Appunti di Storia moderna

lunedì 4 maggio 2009

Sul potere dei genitori

Pur non sapendolo, i genitori fanno molti torti ai loro figli.

Propongo alcuni stralci del famoso libro di Alice Miller Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé : un libro che mi è parso profondo, inquietante, riduttivo, giusto e ingiusto, parziale e obiettivo, allo stesso tempo. Non m'importa stabilire il valore argomentativo del testo, né aderire a una presunta scuola milleriana o ad una qualche scuola di opposto orientamento, semplicemente riflettere a partire da alcuni spunti che l'autrice propone.

La rimozione delle sofferenze infantili non soltanto influisce sulla vita dell'individuo, ma determina anche i tabù della società.

Le esperienze traumatiche di ogni bambino rimangono avvolte nell'oscurità; e sconosciute restano quindi anche le chiavi per comprendere tutta la vita successiva.

Non sempre siamo così colpevoli come ci sentiamo, ma d'altro lato non siamo neppure così innocenti come ci piacerebbe credere.

Si può ricordare ciò che si è vissuto in modo cosciente, ma il mondo affettivo di un bambino leso nella sua integrità è già frutto di una selezione in cui è stato eliminato l'essenziale.

L'autonomia vera presuppone l'esperienza della dipendenza.

E viceversa, esistono persone molto dotate che soffrono di gravi depressioni. Come mai? Perché si è liberi dalla depressione quando l'autostima si radica nell'autenticità dei propri sentimenti e non nel possesso di determinate qualità.

(...) tragica illusione secondo cui l'ammirazione equivarrebbe all'amore.

Il bambino non ha difensori. Com'è ingiusta questa situazione in cui un bambino sta di fronte a due adulti, estremamente più forti di lui, come davanti a un muro!

(...) anch'essi dei bambini insicuri che avevano trovato finalmente un essere più debole di loro con il quale sentirsi forti. (...) Il bambino si sentirà umiliato e disprezzato per non aver saputo distinguere (...) e alla prima occasione trasmetterà quei sentimenti a un bambino più piccolo di lui.

La soppressione della libertà e la costrizione all'adattamento non hanno inizio in ufficio, in fabbrica o nel partito, bensì già nelle prime settimane di vita.

Il loro comportamento riproduce l'atmosfera che creavano i loro genitori e di cui essi non si erano mai resi conto.

Poiché osano conoscere chi ha meritato il loro odio, si possono trovare a loro agio nella realtà, senza essere vittime della cecità del bambino maltrattato che deve risparmiare i suoi genitori e necessita perciò di capri espiatori. Il futuro della democrazia dipende da questo passo(...).

I genitori si vendicano inconsciamente sul bambino delle umiliazioni da essi patite. Nei suoi occhi curiosi viene loro incontro il passato di mortificazioni da cui sono costretti a difendersi col potere che hanno adesso conquistato. Con tutta la buona volontà, non possiamo liberarci dai modelli che abbiamo appreso in tenera età dai nostri genitori.

In molte società le bambine subiscono ulteriori discriminazioni in quanto femmine. Ma poiché come donne eserciteranno un potere sul neonato e sul lattante, faranno ricadere sul bambino, sin dalla più tenera età, il disprezzo che hanno subito. L'uomo adulto idealizzerà poi sua madre, perché nessuno accetta facilmente l'idea di non essere stato veramente amato; in compenso disprezzerà le altre donne, vendicandosi di lei su di loro. E queste, le donne umiliate, adulte, non avranno a loro volta molte altre occasioni di scaricare il loro fardello oltre a quelle offerte dal loro figlio. Qui tutto può accadere in segreto e restare impunito; il bambino non lo racconta a nessuno, se non forse, in seguito, in una perversione o in una nevrosi ossessiva, il cui linguaggio, comunque, è abbastanza cifrato da non tradire la madre.

