Appunti di Storia moderna

domenica 21 giugno 2015

Le mie illusioni me le tengo strette

Omaggio al solstizio d'estate

Per capire che le illusioni sono una cosa seria - e preziosissima - ci ho messo tantissimo. Ora, quelle che ho, quelle che mi sono scelta e sudata, me le tengo strette. 

Il cinico disincantato mi fa un po' pena. Dentro di me penso: dilettante! Crede di aver capito tutto, ma non ha capito niente. Non sa che oltre il disincanto c'è un'altra fase, la più interessante di tutte, quella delle illusioni che ti sei scelta, che ti sei conquistata, e su cui francamente non sei molto disposta a negoziare. Ci sarà sempre qualcuno pronto a dirti: ah! tutte illusioni! la realtà è questa, cara mia! Con la voce di chi ha capito tutto della vita, ma in realtà si limita a trasfigurare i propri fallimenti in senso normativo (pretendendo che debba valere lo stesso per tutti gli altri). Ma insomma, il tacchino induttivista di Russell non vi ha insegnato proprio niente?
Nah, troppo facile. Quando qualcuno mi fa la pedagogia del realismo (falso, perché della realtà fanno parte anche loro: le illusioni! e negarle non è realistico...), io sorrido amabilmente, annuisco, penso: si è fatto tardi, quando ti toglierai di mezzo? Mi fai perdere tempo.

Non riesco a godere della compagnia di persone troppo disincantate, che hanno rinunciato a tutto, che negano la vita per paura che gli faccia troppo male (questa è la mia definizione di "cinismo"). Ipostatizzano un lato della questione, fraintendono la parte per il tutto: il disincanto non può esaurire la vita; pretendere che lo faccia ha qualcosa di bugiardo ma prima di tutto di risentito. E non riesco a godere della compagnia di persone ancora troppo illuse, disposte ad attaccarsi ancora a qualcosa che fallirà di nuovo: al bimbominkismo della volontà, se posso usare questo termine. Chi non è stato mai sventurato non sa nulla, dice Leopardi.

Le persone positive e le persone negative, in qualche modo mentono: hanno deciso che è tutto di un colore, ma io voglio le sfumature e mi aspetto sempre l'inaspettato. In questo ho probabilmente torto. Allora diciamo che decido deliberatamente di volere avere torto.

