Appunti di Storia moderna

giovedì 15 novembre 2007

O ti neghi e sopravvivi mentre muori, o ti affermi e muori mentre vivi

(Sarò prolissa...!)
“Vivi per autoconservarti , autoconservati per vivere”. La "scelta" verte su due -quanto mai magre- alternative:
- lavorare mettendo nel cassetto il proprio–essere-io , la propria storia, il nugolo di sensibilità , emozioni , idee che si reca con sé, per inserirsi in modo forzatamente neutrale in un ingranaggio meccanico e contribuire – con uno zelo che sfida i confini che separano l’uomo dalla macchina, la scelta dalla reazione a uno stimolo – a farlo funzionare , per poi a fine turno , e con la stessa rapidità con cui si timbra il cartellino, reindossare se stessi e tornare a vivere come-nulla-fosse ;
- o fare continuando ad essere , coerentemente con la propria, come dire, natura?
Il punto di discrimine tra i due mondi sta , tra l’altro, nell’utilità. Oggi l’unica cosa per cui siamo insostituibili da una macchina, è scrivere poesie, comporre musica, dipingere un quadro, ideare. Tutte cose perfettamente inutili... (?!).E comunque neanche questi tipi di fare possono sussistere – nell’autosufficienza - senza un retroscena economico che, centralizzato, ne prestabilisca le direzioni.
Ciò vuol dire che l'unico modo per essere "utili" è "macchinizzarci", cioè fungere da prolungamenti delle macchine? Ma poi questo concetto di utilità mi è piuttosto sospetto. Magari riteniamo istintivamente utile ciò che siamo stati abituati - cioè indotti - a ritenere tale. Ma utile a cosa? Ho come l'impressione che ciò che originariamente doveva essere utile a noi, persone umane con dei bisogni da soddisfare, abbia via via lasciato il posto a ciò che è utile a quel sistema che si è formato (installato, rafforzato, radicato) inizialmente per soddisfarci e che ha poi rimpiazzato il complemento di termine (alla parola utile) "noi", subentrandogli zittamente e categoricamente. Il paradigma è, quindi, "utili al sistema". E noi, coi nostri bisogni, la nostra umanità da esprimere? Paradossalmente, i nostri stessi bisogni sono utili al sistema. Tanto che quelli -relativamente pochi- che abbiamo, non gli bastano, quindi (come qualcuno da qualche parte ha detto) ne crea - sempre zittamente eh, eppure quanto rumore sento io: un fracasso- di nuovi. Come? L'umanità da esprimere? Bè. Il sistema ha escogitato un modo per rafforzarsi anche con questa specie particolare di bisogno. Per distrarti c'è la tv, per non pensare al lavoro c'è la notte bianca, per non sentirti solo ha creato le agenzie di appuntamenti, per non sentirti depresso ti deprime di più. Ops! Mi è scappato. Ma tra l'altro e per di più, la natura non offre soluzioni a chi non sa scrivere poesie, comporre musica, dipingere quadri, ideare (e il sistema non le offre a chi pure sappia fare tutto ciò, ma non rispettando i suoi clichés - studiati a tavolino in vista del business). E chissà, forse rientra nell’equilibrio dell’(eco)sistema che vi siano inetti, meno inetti, geni, meno geni, mediamente scemi e mediamente geni; impiegati delle poste e poeti. Ad ogni modo, tutto questo purpurì va a riflettersi sulla propria considerazione sociale da parte della massa massificata e massificante . Un manager è un dio. L’operaio un poveretto. L’impiegato una brava persona. Il poeta “uno - che - sa - solo - piangere”. Il cantante, se non entra nel giro del business discografico, cioè se non propone ritmi mediamente dance con testi dalla funzione puramente decorativa (e che possibilmente abbiano per tema il sole, il cuore, l’ammore, con un ritornello che faccia pendant con la spiaggia) , e non è bello – cioè spavaldo, muscoloso, possibilmente con occhi verde smeraldo e nasino all’insù – è uno sfigato. Non sono faziosa: basta guardarsi intorno. E pensare che più o meno tutti gli appartenenti alle categorie che ho sopra sommariamente citato, reagiscono in modo da giustificare quel tipo di considerazione sociale e da nuovamente rafforzarlo. Si alleano, cioè, col “nemico”, dandogli man forte. Il cantante cerca di scrivere la canzone più adeguata possibile ai canoni richiesti dalla casa discografica (che segue, come si dice, i gusti del pubblico, ma , direi, a un tempo li forma) . L’operaio, non avendo alternative lavorative, si accontenta di appiccicare le