Appunti di Storia moderna

lunedì 28 giugno 2010

Callida iunctura

Leopardi è uno di quegli autori con cui combatto "da una vita". Ci sono delle cose che non riesco a perdonargli, proprio perché lo apprezzo - per la sua abissale capacità di cogliere l'essenziale, rara qualità in tutti i tempi. 
Il mondo è un dispersivo coacervo di moltitudini, nel quale scorgere il senso profondo o la direzione principale delle cose (che può spiegarle in modo potenzialmente definitivo scorgendone il nesso invisibile ma sostanziale), ma, soprattutto, dirla, è estremamente difficile - richiede il possesso di strumenti osservativi, valutativi, espressivi, emotivi straordinariamente profondi, rari. Lui aveva questa bellissima possibilità, e nella poesia, secondo me, avrebbe potuto raggiungere una perfezione superiore*, di cui era ben capace: più della metà dei suoi Canti** sono fitti di pleonasmi, verbosità, ripetizioni, compiaciuti arcaismi e non ultimo "patetismi", che hanno, per il mio gusto, indebolito la forza sua espressiva. Il Leopardi delle Operette morali, dello Zibaldone, è il Leopardi che mi piace: la sua forza sta nel discorso penetrante e articolatissimo, nel dare il nome giusto a meccanismi non direttamente visibili, grazie a un'intelligenza combinata a un'emotività penetranti, che lo avrebbero reso, se solo vi si fosse cimentato, un grandissimo romanziere - come ebbe a dire Calvino. 

La verbosità in particolare può avere un effetto annientante per questa espressività: disperde i concetti anziché comprimerli o concentrarli in un'unica o più immagini incisive; e la pluralità, con la dispersione, può generare una svalorizzazione delle parti e un depotenziamento del tutto in termini di efficacia espressiva. Il messaggio, se così dobbiamo chiamarlo, ne risulta frammentato, indebolito, tremulo; al lettore perviene un carico d'immagini, sì significative - ma dalla forma disgregata, incapace, se non parzialmente, di imprimersi come un tutto unico e dinamicamente denso. In questo risiederebbe, per me, la potenza poetica: nella possibilità di dire in modo speciale quello che è impossibile dire. E' impossibile dirlo non solo perché, come si diceva tempo fa, l'oggetto da cui scaturisce si trova prima, o oltre, il linguaggio, dunque in una zona d'ombra dove la parola è sospesa, ma anche perché quei pochi che vantino la sensibilità poetica - quella particolarissima capacità di sentire il reale in un certo modo, stabilendovi cioè connessioni profonde e inusuali - sono i pochi eletti a nominarlo. E' la materializzazione di un paradosso abissale.
Infatti per me la poesia quando vanta, fra l'altro, la caratteristica formale-sostanziale dell'incisività, combinata naturalmente a un sostrato figurativo-concettuale profondo, è "assoluta". Un linguaggio incisivo combina sintesi e originalità all'interno di segmenti verbali tanto brevi quanto densi : nulla meglio della famosa callida iunctura oraziana, l'accostamento inusuale di parole di uso comune, potrebbe descrivere quello che intendo. Uno degli aspetti chiave per una incisività poetica consiste cioè nella geniale combinazione dei termini. 
Il verso si muove su solchi espressivi che includono incisivamente parola, immagine, vita emozionale, in segmenti retti da unità verbali la cui potenza espressiva è affidata, in ultimo, al modo inusitato, speciale, di combinare queste unità. Solo un'illuminazione che collide con l'impossibile, che d'altronde scaturisce da processi elaborativi lunghissimi e complessi, può rendere ragione, espressivamente, dell'indicibile - dando luogo alla poesia. La poesia che qualcuno, a ragione, chiamerebbe evento. 
Ricordo con piacere l'osservazione di Borges su alcuni versi di poesia inglese di cui non riusciva a comprendere il senso, e che al contempo amava profondamente. In questo scavalcare la connettività di senso usuale, la logica, l'esplicazione, consiste la poesia, costituendo un mondo a parte, giacendo, cioè, nell'irraccontabile per scoperchiarlo e toccare "le corde più profonde dell'anima". E' una mano tesa verso quella cosa che spiega tutto, anzi, che contiene tutto: la insegue, talvolta la raggiunge, afferrandola.
I versi che non accolgano queste caratteristiche, per me non sono poesia, ma un disperato tentativo di esserlo. Quella di Neruda per esempio mi sembra un significativo prototipo di poesia mancata. La tensione ad approssimarsi verso quel luogo impossibile si manifesta in quei versi che giudicherei imperfetti nel risultato, ma eccellenti nella, appunto, "tensione". Si può dire in questo senso che è già poetico il cercare la poesia, che pur non essendo poesia in atto è ciò che la prelude essenzialmente. Un muoversi a partire da una mancanza alla ricerca della "Cosa" che non ha nome, per restituirle il suo nome.
Tra i relativamente pochi grandi poeti moderni occidentali, quello che secondo me più di ogni altro è riuscito compiutamente a dire quel luogo impossibile nella maniera più incisiva possibile, è Eugenio Montale. I limoni è un capolavoro assoluto di incisività marmorea, di sintesi densa ed energia espressiva che sembra scoppiare dalle parole - pur ferme, che sembrano scolpite. In particolare, le ultime due strofe:

(...) Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s' abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l' anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d' intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità 


Ma l' illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l' azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s' affolta
il tedio dell' inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l' anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d' oro della solarità.

