Appunti di Storia moderna

mercoledì 23 luglio 2008

I luoghi comuni e il budget della pampers

Ai corsi preparto è difficile resistere alla tentazione di paragonare la propria pancia a quelle delle altre. Quella ce l'ha piccola, quell'altra ce l'ha larga, la mia è senz'altro la migliore. Quanti chili hai preso? Io 15. Tu solo 6? Complimenti, che invidia! "E' un maschietto, che delusione, volevamo una femminuccia...". Alla prénatal ci sono gli sconti. Ma che diavolo dobbiamo comprare? ah, il camicino non "si usa più": ora si usa la canotta in lana-cotone. Preferisci quella con le ranocchiette o quella con l'orsacchiotto blu? Se fai la prénatal card hai diritto a privilegi eccezionali. COn 9000 punti + 80 euro aggiuntivi la carrozzina con le paperette è tua.
Le gestanti , in genere, si reputano speciali. Molte si lamentano delle scarse accortezze che la gente usa nei confronti della loro condizione. Tutti devono accorgersi che sono incinte e questo deve costituire l'unico pensiero possibile in loro presenza: alla posta come al supermercato, tutti devono dar loro la precedenza, e guai a fare un commento sulle nuove forme acquisite, poiché anche il più spassionato potrebbe essere interpretato come un maligno tentativo di denigrarle.
Esse godono, ovunque, di una speciale approvazione, dal momento che la società promuove e pubblicizza la maternità. La televisione elargisce continuamente immagini di culetti bianchi e pannolini, di famiglie felici nelle quali, chissà perché, tutti vestono di bianco e tutti sono baciati da un fascio di luce solare che straordinariamente li unisce in un unico grande abbagliante concetto: la famiglia; intesa come mamma+papà+figli+nonni.Impossibile non desiderare questo mondo.
Tutto ciò è causa e conseguenza di certi luogi comuni che circolano presso la civiltà occidentale da tempi immemori. E' sbalorditivo notare come, ad oggi, non si sia fatto che mezzo passo avanti: la gente si esprime negli stessi termini di quando le donne e le mucche sussistevano all'insegna di un'indecifrabile parentela, giustificata,a quanto pare, dal comune possesso dell'apparato "mammario".
"La donna è fatta per essere moglie e madre": ammesso che sia possibile pensare all'uomo e alla donna in termini teleologici, è proprio da matti chiedersi ancora quale sia il proprio ruolo nel mondo, il senso del proprio esistere, tentare di decifrare le ombre della propria identità? E' evidentemente fuori luogo, per i sostenitori di quest'aforisma, porsi certe domande intorno al punto interrogativo che pure si è. (La società non ammette punti interrogativi).
"La massima realizzazione per la donna è data dalla maternità": e io che credevo che quella della realizzazione fosse una questione soggettiva. Ma, a quanto sembra, sarebbe possibile definire cosa renda davvero felice la collettività delle donne. Se esse non lo sanno, ci pensiamo noi a dire loro cosa possa renderle davvero felici. Esse sono tutte uguali, di conseguenza ciò è possibilissimo.
"Ha 35 anni e non si è ancora sposata:e chi se la prende ormai...è una zitella": non una persona con un vissuto, delle esigenze, una vita emotiva, dei progetti, un'identità da costruire, delle tensioni e delle ombre irrisolte, una storia, no, è una zitella. Per definire una donna i passaggi sono essenzialmente due, dal punto di vista logico: l'individuo particolare viene ricondotto all'insieme "donna", quest'ultimo insieme rappresenta un sottoinsieme del superiore insieme "donna-uomo". Vale a dire che una persona, per il fatto di essere donna, deve essere definita in rapporto all'uomo. Essa è zitella o fidanzata, non è, che so io, Tiziana.
"Quale donna può non desiderare un figlio?": quest'aforisma conferma la possibilità di stabilire a tavolino anche ciò che di più intimo possa esistere, i propri desideri, quando ciò riguarda le donne intese come collettività informe e impersonale.
"Quella pensa alla carriera...": laddove i propri desideri si concentrino su altro dalla maternità, è evidente che essi dovranno: o risultare funzionali alla maternità stessa - magari futura-, o essere biasimati come abietta espressione di egoismo. E' chiaro che i portavoci dell'aforisma in questione, sono tutti altruisti, e, di nuovo, hanno una lungimiranza psicologica tale, da poter decidere quali siano i desideri da desiderare e quali no.
"Non ha figli, per questo si comporta così": rieccoci al metodo standard di classificazione di una persona sulla base del suo sesso, e del suo sesso sulla base della posizione che ha in rapporto all'uomo, nonché alla maternità. Facciamo un esempio. Tiziana è per carattere molto pignola, le piace l'ordine e la precisione, talvolta è un pò troppo puntigliosa. Le colleghe e i colleghi di lavoro stabiliranno immediatamente un nesso fra questo e il fatto che Tiziana non ha figli.Quanto è motivato questo passaggio?
Una donna che non includa nel proprio progetto di vita l'opzione maternità è un'"egoista". (Ma perché chi fa un figlio dovrebbe essere considerato altruista? Altruista nei confronti di chi, del bambino?). Stare con un uomo senza volere dei figli è impossibile...è da aridi.
E via tacendo.
Chi si esprime in questi termini ammette implicitamente che la donna non sia una persona ma una mucca, o un forno. (Il che si osserva con più forza di fronte alla questione dell'aborto). Pensare che si possano avere dei sentimenti, una profonda vita emotiva, degli obiettivi, senza desiderare al contempo la maternità, pare alle orecchie di costoro impossibile di quell'impossibilità sancita dal principio di non contraddizione. L'approvazione sociale si muove lungo i binari angusti del conformismo, del già dato, del - direbbe Heidegger - "per lo più", del "si fa, si dice, si è". La forma impersonale rende giustizia sul piano grammaticale all'impersonalità di fatto che la società esige da tutti i suoi componenti.