etichette sulle centinaia di bottiglie che gli scorrono innanzi. L’impiegato odia il suo lavoro, ma tiene famiglia, e magari per salire di grado – cioè guadagnare di più – sgomita coi colleghi inscenando una gara feroce a chi si fa notare di più dal capo – non escluse invidie, dispettucci , frecciatine, denigrazioni “funzionali allo scopo”, colpi bassi tra … “sodali”, quindi frustrazione e/o cattiveria. Facciamo pure che la figlia dell’impiegato, vedendo in casa l’esempio umano della frustrazione, ovvero di ciò che certamente non la riguarderà mai, e in televisione tutto brillare sotto l’instancabile luce della celebrità (come un tempio dedicato al piacere incondizionato), ha deciso di sfondare nel mondo della televisione, e usa i soldi di papà per studiare danza-canto-e-recitazione alla scuola di musical sotto casa, inclusi i continui viaggi per Roma e Milano dove si tengono i provini per entrare in quella o quell’altra trasmissione. Avendo visto che farcela è impossibile data l’immensa orda di aspiranti, decide di andare a letto col produttor tal dei tali. Ed ecco che ha la sua parte nella soap opera. Rilascia interviste, si lamenta del fatto che “questo lavoro non permette, a noi artisti, di coltivare l’amore”, ribadisce i suoi infiniti sacrifici, ringrazia mamma e papà e comunica al pubblico di Verissimo la sua scala di valori, che mette al primo posto l’amore (ahilei), poi la famiglia, poi l’amicizia, e all’ultimo il lavoro e i soldi. Pare desideri diventare mamma, un giorno. Conclude l’intervista esprimendo rammarico per il suo essere “troppo buona”. Penso che la libertà esca inesorabilmente lesa dal suo confondersi con la sfera dei soldi, cioè quando deve confrontarsi con questo “sistema”. Se libertà è avere l’alternativa, cioè poter scegliere realmente, quanto siamo liberi? Le alternative o te le dà la natura o te le dà il sistema. Ma se per lavorare devi innanzitutto alienarti ammenoché non fai quello che ti piace (il che richiede la possibilità economica di studiare o un talento naturale – ma di questo che dovemo di’? –) : quanto puoi scegliere? Quanto sei libero? Ci troviamo di fronte alla strana contraddizione per la quale se vuoi sopravvivere, devi condurre una vita mutila, alienata . Se vuoi condurre una vita "intera", alla massima espressione, coerente con la tua natura, come fai a sopravvivere? (Il problema non si pone per chi è come il sistema: mediocre. O che si sia mediocri perché così ci ha formati il sistema?).
Ho come il sospetto che si tratti di una cospirazione messa a puntino per rincretinirci tutti. (L'ombra di Orwell incombe: forse che ci ridurremo a tritare libri, un giorno? D'altronde, c'è chi è stato “tritato” dall'Azienda Radiotelevisiva Italiana - si scrive maiuscolo come Dio-). Qualcosa di economico che sfocia nel politico, per cui siamo tutti sotto sequestro, e non c’è riscatto che tenga. (Aggiungo che rientra nella logica dell’imbavagliamento il fatto di non mostrarsi come tale, ed è proprio questo – come dire – dualismo tra l’essenza e l’apparenza del sistema il suo punto di forza. Come se l’apparenza fosse funzionale all’essenza retroagendo su di essa in modo da alimentarla progressivamente … mi si perdoni il linguaggio forse qui inopportuno!) Imbavagliati, e non esagero, anche nel pensiero: nel senso che non ci è permesso di esperire qualunque realtà esuli dallo schema rigido e prefissato che il sistema (il vero feticcio della modernità) ha gentilmente predisposto per tutti noi. Ciò che è peggio è che pare nessuno sia responsabile di tutto ciò: come se il meccanismo ci fosse irrimediabilmente superiore, e non potessimo citare in giudizio - morale - il tizio e il caio responsabili. Hannah Arendt leggeva questo tra le righe del nazismo: non si capisce con chi dobbiamo prendercela. In pochi lo leggono a chiare lettere tra le piaghe del sistema. No, non ci sono i lager. Direi che da queste parti a morire è qualcosa del cui decesso non ci accorgiamo, perché troppo distratti dai troppi colori dei troppi cartelli pubblicitari, delle troppe tette sbattute in faccia qua e là, delle troppe cronache nere che amplificate riducono tutti gli altri suoni a 0 decibel, e, chissà, un giorno (Asimov non me ne voglia) a zero sarà ridotto qualcos’altro: la nostra intelligenza, per esempio.