Ciò che l'adulto combina con la psiche di suo figlio, riguarda lui soltanto; egli la tratta come una proprietà privata (...). Finché non ci sensibilizzeremo alle sofferenze dei bambini piccoli, nessuno presterà attenzione al potere esercitato dall'adulto, nessuno lo prenderà sul serio, ed esso verrà minimizzato, perché in fondo "sono soltanto bambini". Bambini che però tra vent'anni saranno adulti e faranno pagare tutto questo ai loro figli. Potranno pure impegnarsi, sul piano cosciente, contro la crudeltà "nel mondo", ma nello stesso tempo infliggerla inconsciamente a chi è loro vicino, perché porteranno in loro stessi una conoscenza della crudeltà, cui non sapranno più accedere, una conoscenza che rimarrà celata dietro l'idealizzazione di un'infanzia felice (...).

Si badi che l'autrice col termine "crudeltà" non fa riferimento (solo) ai casi ilimite, ai maltrattamenti manifesti, come la violenza e l'abuso, ma anche e forse soprattutto alla più semplice quotidianità del rapporto madre/padre-figlio/a.
Ci sono molti punti in sospeso, secondo me discutibili e imperfetti*, ma trovo che il testo sia bello per un motivo in particolare: riesce a rappresentare la per certi versi tragica disparità di potere tra i genitori e i figli, e quanto essa sia capace di orientare e condizionare l'intera vita. Il fatto apparentemente marginale di essere amati incondizionatamente, per quello che si è e non per quello che si fa, diventa una chiave d'accesso alla comprensione del "dramma del bambino dotato". Si tratta del bambino talentuoso costretto a sviluppare un falso Sé per rimuovere quella consistente parte di se stesso che i genitori mostrano di non amare. La minaccia di perdere quell'amore, il timore a essa connesso, segnerebbe l'inizio di una vita destinata all'alienazione e alla depressione, perché vissuta da un Sé inautentico e scisso.

(Il guaio è che, io, questo libro non so se leggerlo con occhi di madre o di figlia).

*Ad esempio, trovo che Miller parli del "dramma" solo in termini individuali, senza riconoscere alla società il suo enorme potere; inoltre sembra che l'unica redenzione possibile scaturisca dal percorso psicoterapeutico, l'autrice sembra negare qualsiasi fonte altra di "salvezza", dato che tutto sarebbe un sostituto simbolico di quell'amore vero, completo e senza condizioni che non si è mai conosciuto nell'infanzia.

13 commenti:

  1. Beh.. Nel leggere questi passaggi mi sono rivista bambina, quindi FIGLIA. Consapevole che tutta la mia vita, il mio modo di pormi davanti alla società, di relazionarmi e di interagire col prossimo sono stati condizionati dai miei primi anni di vita. E' difficile a tutt'oggi capire per me determinati meccanismi che mi portano ad agire in un determinato modo e ad essere "incapace di amare". So solo che tutto questo dipende da molti fattori correlati che si possono andare a ricercare nella mia prima infanzia.
    Inevitabilmente poi li leggo da MADRE e spero di non commettere determinati errori in futuro, anche se so che un GENITORE in quanto tale sbaglierà sempre qualcosa nell'EDUCARE e nel DARE AMORE a suo figlio.

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  2. Bello questo post, ci tornerò con calma. Per ora, al volo, non credi che le considerazioni che tu fai, sulle quali concordo, possano essere dovute in parte agli anni in cui è stato scritto il libro?

