filosofico si è fatto più piccolo e limitato di quello circostante. Forse devo imparare nuovi linguaggi. Se invece non li conosco e li balbetto, magari il barbaro sono io.
    - ma magari sono io che sono troppo pop, cosa che non aiuta il pensiero critico e la riflessione.

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