13 commenti:

  1. Il reale è molto più problematico e frastagliato di quanto tu possa immaginare. Esiste il soggetto; e il soggetto non è solo un ingranaggio della macchina, è anche un elemento di resistenza. La macchina automatizza, ma il soggetto può disarticolarla attraverso i suoi micromovimenti: appunto l'uomo non è tutto lì perché è implicitamente irriducibile alla macchina. C'è sempre qualcosa che sfuma, eccede, si ripiega. Si tratta di trasformare quest'eccedenza in uno strumento propositivo e non meramente descrittivo...

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  2. Secondo me sono solo perversioni generate dal continuo bombardamento mediatico-psicologico-sociale-ecc. che spingono il soggetto ad agire in un modo o nell'altro.
    Adattandosi a questa e a quest'altra cosa sensa chiedersi cosa voglia veramente lui.
    Spersonificazione questa è la nostra era.
    Un po di silicone sotto al mento..e un grattaevinci in tasca..non si sa mai.

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  3. @anonimo: allora equivale a dire che anche tu agisci in virtù del bombardamento mediatico-psicologico-sociale...

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  4. Il soggetto è irriducibile alla macchina esattamente nella misura in cui vi è ridotto. Non capisco il senso di questa presunta disarticolazione attuata dai suoi micromovimenti: questa frase è per me priva di significato. Come si può trasformare in un che di propositivo il fatto di essere surrogati di un apparato burocratico o industriale? Ove il proprio ruolo non è quello dell'umanità, e l'unico obiettivo ammesso è il "far-funzionare"?
    Ad anonimo: la perversione di cui parli fa presto ad assumere le sembianze della normalità. Che l'imbavagliamento e tutto il resto sia ormai una pratica routinaria, non provoca sbigottimento ai più, ma semmai semplice indifferenza, subitaneo adeguamento. Forte dell'abitudine, il sistema inculca se stesso in ogni angolo umano, per disumanizzarlo e banconotizzarlo. Quanto può importare al sistema, cioè al 99% della nostra "vita quotidiana", ciò che vuole il soggetto? E' del tutto indifferente. Le emozioni, i pensieri, le idee, la propria storia, non sono che un sovrappiù ingombrante di materia mielosa che al sistema non può interessare, perché non immediatamente riconvertibili in euro.

    Hannah Arendt in "Responsabilità e giudizio" scrive:
    "In ogni sistema burocratico lo scaricabarile delle responsabilità è faccenda quotidiana, tanto che se si volesse definire la burocrazia nei termini che sono propri delle scienze politiche, vale a dire come forma di governo - facendone il regno degli uffici, contrapposto al regno degli uomini, di uno, di pochi o di tanti - si potrebbe tranquillamente dire che la burocrazia è il regno di nessuno, e forse proprio per questo si può scorgere in essa la forma di governo meno umana e più crudele".

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  5. Però stai scrivendo, evidentemente non sei del tutto riducibile alla macchina. Altrimenti non scriveresti.
    Se c'è un problema la questione non diventa soltanto descriverlo (che è una prima fase) ma rimuoverlo o tentare di farlo.

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  6. nicola ha detto...
    Però stai scrivendo, evidentemente non sei del tutto riducibile alla macchina. Altrimenti non scriveresti.
    Se c'è un problema la questione non diventa soltanto descriverlo (che è una prima fase) ma rimuoverlo o tentare di farlo.



    Perchè scrivere è un'azione legata esclusivamente alle macchine??
    e poi.. cosa vuol dire scrivere?

