Appunti di Storia moderna

lunedì 12 ottobre 2009

I brividi del precariato

Paradossalmente, spero di non trovare mai un lavoro a tempo indeterminato (= fino alla morte, NdR).
Il giorno in cui qualcuno mi sottoporrà un contratto che comprenda questi termini, sarà il giorno in cui penserò al suicidio con più desiderio del solito. Penso che mi metterò a piangere davanti al dirigente dell'azienda o istituzione tal dei tali in procinto di offrirmi la penna con cui firmare la mia disfatta, gli sussurrerò nell'orecchio un tragico "non-posso" e, dopo un paio di singhiozzi, nevroticamente mi guarderò intorno per cercare la via di fuga più vicina.

(Ma mi si potrebbe dire: tranquilla, di questi tempi, non c'è pericolo).

12 commenti:

  1. condivido in pieno!

    Forse siamo la prima generazione di italiani che si è rotta le palle del "posto di lavoro" e pensa che fare cose diverse nella propria vita non sia poi così male...

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  2. Primo: nella suddetta azienda o istituzione non è mica detto che svolgerai sempre lo stesso compito.
    Secondo: puoi crescere con lei, migliorarla e approfondirne il funzionamento.
    Terzo: quando ti sei rotta, ti licenzi.

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  3. http://www.youtube.com/watch?v=I3kNUSisvwU

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  4. Adamo, del tuo discorso l'unica cosa che posso apprezzare è il terzo punto. Per il resto, facciamo che ti rispondo col video di D.Benway.

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  5. brava Denise. Sto posto fisso ha proprio rotto. io non ne ho mai voluto uno e mi sono inventata un lavoro. avevo 25 anni, quindi sei in tempissimo...

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  6. beati voi che trovaste i soldi altrove.

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  7. Soldi precari, ovviamente.

    Mammanews, gli unici lavori che amerei fare sono totalmente inutili da un punto di vista "produttivo"...

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  8. Ma come? Scrivi ciò proprio mentre ieri il buon Giulio affermava che il posto fisso risulta essere la base per pianificare una bella vita con prole al seguito e con la soddisfazione di poter dire: "Ce l'ho fatta!". O sei in controtendenza tu o lo è il ministro...Propendo per la seconda ipotesi.

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  9. Caspita. Allora, rivalutiamo gli impiegati, sono loro i veri eroi.

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  10. ho trovato molte affinità con quello che io stessa penso in questo blog (ho trovato il link da un forum) tranne su questo. il lavoro, o meglio l'assenza di lavoro, è stato per me un calvario tutto personale e molto doloroso. la via di uscira che ho trovato è stata instradarmi verso il posto pubblico - essere a tempo indeterminato non basta.dopo la prima laurea in molti mi hanno detto che il mio campo era troppo aperto e che dovevo "inventarmi" un lavoro...provocando il mio più completo smarrimento. anche perchè le uniche cose che mi piace fare, come per te, vertono quasi tutte nel campo del superfluo (anche se io lo chiamo l'essenziale superfluo). invece, anche se sei autonoma, devi vendere. io non lo so fare ma soprattutto, essendo disperatamente inadatta, non desidero farlo. riesco a concepire solo un lavoro in cui solo io posso scegliere di andarmene, e soprattutto un rapporto di lavoro che non comincia da una scelta determinata da un colloquio faccia a faccia. non riesco a sforzarmi di "piacere", e cambiare lavoro significherebbe moltiplicare questo sforzo, che per me è sempre stato inutile e umiliante

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  11. Ciao Anonimo, non ho capito in cosa non sei d'accordo.
    Mi ritrovo in quello che scrivi, comunque.

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  12. ciao, non "sono d'accordo" semplicemente nel modo di sentire...intendo dire che il lavoro a tempo indeterminato è per me la cosa più auspicabile - ferma restando la possibilità di interromperlo in ogni momento in cui sentissi di non potercela fare (e credo che nessuno mi fermerebbe). le alternative sarebbero: non lavorare affatto, scelta radicale, che comporterebbe l'auto-estromissione dal ciclo produttivo in ogni sua forma (la rinuncia alle cose, anche a questa tastiera e a questo computer ma in modo più radicale al cibo, al tetto, ect), oppure, trovarsi nella condizione fortunata di non doverlo fare, o anche il terribile compromesso della dipendenza da chi lo fa per te (perchè vuole, è in grado,può);
    - passare tutta la vita a fare ricerche, a proporsi, a parlare con persone con cui mai avresti voluto avere a che fare, a dover sempre "dimostrare" senza mai semplicemente vivere. ecco, questo per me è l'abisso più tremendo, la più crudele e imposta perdita di tempo, la sottomissione di una categoria di persone che deve essere scelta e lavorare ancor prima di lavorare per non essere "rifiutata". dall'altra parte, colui che sceglie e dispone delle vite degli altri - che non è mai, nemmeno all'origine, migliore di chi ha di fronte ed è destinato a diventare un essere sempre più sterile, poichè il potere logora soprattutto chi ce l'ha

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