Trovo Shymalan un regista che sa cogliere l'essenziale, e che benché talvolta non sappia raccontarlo senza cadere in certi schemi rappresentativi stereotipati propri dell'industria del cinema, in genere i suoi film mi suscitano l'impressione di muovere da presupposti concettuali estremamente acuti.
The village e E venne il giorno appartengono a quella - invero scarna - categoria di film la cui essenzialità riesco a cogliere molto dopo la loro visione: un brusìo concettuale la accompagna, e la segue - qualcosa di difficilmente decifrabile che poi, dopo una lunga gestazione rielaborativa, emerge lasciando profonde tracce.
Lentamente dunque riesco a capire perché mi aveva colpito, nel film E venne il giorno di Shymalan, la scena in cui l'anziana eremita ferma l'impeto informativo dei suoi ospiti - in fuga dal delirio del mondo - con un incisivissimo "non voglio saperlo". La morte è dietro l'angolo, il mondo si prepara a diventare un cimitero e tutti sono in fuga, ma non c'è spazio per simili esortazioni ansiogene, perché la vecchia sottrae volutamente al dialogo le condizioni per l'informazione. Così, la scena descrive un moto tendenzialmente rivoluzionario: bloccare il flusso informativo è possibile.
The village e E venne il giorno appartengono a quella - invero scarna - categoria di film la cui essenzialità riesco a cogliere molto dopo la loro visione: un brusìo concettuale la accompagna, e la segue - qualcosa di difficilmente decifrabile che poi, dopo una lunga gestazione rielaborativa, emerge lasciando profonde tracce.
Lentamente dunque riesco a capire perché mi aveva colpito, nel film E venne il giorno di Shymalan, la scena in cui l'anziana eremita ferma l'impeto informativo dei suoi ospiti - in fuga dal delirio del mondo - con un incisivissimo "non voglio saperlo". La morte è dietro l'angolo, il mondo si prepara a diventare un cimitero e tutti sono in fuga, ma non c'è spazio per simili esortazioni ansiogene, perché la vecchia sottrae volutamente al dialogo le condizioni per l'informazione. Così, la scena descrive un moto tendenzialmente rivoluzionario: bloccare il flusso informativo è possibile.
L'iperstimolazione è la categoria descrittiva a mio avviso più pertinente da applicare alla nuova realtà mediatica. Tale categoria contiene in sé, tuttavia, il suo opposto - per descrivere ciò si può ricorrere al vecchio proverbio il troppo stroppia. Ovvero: iperstimolare è sottostimolare.
Alla carta stampata come mezzo di informazione esclusivo di quasi un secolo fa, si è aggiunta la radio, poi la televisione, oggi il prorompente mondo del web, il tutto in un solo secolo. Questi mezzi penetrando nella quotidianità e nel costume dei popoli occidentali, li hanno chiaramente condizionati nel profondo, e, fra le tante caratteristiche di questo condizionamento, una posizione non irrilevante va attribuita all'iperstimolazione informativa.Essa è iper in due modi: nel tempo (è immediata, veloce, continua, e in costante aggiornamento), nello spazio - essa è ovunque, nel senso che molto spesso anche senza cercare attivamente e volontariamente l'informazione è l'informazione che cerca noi.
In linea di principio non possiamo fermare questo rincorrerci indomabile dell'informazione, quale essa sia. E il sistema promuove e incoraggia questa rimozione della volontà nella fruizione dell'informazione.
L'intenzione retrostante non è, tuttavia, come sembrerebbe da questa valutazione, quella del desiderio che tutti sappiano delle cose importanti, bensì quella di rinserrare gli individui in una morsa, in una spirale di cui è necessario non comprendere il senso.
Uso il termine fruizione al posto di conoscenza per un motivo preciso: dato il carattere "iper" dei flussi informativi nello spazio e nel tempo il primo effetto è quello di una superficialità intrinseca al meccanismo. Le cose, in breve, non si conoscono, ma sono fruite con maggiore o minore passività, esse appaiono per poi scomparire al fine di lasciare il posto ad altri fantasmi.
L'intenzione retrostante a questa dinamica è quella di offrire al target fatti a spizzichi e bocconi, continuamente, lasciandolo così sempre affamato. La fame generata dalla struttura stessa del sistema informativo nel suo complesso, è funzionale alla sua alimentazione ulteriore, nel senso che essa cresce proprio nella misura in cui genera questa fame. La spirale del non lo so ma devo comunque saperlo tuttavia per finta, è la linfa di tutto questo. L'informazione passa dalla categoria della conoscenza alla categoria dell'intrattenimento.