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  3. Interessante, siccome sono cose che diciamo un po' mi competono, mi metto sempre sulla difensiva. Ma c'è una cosa che voglio dire, io che in quella faccenda del falso se ci sono stata co tutte le scarpe, è una cosa che un po' me l'ha data la psicoterapia un po' la vita.
    Quando si leggono libri con una vocazione psicologica, si tiene sempre presente una specie di archetipo di perfezione, rispetto al quale il libro spiega perchè tanti umani non ci arrivano. Si legge di storie edipiche, di teorie dell'attaccamento, di madri tiranne o madri inaccessibili, di falsi se e via di seguito. Si pensa al sufficientemente buono e si pensa che esista davvero una felicità in terra che l'errore genitoriale nega. Ma il problema è che questo archetipo è metafisico non fisico, è paradossale e irrealizzabile, perchè astorico, mentre noi siamo condannati dalla nostra determinazione storica. Freud diceva questa bella cosa: non curo per far essere felici i miei pazienti, ma per aiutar loro a essere infelici. A essere nel tempo.
    Vuol dire modulare certi aspetti di se sfumarli e sfruttarli nella loro ambivalenza. Le persone troppo timide imparano a essere meno timide, e allo stesso tempo scoprono che hanno questo bel pregio del saper ascoltare. Le persone con l'ansia narcisistica della seduzione compulsiva magari impareranno a stare sedute ogni tanto, eppure quel desiderio seduttivo ha costruito un loro modo interessante di essere. Una cultura molto bella per esempio - la strutturazione del carattere ha delle ambivalenze.
    La psicoterapia e la vita ti fanno perdonare il tuo passato. Certi incontri hanno lo stesso effetto - io devo moltissimo a mio marito sinceramente - ma certe storie di vita ti negano certi incontri. E per quelle storie di vita, per cui il mondo non ce la fa a tenerti, beh la psicoterapia è una santa cosa.

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  4. Bellissimo intervento Zauberei, sono perfettamente d'accordo. Difatti mi sono sempre chiesta quale alternativa propongano questi paradigmi. Potremmo dire che abbiano la caratteristica di fermarsi alla fase destruens, così implicitamente affidando la fase costruens ai manualetti da quattro soldi, infarciti di riduttive sfilze di "come fare". Questi paradigmi non possono "redimere", perché siamo incontroveribilmente situati in un crocevia di circostanze che è impossibile riportare in una gamma predefinita di qualità, e perché più che indirizzare si limitano a descrivere un'ipotesi, appunto, metafisica: è davvero possibile la felicità una volta abbattuti gli ostacoli cui il paradigma attribuisce la responsabilità delle nostre mancanze? Evidentemente è più difficile di quanto lascino intendere.
    (Nella fattispecie, come forse saprai Miller non promette una felicità, ma parla della psicoterapia come di una pratica attraverso cui si rende possibile vivere "il lutto" e tutte le implicazioni emotive che conoscere la verità sul proprio passato possono comportare. Così, dice, impareremmo ad accettare i sentimenti che un'infanzia problematica ci ha indotto a rimuovere).

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  5. ero passata di qua questa mattina ma, visto che questo post mi interessava particolarmente, ho voluto ritornarci con calma, ora.
    l' argomento mi tocca profondamente, visto che sono separata e che le paure riguardanti la serenità di mio figlio sono continue.

    non ho mai letto un saggio intero della miller, ma solo qualcosa riguardo al metodo psicoanalitico e alle sue teorie.
    la miller sostiene e dimostra che i figli maltrattati maltratteranno a loro volta. prendete questa cosa con le pinze, ma, dato che io sono separata, questo vuol dire allora che mio figlio si separerà sicuramente? o che riverserà tutte le sue paure verso la sua futura moglie e i suoi figli diventando un uomo insicuro?
    vuol dire allora che non è possibile modulare la cosa, "addolcire" la pillola? vuol dire che lui ormai è "spacciato", che non potrà mai più essere perfetto? e che io non sarò mai sufficientemente buona?
    la psicoterapia è santa cosa, certamente, ma la vita è molto di più, come scrivete anche voi.

    spero comunque che mio figlio nella vita non cerchi di vivere il lutto, ma di essere felice. scusate la frase e l' idea semplicistica.
    comunque leggerò qualcosa della miller in futuro.
    grazie per lo spunto, denise.

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  6. I miei si sono separati quando avevo 4 anni... Certo, ci sono da analizzare tutte le conseguenze che si sono verificate nel mio caso personale... Ma sono insicura e ancora oggi, seppur madre, non riesco a vivere serenamente il rapporto di coppia. Ovviamente non è così in tutti i casi, eh! Ma io sono un esempio palese di come le scelte dei genitori ricadano sui figli. Poi ovviamente ci saranno anche altre cause che si sono andate a sommare a questo fatto...