* mi si potrebbe dire: ma chi diavolo sei tu per dirlo? In effetti.
** si veda, per esempio, la poesia Ad Angelo Mai.

6 commenti:

  1. Ciao, mi piace abbastanza quello che scrivi, però devo dirti sinceramente, che non riesco mai a finire di leggere tutto salvo i casi in cui prendo una "lunga" pausa dalla vita frenetica che faccio per fermarmi a leggere concentrandomi molto per cercare di cogliere l'essenza del discorso. Non ti nascondo che ho fatto la domanda presente nel primo asterisco. Un consiglio (magari inutile) cerca di essere meno prolissa, in ogni caso complimenti per il blog. Ciao

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  2. Caro Anonimo, la tua vita frenetica, come d'altronde quella di molti, non mi sembra un buon motivo per riproporre qui il modus di scrittura imperante della comunicazione ridotta all'osso. Il linguaggio scarnificato non mi appartiene, e, poiché lo vedo ovunque, non intendo riproporlo qui. Come è scritto nel trafiletto in alto a destra, con questo blog non cerco la popolarità. Dunque chi vi si vorrà avvicinare dovrà adattarsi alla mia prolissità - altrimenti, ce n'è tanti di blog simpatici e diretti in cui "trovare ristoro" dalla vita frenetica.
    Non accolgo dunque il tuo consiglio ma grazie per i complimenti.
    PS: la domanda del primo asterisco: non c'è, in linea di principio, nulla di intoccabile nell'esprimere un proprio gusto.

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  3. beh, mi sono molto piaciuti alcuni tuoi commenti letti altrove e dunque sono capitato qui.
    certo l'anonimo non ha tutti i torti e pure tu le tue ragioni.
    il problema è anche che dopo un po' lo schermo acceso fa male agli occhi (almeno i miei).
    e poi c'è la saturazione, in tanti scrivono cose interessanti, molti di quelli che per esempio non hanno altri modi di far intendere la loro voce.
    come fare a seguire tutti, parlare con tutti, rispondere a tutti?

    per il momento mi ripropongo di tornare a leggere con più calma.
    complimenti comunque anche da parte mia.

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  4. La molestia dello schermo in effetti c'è. Però, sono contraria all'approccio "ammucchiatesco" nella fruizione del "thought sharing"; come in tutto anche in sede virtual-blogghistica bisogna selezionare: i pensieri e gli aprrocci non si equivalgono, ognuno, almeno in linea di principio, ha una sua specificità, ed è a partire dalla propria preferenza per questa che bisognerebbe operare la selezione. In sintesi, la frenesia-della-vita-moderna e il male agli occhi sono un motivo in più per preferire all'abbuffata una degustazione calibrata. Come a dire: pochi ma buoni. Perché, in sostanza, seguire tutti?
    Io comunque ribadisco che fondamentalmente qui non scrivo per essere letta, o, quantomeno, non faccio nulla per attirare lettori, altrimenti di certo cambierei strategia comunicativa.
    Grazie.

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  5. Ma ci vedi tu un parallelismo tra lo sviluppo storico dell'arte e quello della poesia? Investigato il mondo figurativo, appresi i sistemi di riproduzione prospettici, scoperte le dimensionalità spaziali, l'arte si rivolge all'intimo e poi al concetto, richiedendo uno sforzo intellettuale all'osservatore. E così, la poesia non è sempre stata quella che descrivi tu, era esercizio mnemonico prima della scrittura, esercizio stilistico (abbellimento della prosa) insomma la poesia cercava nella parola quello che l'arte (a esempio pittorica) cercava nella vista. Ora, questa tensione che narri, di trasportare nell'accostamento insolito ciò che non appartiene ancora al mondo del detto è lo stesso tipo di parto creativo impiegato nel formare nuovi concetti. Questo sì che può essere sempre stato presente: una volontà di provare il giocattolo, sia esso la pittura o la poesia. Così, non c'è gusto a ripercorrere la strada di altri, ma questo solo se si possiede il giusto fuoco.

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  6. Qui non ho inteso riflettere sulla genesi della poesia, né sulla sua storia, né una verità assoluta e/o totalizzante, ma semplicemente ho espresso alcune idee personalissime su un aspetto tra gli infiniti aspetti della poesia.

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