Nell'iperstimolazione sottostimolante, vengono infatti tragicamente meno dei momenti chiave della cognizione: attenzione, concentrazione, durata, memoria. Il cervello si abitua all'effimero e non è difficile immaginare come presto impari ad apprezzare solo quello, secondo un circolo vizioso potentissimo riscontrabile a tutti i livelli del sistema mediatico in generale. La conoscenza deve fare i conti con una realtà che ne rimette in discussione i parametri tradizionali.
In termini di potere sugli individui tale realtà risulta funzionale alla sua affermazione. Dobbiamo in parte abbandonare la vecchia idea per la quale fruire di un mezzo informativo implica una conoscenza mentre non leggerlo implica ignoranza. Ora le persone che si approcciano all'informazione sono, sempre in linea di principio, scarsamente distinguibili da quelle che non ne sono interessate. Chi apprende qualcosa lo fa superficialmente e predisponendosi a cancellare subito dopo quello che ha genericamente appreso, il che equivale a non saperlo affatto. Ora, dare l'illusione di informare al contempo disinformando o non informando che in apparenza è un modo potentissimo per tenere a bada il gregge indifeso. Non mi riferisco qui ai nomi delle testate, per esempio al Tg1 piuttosto che al Tg3 o al Giornale piuttosto che al Manifesto (e lì ci sarebbe da dirne), mi riferisco precisamente alle caratteristiche formali del sistema informativo.
Il tutto nell'individuo prende le forme dell'assuefazione (di cui si era già accennato qui). L'iperstimolazione sottostimola in questo preciso senso. Il ricambio freneticamente continuo di news apre la via al connaturato processo di svalorizzazione dell'oggetto iperdomandato e iperofferto. Come nella libera concorrenza l'ampia disponibilità di beni costringe i produttori a ribassarne il presso, così nel processo informativo la grande offerta porta a una sottostima del valore degli "oggetti informativi". Il fruitore, insomma, riconosce scarso valore agli avvienimenti di cui ha fugace notizia. Il loro sovrapporsi indistinto e la loro onnipresente fruibilità genera assuefazione con tutti gli effetti antipolitici che essa comporta.
In sintesi, la prospettiva di agire o di interessarsi davvero a qualcosa che accade viene tenacemente indebolita e con essa le condizioni per la partecipazione politica. La manipolazione, dunque, può generarsi non solo sul fronte dei contenuti (il giornale X dice la verità mentre il giornale Y mente - e anche quello è un problema serio) ma sul fronte della struttura formale, ovvero sul modo di offerta e di fruizione dell'informazione e sul suo intracciarsi con le circostanze mediatiche generali e i loro riflessi su costumi e abitudini.
Tornando alla scena di E venne il giorno, il gesto della vecchia riassume e insieme supera questo discorso. Scegliere di non sapere quello che accade in giro, sia pure grave e legato alle proprie possibilità di sopravvivenza, è un potente atto simbolico sovversivo. Esso rimanda a un coraggioso e anticonformista rifiuto della prassi informativa attuale, là dove nessuno avrebbe mai sospettato anche solo la sua possibilità. Anche qui c'è impoliticità, però è un atto impolitico dettato da una scelta individuale che scaturisce da un'analisi complessa e consapevole della realtà attuale. Dunque, paradossalmente, l'atto del non volerlo sapere della vecchia è più politico di quanto non sembri.
Alla carta stampata come mezzo di informazione esclusivo di quasi un secolo fa, si è aggiunta la radio, poi la televisione, oggi il prorompente mondo del web, il tutto in un solo secolo. Questi mezzi penetrando nella quotidianità e nel costume dei popoli occidentali, li hanno chiaramente condizionati nel profondo, e, fra le tante caratteristiche di questo condizionamento, una posizione non irrilevante va attribuita all'iperstimolazione informativa.Essa è iper in due modi: nel tempo (è immediata, veloce, continua, e in costante aggiornamento), nello spazio - essa è ovunque, nel senso che molto spesso anche senza cercare attivamente e volontariamente l'informazione è l'informazione che cerca noi.
In linea di principio non possiamo fermare questo rincorrerci indomabile dell'informazione, quale essa sia. E il sistema promuove e incoraggia questa rimozione della volontà nella fruizione dell'informazione.