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  7. Ciao Denise, per quanto riguarda il talento purtroppo le cose non stanno come dici. Conosco persone talentuose nel disegno (nello specifico scenografia) costrette a insegnare (per campare) perché non sono riuscite ad entrare in certi giri, e altre completamente prive di talento nel disegno (incapaci tecnicamente e teoricamente, inette) che operano come, addirittura, responsabili di taluni progetti (grazie al "Padre").

    Qui, purtroppo, neanche il talento basta. Occorre qualcosa d'altro. Il denaro e la conoscenza. Punto.

    Un saluto e buona domenica

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  8. Già, ho tralasciato la sfumatura non poco importante. C'è un difetto nel mio tentativo di argomentazione, il talento come dici non è la vera discriminante tra chi entra nel giro e chi no. In ogni caso, ho detto che chi anche avesse talento, non potrebbe esrpimerlo che in modo contaminato dalle esigenze dell'apparato economico cui farebbe capo. DI conseguenza, il concetto resta quello: è il sistema a decidere. E non è detto che tutto ciò non abbia nulla a che fare con la censura.

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  9. A Nicola: che io resti un essere umano individuato con tutto ciò che questo significa, è fuor di dubbio. Io continuo a soffrire, pensare, volere. Il punto è che tutto ciò non conta niente. La mia sofferenza, nel sistema, ne esce repressa, il mio pensare inutile perché assolutamente non funzionale allo scopo (produrre, vendere, offrire il servizio), il mio volere è semmai riconvertito in qualcosa di riconducibile al sistma, ammenoché non sia un volere che si oppone al sistema e dunque va zittito. Ove quest'opera di "zittimento" ha luogo nelle forme più invisibili. Nessuno verrà a dirmi che quello che voglio è sbagliato, ma di certo non troverò mai una collocazione diversa da quella offertami dal sistema.
    Sì, sono ancora in fase di assimilazione/elaborazione del problema. Mancano molti tasselli, non ho una visione complessiva della cosa, devo ancora approfondire. Perciò, quest'atto di descrizione che però ha in sé quell'obiettività tutta particolare che è, se così si può dire, l'obiettività critica (non è un ossimoro) è solo un atto iniziale ma ad un tempo essenziale.
    Ammetto che il dopo mi fa paura, perché io come tutti, avverto l'impotenza che mi caratterizza in quanto membro qualunque della popolazione consumatrice. Come emanciparsi da questa impotenza? Come trasformare l'alienazione in un che di propositivo? Potrei scrivere un romanzo. Ma questo rientra perfettamente nella logica del sistema per cui il momento critico è relegato in quella sfera della divisione del lavoro dedicata al tempo libero e allo svago, perché tale è inteso oggi il romanzo, ad esempio.

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  10. Segnata per seconda il 15 ad Emeneutica filosofica...

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  11. bho...
    qui si parla di cose serie..
    Io dico la mia ugualmente allora...
    Io mi alzo la mattina e pirito.
    Mi guardo allo specchio..e rutto.
    mi ficco le matite nel culo e me le faccio uscire dal naso..
    Mangio con le mani..e mi lavo il culo con le mani..è meglio dirlo al contrario..perchè la filosofia della vita parte dalla fine..e arriva ad un inizio..ovviamente..secondo me...
    quanto ce l'ha lungo dio?
    Ma ce l'ha piu lungo DIO o ROCCO SIFFREDI?
    ALLORA ROCCO SIFFREDI E' DIO??
    allora DIO è razzista..dove li mettiamo allora gli africani che ce l'hanno di mezzo metro???
    CIoè..sembra una cosa cosi...però sicuramente...
    sono contento di studiare ARCHITETTURA .. e godermi i miei spazi... creare qualcosa di materiale.. forse la mia dimensione..che qualcuno per me vivrà..come la vivessi io..e qusto mi rende felice..utile forse...
    secondo me..piuttosto che parlare di quello che LA LEGGE ci dice..o le istituzioni ci dicono.. dovremmo iniziare a parlare di piu di noi stessi...chiarirci uno ad uno tutti i nostri dubbi..e tutte le nostre incertezze...solo allora potremmo iniziare a parlare fra noi..AVENDO conoscenza piena di noi stessi...

    insomma.. n'to culu.. i riggiu calabria!

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  12. http://calabriamaica.miniville.fr/

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  13. ma perchè si scoprono sempre cose nuove??



    -oscar-

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