Leopardi (Zibaldone) ha detto qualcosa di simile. Nonostante la ragione e la conoscenza, cioè «ancorché sapute vane», le illusioni trovano sempre il modo di farsi largo tra le macerie del disincanto. Persino tra i filosofi, quelli che più degli altri raccontano - dice - «le miserabili verità della natura umana». E per fortuna anche: senza illusioni, ci saremmo già abbondantemente estinti. Leopardi era troppo sensibile e troppo acuto per non rendersi conto dell'importanza delle illusioni - nonostante il carattere tragico della loro dialettica con la realtà. 
«Le illusioni per quanto sieno illanguidite e smascherate dalla ragione, tuttavia restano ancora nel mondo, e compongono la massima parte della nostra vita. E non basta conoscer tutto per perderle, ancorchè sapute vane. E perdute una volta, nè si perdono in modo che non ne resti [214] una radice vigorosissima, e continuando a vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta l'esperienza, e certezza acquistata. Io ho veduto persone savissime, espertissime, piene di cognizioni di sapere e di filosofia, infelicissime, perdere tutte le illusioni, e desiderar la morte come unico bene, e augurarla ancora come tale, agli amici loro: poco dopo, bensì svogliatamente, ma tuttavia riconciliarsi colla vita, formare progetti sul futuro, impegnarsi per alcuni vantaggi temporali di quegli stessi loro amici ec.
Nè poteva più essere per ignoranza o non persuasione certa e sperimentale della nullità delle cose. Ed a me pure è avvenuto lo stesso cento volte, di disperarmi propriamente per non poter morire, e poi riprendere i soliti disegni e castelli in aria intorno alla vita futura, e anche un poco di allegria passeggera. E quella disperazione e quel ritorno, non avevano cagion sufficiente di alternarsi, giacchè la disperazione era prodotta da cause che duravano quasi intieramente nel tempo ch'io riprendeva le mie illusioni. Tuttavia qualche piccolo motivo di consolarmi, bastava all'effetto, ed è cosa indubitata che le illusioni svaniscono nel tempo della sventura, (e perciò è verissimo, e l'ho provato anch'io, che chi non è stato mai sventurato, non sa nulla. Io sapeva, perchè oggidì non si può non sapere, ma quasi come non sapessi, e così mi sarei regolato nella vita.) e ritornano dopo che questa è passata, o mitigata dal tempo e dall'assuefazione. Ritornano con più o meno forza secondo le circostanze, il carattere, il temperamento corporale, e le qualità spirituali tanto ingenite come acquisite. Quasi tutti gli scrittori di vero e squisito sentimentale, dipingendo la disperazione e lo scoraggiamento totale della vita, hanno cavato i colori dal proprio cuore, e dipinto uno stato nel quale[215] essi stessi appresso a poco si sono trovati. Ebbene? con tutta la loro disperazione passata, con tutto che scrivendo sentissero vivamente la natura e la forza di quelle acerbe verità e passioni che esprimevano, anzi dovessero proccurarsene attualmente una intiera persuasione ec. per potere rappresentare efficacemente quello stato dell'uomo, e per conseguenza sentissero ed avessero quasi per le mani il nulla delle cose, tuttavia si prevalevano del sentimento stesso di questo nulla per mendicar gloria, e quanto più era vivo in loro il sentimento della vanità delle illusioni, tanto più si prefiggevano e speravano di conseguire un fine illusorio, e col desiderio della morte vivamente sentito, e vivamente espresso, non cercavano altro che di proccurarsi alcuni piaceri della vita. E così tutti i filosofi che scrivono e trattano le miserabili verità della nostra natura e ch'essendo privi d'illusioni in fondo, non cercano poi altro veramente col loro libro che di crearsi, e godersi alcuni illusorii vantaggi della vita (vedi CiceronePro Archiac. 11.) Tant'è: la natura è così smisuratamente più forte della ragione, che ancorchè depressa e indebolita oltre a ogni credere, pure gli resta abbastanza per vincere quella sua nemica, e questo negli stessi seguaci suoi, e in quello stesso momento in cui la predicano e la divulgano; anzi con questo stesso predicare e divulgar la ragione contro la natura, la danno vinta alla natura sopra la ragione. [216] L'uomo non vive d'altro che di religione o d'illusioni. Questa è proposizione esatta e incontrastabile: Tolta la religione e le illusioni radicalmente, ogni uomo, anzi ogni fanciullo alla prima facoltà di ragionare (giacchè i fanciulli massimamente non vivono d'altro che d'illusioni) si ucciderebbe infallibilmente di propria mano, e la razza nostra sarebbe rimasta spenta nel suo nascere per necessità ingenita, e sostanziale. Ma le illusioni, come ho detto, durano ancora a dispetto della ragione e del sapere. È da sperare che durino anche in progresso: ma certo non c'è più dritta strada a quello che ho detto, di questa presente condizione degli uomini, dell'incremento e divulgamento della filosofia da una parte, la quale ci va assottigliando e disperdendo tutto quel poco che ci rimane; e dall'altra parte della mancanza positiva di quasi tutti gli oggetti d'illusione, e della mortificazione reale, uniformità, inattività, nullità ec. di tutta la vita. Le quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perder tutte le illusioni, e le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere avanti gli occhi continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro che le ossa, come di altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto è possibile che l'uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni [217] e visioni. A riparlarci di qui a cent'anni. Non abbiamo ancora esempio nelle passate età, dei progressi di un incivilimento smisurato, e di un snaturamento senza limiti. Ma se non torneremo indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno posteri. (18-20. Agosto 1820).»

6 commenti:

  1. http://www.scientificamerican.com/article/mind-reviews-denial/

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    1. Diciamo che in questo caso parlerei di negazione autocosciente, di illusioni autodeterminate :P

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    2. E' un fare "come se" dunque, rivolgendoti ad una platea interiore? O riesci a controllare volontariamente le illusioni?

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    3. No, molto semplicemente, per fare un esempio, in un mondo in cui quasi tutti non credono nell'amicizia, io scelgo di crederci. Lo stesso vale per altre cose. In effetti, ponendola come nel post potrebbe non essere chiaro quello che intendo...

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  2. E' un classico problema filosofico: scegliere di credere presuppone che non ci credi ancora (o peggio che credi il contrario). Si può "scegliere di credere"? Come si fa? Mi potrei focalizzare su tutto ciò che sembra corroborare questa credenza, oppure reinterpretare ciò che vedo in modo che corrisponda ad essa. Lo manifesto pragmaticamente nei miei comportamenti, in attesa che gli atti s'imprimano nelle mie convinzioni. E' un grosso problema
    LK

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    1. Beh, sì. Ma tenderei a non porre il problema sul piano cognitivo. Ponilo sul piano morale e tutto diventa più facile!

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