Appunti di Storia moderna

martedì 21 luglio 2009

Sulla insospettata libidine del conoscere.

Scrive Rousseau nell'Emilio:

"Qualunque studio si faccia, senza l'idea delle cose rappresentate, i segni rappresentativi non sono nulla".

Ho capito questa frase perché esprime bene un'idea che ho in testa da tempo.
Ricordo che quando ero piccola, molto spesso non capivo nulla di quello che leggevo, o di quello che mi si diceva. Ricordo che mia madre mi aveva regalato un libello con delle figure di cartoncino rialzate, sopra vi era scritta una storia, di poche righe e a caratteri grandi. Dovevo aspettare che mi venisse a prendere dal lavoro, allora sfogliavo e risfogliavo le poche pagine, leggendo quelle righe, ma non capivo, annoiandomi moltissimo. Probabilmente, mentre leggevo pensavo ad altro. Quando guardavo i cartoni animati, temo che comprendessi davvero una minima percentuale della trama. Molto spesso la trama mi era ignota, eppure continuavo a guardarlo per ore. Appunto, mi limitavo a "guardare" una successione di immagini senza nessun significato. Per non parlare delle poesie a memoria. Avevo mandato a memoria le poesie di Manzoni, molte di Carducci, e chissà quante altre che ho rimosso, pur non capendone assolutamente nulla. Quanti pomeriggi passati a cercare di ricordare un'accozzaglia di parole che non aveva nessun senso per me. Però dovevo far contenta la maestra, quindi facevo questo enorme sacrificio, che poi non ha dato nessun frutto, a meno che non si voglia intendere frutto quel senso di straniamento che mi restava dopo aver appreso tante cose vuote.

Si crede che mandare a memoria ammassi indistinti di parole renda un ottimo servizio all'"esercizio della memoria". Ma la memoria non può trattenere ciò che non comprende. E, aggiungo, si comprende solo ciò che in qualche modo "emoziona". Come si può ricordare una complessa formula matematica, senza capire il senso dei simboli e dei loro rapporti? Sarebbe un'impresa difficilissima, e, se pur ci si riuscisse, sarebbe estremamente facile dimenticar tutto in pochissimo tempo.

Tempo fa ho attribuito tutto questo a una scarsità d'intelligenza, a qualche mio deficit d'attenzione. Poi ho capito che i bambini non ascoltano e non capiscono che ciò che interessa loro direttamente, e, soprattutto, sono refrattari a tutto quanto non risulti loro immediatamente chiaro.
Rousseau inveisce per lunghe pagine contro i metodi "educativi" basati sul nozionismo più sfrenato impartito ai fanciulli. Addirittura, scrive che è estremamente sbagliato far leggere i bambini, e leggere loro le favole. Essi non comprenderebbero che le cose che abbiano una utilità evidente in rapporto a loro. E' dall'interesse che scaturisce l'attenzione.

Ma il punto centrale, secondo me, è questo: non si può comprendere nulla che non si abbia già dentro. Paradossalmente, s'impara ciò che già si sa. Forse è questo che intendeva Cesare Pavese, quando diceva, grossomodo, che c'interessa e comprendiamo "solo quello che abbiamo già visto". Come se l'esperienza tracciasse il solco di ciò che è ricevibile, come se preparasse il terreno per ciò che può essere compreso: è a partire da questo, forse, che selezioniamo quando percepiamo. Scrive tal Stephen Spender al proposito: "quasi tutti gli esseri umani hanno una percezione molto intermittente della realtà. Per loro è reale solo un piccolo numero di cose che illustrano il loro interesse, mentre le altre cose, che in fondo sono altrettanto reali, sembrano loro mere astrazioni".

Probabilmente non avrei mai amato La Nausea se non l'avessi in qualche modo già sperimentata. Al liceo, era soltanto con molta difficoltà che riuscivo a interessarmi a cose come le derivate, gli integrali, seni coseni e quant'altro. Chiedevo sempre al professore che cose volessero significare, a cosa rimandassero e perché, mentre lui insisteva sulle formule avulse da tutti i contesti; ma benché astratte, esse potevano essere contestualizzate, dovevano pur rappresentare qualcosa. Sembra che ci tenesse, a che ci esercitassimo in dei calcoli autoreferenziali e vuoti, che facesse di tutto perché sembrassero tali. La matematica andrebbe insegnata , forse, col vecchio metodo dell'abaco o delle mele e delle pere, o ancora, solo in riferimento a figure intuitive, da riferire eventualmente a oggetti reali. La logica, sempre a caccia del ragionamento perfetto, è solo astraendo dal concreto e dal sensibile che può operare, benché si pretenda autosufficiente. Ma forse questo è un altro discorso.