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  7. Ecco, allora, l'altro difetto: fa un quadro troppo deterministico. Non c'è un rapporto di causalità diretta ma troppe variabili, nel rapporto genitore-figlio/a.

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  8. ho letto il libro della miller, e trovo che fra i suoi pregi fondamentali sia l'affermare che "il re è nudo". penso ad esempio ai tanti blog e forum di mamme, dove spesso, anzi, quasi sempre, e quasi sempre, compare il consolatorio/assolutorio "ma tu sei una mamma meravigliosa!". macché mamme meravigliose... spesso siamo delle madri orribili, e non sono solo gli altri genitori a fare danni...

    però il saggio della miller ha un problema, ed è che se lo legge un genitore deve pensarlo non come un testo dei tanti presenti sugli scaffali che ti aiuta a fare meglio il genitore, ma come un testo "scientifico". come manuale di bambinistica per genitori insicuri è deleterio: senti che hai già commesso una serie di errori irreparabili, che vedi pendere sulla testa dei tuoi figli come spada di damocle. e questo non aiuta un genitore a cambiare certi comportamenti sbagliati.

    mi sarò spiegata?

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  9. POsso dire una cosa?
    E' sempre deleterio leggere roba psicoanalitica. Il fatto è che se lo dico io suona di un'arroganza micidiale ma io come dire ho pagato quarched'uno per scindere, io farò altri cicli di analisi (gli junghiani tre ne fanno) per approdare a un uso non tafazzesco dei testi. E anzi possibilmente per ignorarli.
    Gli psicologi lavorano - quando sono seri - per appropriarsi della vita che la disciplina tende a erodere, intellettualizzandola. Spassionatamente credo che non leggere queste cose sia molto meglio, esse narrativizzano cose che in seduta succedono, ma quando le leggi pensi che invece il lavoro sia tutto in una comprensione intellettuale e di testa degli eventi. Invece le cose finisce sono due: o sei respinto indietro, oppure sei attratto, ma questo collude con un modo di essere anche troppo cerebrale e alla fine pare che te aiuta ma non ti aiuta affatto.
    Vabbè so morto antipatica non lo faccio chiù. Pardon.

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  10. Oipaz, mi viene in mente il titolo di un bestseller che non leggerò mai, credo sia"le madri non sbagliano mai" o qualcosa del genere. Da un eccesso all'altro... In effetti, il libro va preso per quello che è. Io, personalmente, ci ho cavato la consapevolezza tragica che da genitore puoi fare molti danni, ma non sarà certo questo o altri libri a limitare certe dinamiche che, come dice Zauberei, intellettualizzare può essere fuorviante.

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  11. Mi riferivo al tempo di scrittura del libro perché mi pare che la funzione di tanti testi che hanno posto l'attenzione alla relazione genitori figli sia stata determinante per mettere l'accento sui danni che possono derivare da comportamenti inadeguati, ma che appunto dopo un po' di lustri di tutto ciò sia tempo di allentare il peso e la colpa che possono essere l'effetto collaterale negativo di certe letture. Un conto è riflettere su quali genitori si è, e modulare gli atteggiamenti, altro è vivere ogni azione come portatrice di chissà quali conseguenze. Sul discorso psocoterapie io non posso che essere favorevole se non altro perché ne ho abbondantemente e positivamente usufruito. Tuttavia non può e non deve essere strada per tutti. A volte basta un buon gruppo di amici, un buon contesto sociale, a rimediare una serie di danni subiti come figli.(o compiuti come genitori)

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  12. infatti, marilde ... oppure la psicoterapia può essere UN pezzo della strada da percorrere, non la sola.

    e poi concordo con denise, un libro di questo tipo non può essere preso "alla lettera" come un manuale sullo svezzamento, per fare un esempio. cioè, può essere d' aiuto ( e non so nemmeno quanto ) ma on può di certo limitare certe dinamiche semplicemente perchè prima di essere genitori siamo persone e per questo siamo per cause di forza maggiore portati a dover vivere la NOSTRA vita.

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