Socrate era uno che non ti dava la soddisfazione. Potevi star lì a pregarlo di farsi corrompere, di cedere un po’, di essere flessibile insomma, ma lui, no, non se ne parla proprio. Il principio era quello e tale rimaneva. E guarda caso uno così somiglia a pochi altri che nella storia alla fine si sono fatti ammazzare, dato che non garbavano ai più. Vedi per esempio Gesù. O chi, nel fascismo, è morto pur di non piegarsi al regime. Che strana gente.
Per Hegel erano troppo avanti rispetto alla storia, perciò era necessario che morissero, colpevoli e innocenti a un tempo, incarnavano un contrasto con la società …con una gran componente tragica. D'altronde, quante tragedie hanno per tema questo contrasto insanabile tra doveri, o tra io e società, vedi per esempio Antigone.
Oggi non so se uno così morirebbe, forse metaforicamente sì, sarebbe mandato a morte da una moltitudine che giudica la moralità qualcosa di simile alla pazzia. Facciamo un esempio: mettiamo che io sono la figlia di Gianni Morandi, non ho una gran voce, eppure mi offrono, che so, 50 mila euro per incidere un disco. Facciamo che io non mi senta all'altezza, credo di non saper cantare e dunque di non meritare quei soldi. E che so che al produttore non gliene importa una mazza della mia voce, delle mie qualità, di me insomma, ma è molto interessato al mio cognome. Eppure, quanto gioverebbe alla mia famiglia! E a me, che potrei fare quel desiderato viaggio alle Bahamas che con mio marito non abbiamo mai potuto fare. Inutile dire che Socrate avrebbe rifiutato. Rifiutando anch'io, verrei presa in giro da mezzo mondo, e non è affatto escluso che mi guadagnerei la fama di pazza imbecille. Insomma, subirei l'isolamento, e a quel punto potrei forse lontanamente somigliare a Socrate, a condizione di restare inflessibile sulla mia decisione, cioè di dare a questa specie di coerenza con me stessa un valore superiore a ogni altro desiderio.
Socrate aveva un animo nobile. Puro di quella purezza di chi crede fermamente in qualcosa e non senza ostinazione la porta avanti perché ha schifo della bassezza e della volgarità. Comunque, non direi che oggi non si possa parlare di principi "morali" perché, dopo il nichilismo e tutto il resto, sarebbe anacronistico. A quanto pare, anche duemila anni fa era anacronistico, data la fine che ha fatto quell'uomo. Nichilismo o meno. In realtà, e non credo sia una novità, il nichilismo c'è sempre stato, per il semplice fatto che mai nessun filosofo o chicchessia, è riuscito anche lontanamente a fondare in modo inoppugnabile un principio morale, o un sistema morale.
Persino Kant, nonostante le sue grandi pretese, ha parlato del dovere per il dovere come di un fatto della ragione. Potremmo chiedergli: scusi, signor Kant, ma perché il dovere? Semmai, se un tempo c'era per lo meno il tentativo di fondarlo, in uno slancio che molto ha a che fare con la cecità della speranza, oggi è data per scontata la sua congenita indimostrabilità. Ma, in fondo, non è pur vero che i suoi principi Socrate non tentava neanche di giustificarli? Alla fine, credo che Hume non abbia affatto torto. La morale è, innanzitutto, sentimento. Questo disturberà quelle pretese di universalità, cioè di scientificità, la cui mancanza molti gli hanno rimproverato, ma il dato di fatto è questo. Socrate sentiva che non bisogna mai fare ingiustizia, neanche se ricevuta (che cosa s'intenda poi per ingiustizia…bè, evidentemente sentiva anche quello, senza avvertire il bisogno di precisare fino in fondo cosa intendesse), o che non bisogna curarsi dell'opinione dei molti bensì di quella dei pochi competenti in materia di virtù (come riconoscere questa competenza, e di che genere di virtù parlasse, bè, idem sopra).
A questo punto, si fa un tantino più problematico il famoso "so di non sapere"…sì, sa dei limiti della sua conoscenza, eppure in fatto morale qualche sapere lo dà per presupposto, senza neanche sognarsi di metterlo in questione. Ne è intimamente convinto.
Penso a Socrate come a un uomo libero, nel senso più profondo e totale dell'aggettivo. Conferma il fatto che chi è attaccato alla vita tanto da non preferirle qualsiasi cosa, non è libero, perché non è in grado di lottare fino in fondo per la vita e per la morte. Alla fine è libero chi non ha paura di perdere, o, meglio, chi non fa dell'autoconservazione la linea di demarcazione fra il possibile e l'impossibile a farsi.
Allora, alla domanda: perché essere morali? Risponderei: perché lo si sente. O, come diceva la Arendt, perché sai che dopo aver fatto il contrario di quel che credevi giusto, ti sarebbe impossibile rivolgerti a te stesso e alla tua coscienza senza una grande inquietudine. Chi non ha collaborato col nazismo, rispose alla domanda "perché non lo hai fatto?" così: perché dopo non sarei più stato capace di convivere con me stesso. Meglio morire. Non a caso il famoso Eichmann e tutti i fautori del nazismo, si sono in seguito rivelati incapaci di provare rimorso. Perché gli mancava quel semplice (ma, in questo caso, fatale) dialogo tra sé e sé che coincide con l'attività del pensare. Un pensare sentito, direi. In questo senso il male è banale…dietro di esso non si nasconde la malvagità, la cattiveria delle streghe delle favole o dell'assassino di qualche bestseller, ma, appunto, il fatto banale di essere incapaci di pensare tra sé e sé.
http://www.michelstaedter.it/index.htm
RispondiEliminahttp://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Michelstaedter
Cara Denise, complimenti per questo intervento. Probabilmente diventerai una...? Giornalista, filosofa.
RispondiEliminaPensare.
Alessandra
Sai, il giornalismo rientrava tra la mie aspirazioni fino a qualche tempo fa, oggi comincio a guardarlo con sospetto e a svestirlo di qualunque potere d'attrazione su di me. La penna funziona in troppi diversi modi a seconda dei tanti diversi casi, e in quello del giornalismo mi pare funzioni più da firma che sottoscrive l'esistente, che non da parola-schiaffo.
RispondiEliminaPensare, di certo, resta la via: che, a doppio senso, ospita parimenti il non-pensare.
Ti ringrazio, un saluto
Denise
Well said.
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