L'intenzione retrostante non è, tuttavia, come sembrerebbe da questa valutazione, quella del desiderio che tutti sappiano delle cose importanti, bensì quella di rinserrare gli individui in una morsa, in una spirale di cui è necessario non comprendere il senso.
Uso il termine fruizione al posto di conoscenza per un motivo preciso: dato il carattere "iper" dei flussi informativi nello spazio e nel tempo il primo effetto è quello di una superficialità intrinseca al meccanismo. Le cose, in breve, non si conoscono, ma sono fruite con maggiore o minore passività, esse appaiono per poi scomparire al fine di lasciare il posto ad altri fantasmi.
L'intenzione retrostante a questa dinamica è quella di offrire al target fatti a spizzichi e bocconi, continuamente, lasciandolo così sempre affamato. La fame generata dalla struttura stessa del sistema informativo nel suo complesso, è funzionale alla sua alimentazione ulteriore, nel senso che essa cresce proprio nella misura in cui genera questa fame. La spirale del non lo so ma devo comunque saperlo tuttavia per finta, è la linfa di tutto questo. L'informazione passa dalla categoria della conoscenza alla categoria dell'intrattenimento.
Nell'iperstimolazione sottostimolante, vengono infatti tragicamente meno dei momenti chiave della cognizione: attenzione, concentrazione, durata, memoria. Il cervello si abitua all'effimero e non è difficile immaginare come presto impari ad apprezzare solo quello, secondo un circolo vizioso potentissimo riscontrabile a tutti i livelli del sistema mediatico in generale. La conoscenza deve fare i conti con una realtà che ne rimette in discussione i parametri tradizionali.
In termini di potere sugli individui tale realtà risulta funzionale alla sua affermazione. Dobbiamo in parte abbandonare la vecchia idea per la quale fruire di un mezzo informativo implica una conoscenza mentre non leggerlo implica ignoranza. Ora le persone che si approcciano all'informazione sono, sempre in linea di principio, scarsamente distinguibili da quelle che non ne sono interessate. Chi apprende qualcosa lo fa superficialmente e predisponendosi a cancellare subito dopo quello che ha genericamente appreso, il che equivale a non saperlo affatto. Ora, dare l'illusione di informare al contempo disinformando o non informando che in apparenza è un modo potentissimo per tenere a bada il gregge indifeso. Non mi riferisco qui ai nomi delle testate, per esempio al Tg1 piuttosto che al Tg3 o al Giornale piuttosto che al Manifesto (e lì ci sarebbe da dirne), mi riferisco precisamente alle caratteristiche formali del sistema informativo.
Il tutto nell'individuo prende le forme dell'assuefazione (di cui si era già accennato qui). L'iperstimolazione sottostimola in questo preciso senso. Il ricambio freneticamente continuo di news apre la via al connaturato processo di svalorizzazione dell'oggetto iperdomandato e iperofferto. Come nella libera concorrenza l'ampia disponibilità di beni costringe i produttori a ribassarne il presso, così nel processo informativo la grande offerta porta a una sottostima del valore degli "oggetti informativi". Il fruitore, insomma, riconosce scarso valore agli avvienimenti di cui ha fugace notizia. Il loro sovrapporsi indistinto e la loro onnipresente fruibilità genera assuefazione con tutti gli effetti antipolitici che essa comporta.
In sintesi, la prospettiva di agire o di interessarsi davvero a qualcosa che accade viene tenacemente indebolita e con essa le condizioni per la partecipazione politica. La manipolazione, dunque, può generarsi non solo sul fronte dei contenuti (il giornale X dice la verità mentre il giornale Y mente - e anche quello è un problema serio) ma sul fronte della struttura formale, ovvero sul modo di offerta e di fruizione dell'informazione e sul suo intracciarsi con le circostanze mediatiche generali e i loro riflessi su costumi e abitudini.
Tornando alla scena di E venne il giorno, il gesto della vecchia riassume e insieme supera questo discorso. Scegliere di non sapere quello che accade in giro, sia pure grave e legato alle proprie possibilità di sopravvivenza, è un potente atto simbolico sovversivo. Esso rimanda a un coraggioso e anticonformista rifiuto della prassi informativa attuale, là dove nessuno avrebbe mai sospettato anche solo la sua possibilità. Anche qui c'è impoliticità, però è un atto impolitico dettato da una scelta individuale che scaturisce da un'analisi complessa e consapevole della realtà attuale. Dunque, paradossalmente, l'atto del non volerlo sapere della vecchia è più politico di quanto non sembri.
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