Ecco perché quell'operazione che il senso comune ritiene così tediosa, e che ha messo a punto degli appositi epiteti per screditarla (secchione, ecc), che è lo studiare, può essere invece fonte di massima soddisfazione intima per chi, sin da piccolo, ha imparato che imparare è bello e che le cose che impariamo ci riguardano molto più di quanto sembri.

Quindi il metodo migliore per istruire i bambini dovrebbe far leva innanzitutto sull'interesse, prima di propinare nozioni, sì che la nozione segua al risveglio dell'attenzione, e così non sia più nozione, ma un concetto vivo e presente.
La conoscenza disinteressata, quella curiosità che scavalca la particolare soggettività da cui muove, viene, eventualmente, dopo. Forse è il risultato di anni di apprendimento connesso all'interesse: questo forse insegna il piacere di conoscere, che solo molto più tardi sarà sperimentato davvero. Questo piacere è in qualche modo una redenzione. E' vitalità.

Ecco perché spesso la gente che mi circonda mi sembra morta. Ecco perché penso che, per molte persone, sia troppo tardi e non ci sia più nulla da fare. Il vecchio prof , senza diplomazia, diceva che per esse l'unica cosa conveniente da fare sarebbe chiudersi in un bagno e farla finita con una rivoltella.
Forse, prima di investire in slogan e pubblicità progresso per invogliare alla lettura, bisognerebbe che qualcuno insegnasse ai bambini (prima che sia troppo tardi...) che conoscere può essere una cosa piacevole. Mentre il nozionismo di molti educatori e insegnanti, è associato a noia e pedanteria; questo è il modo peggiore per far pubblicità alla conoscenza: rende un servizio al suo opposto.
Tengo molto a questa idea, perché ciò che si impara ad amare nell'infanzia condiziona tutta la vita successiva, e può in qualche modo decidere della sua felicità.
Penso, infatti, che uno dei motivi che mi spinge ancora ad alzarmi la mattina, a sentire che in fondo valga la pena vivere, è la curiosità e la voglia di conoscere. Analogamente credo che ci siano un mucchio di intelligenze sprecate in giro, che suppliscono a un certo vuoto con qualcosa d'inessenziale che alla lunga le ucciderà.

(Ma che palle questo tono paternalistico che ho oggi)

6 commenti:

  1. Il post è molto bello Denise, sono d'accordo quasi su tutto, in specie sulla conclusione - i professori e i maestri mogliori sono quelli che ti dimostrano l'aderenza di quello che studi con la tua vita. Il fatto che Omero parla anche di te, se tu non la spieghi questa cosa è lettera morta. Sulle poesie a memoria... magari sarebbe il caso di spiegarle meglio prima, però che l'esercizio dell'imparare a memoria avvia l'uso della memoria pure è vero: pensa che il neurologo li fa fare a mio padre, e che in genere si usano nei processi di riabilitazione da ictus, oppure per contrastare le malattie neurodegenerative.

    RispondiElimina
  2. Non critico in sé il fatto di imparare a memoria, critico il fatto di far memorizzare cose che non si capiscono: in quel caso mi sembra un esercizio sterile..

    RispondiElimina
  3. Su questo siamo d'accordo

    (E fammi sapere se decidi di fare la tesi su Adorno che magari ci ho delle informazioni bibliografiche, anche se poi io ho lavorato più che altro sur socio, Horkheimer...)

    RispondiElimina
  4. Sì, ti avevo già messa nella lista delle persone a cui estorcere informazioni :) (Ma ancora c'è tempo)

    RispondiElimina
  5. arrivo da te da anobii, leggo questo post e, devo dire che concordo in pieno non tanto sul corretto e lo sbagliato del sapere enciclopedico (se ci si riflette si può ben dire che abbia generato e forgiato persone eccezionali di ampie vedute, quindi credo sia un pò meno generalizzabile), ma soprattutto sulla vuotezza riscontrata e sul perchè di questo. Il piacere di conoscere nelle persone giovani è spesso soffocato da 'interessi' o falsi interessi ben più reali/concreti, nelle più mature è soffocato dalla convinzione errata di aver già visto/già fatto/ già saputo. Comprendo il motivo dell'alzarsi al mattino, comprendo la redenzione, è quella che chiamo luce e che arriva senza essere richiesta, quando arriva. Per quanto possa durare non so dirlo, certo mi auguro eternamente.

    RispondiElimina
  6. Concordo sull'analisi giovani/adulti: è proprio così. Per quanto mi riguarda, spero che la curiosità e l'amore per la conoscenza sia abbastanza profondo da preservarmi dalla presunzione che giustamente riscontri in molti adulti.

    RispondiElimina

Per motivi imperscrutabili, capita spesso che i commenti spariscano nel nulla. Io tolgo solo insulti e spam. Meglio perciò eventualmente salvarli e riprovare.