6 commenti:

  1. Sono d'accordo con te. Essere visti in funzione della maternità. E la faccenda delle mucche, è ciò che purtroppo penso ogni volta che vedo una donna gravida. Non so per quale motivo (e neanche mi va, sinceramente, di stare tanto a rifletterci), ma è così, non riesco ad andare oltre (ma oltre cosa? mi si invita a fare ciò) la mucca, è un'immagine ricorrente che non mi abbandona, mi scusino le donne gravide, ma è pervasiva e assillante, in effetti, e alle volte sono costretta ad allontanarmi, per il profondo disagio che provo quando sono presenti.
    Alessandra

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  2. Proviamo a riflettere? Ecco, è da un po' che sento un rifiuto totale per la maternità, appunto. Guardo, e mi viene da vomitare (nel vero e proprio senso della parola). Soprattutto quando penso al dopo, a quei momenti in cui sarà la donna, e solo lei, a dover gestire la situazione (seguendo le direttive di questa società di merda e separando i ruoli e assegnando parti e controparti, maschere e scenari, mettendo su un imponente impianto scenico). L'ipocrisia della società è infinita, dopo aver fatto, sarai anche incatenata a quel fatto, inutile stare tanto a girarci intorno. In definitiva, io non mi sento femmina, né madre, ecco perché reagisco in quel modo alla loro vista (vogliono incatenarmi? desiderano controllarmi/e attraverso il feto? e io vomito).
    Alessandra

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  3. Ma non metti in discussione il tuo disgusto. Fossi in te, problematizzarei un tantino. Il moto repulsivo che provi alla vista di una gravida, è della stessa pasta dell'esaltazione di tutti gli altri che la circondano. In virtù di questo meccanismo psicologico e sociale la donna gravida non esiste più: la persona è sostituita dalla pancia, dal momento che la società non la considera in quanto persona individuata ma in quanto "portatrice di feto".
    Allora, forse, la "soluzione" non sta nel rifiutarla ciecamente, la maternità, ma, piuttosto, nel tentare di viverla in modo nuovo: il più possibile lontano dallo stereotipo cui siamo state/i educate/i.
    La donna gravida è per eccellenza l'incarnazione del binomio stereotipico "donna=natura". E' più evidente che nelle altre, la sua funzione biologica riproduttiva. Così essa viene ancor più inchiodata alla famosa etichetta. Ma la tua repulsione non si distingue.

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  4. Esattamente. E' proprio questo: io sono il frutto di tale cultura, ma è talmente difficile, nel momento in cui la vivo, quel genere di situazione, da non riuscire ad immaginare altro. Però vorrei anche aggiungere: alla base secondo me c'è una forte spinta antivitale, una sorta di esaltazione al contrario. Del tipo ti dico di procreare, di mettere al mondo tanti figli e poi ti spedisco una bomba atomica sul terzo mondo per ammazzare almeno metà della popolazione residente che, si sa, è costituita da milioni di bambini. Spendo in armamenti, togliendo i fondi alla cultura e all'istruzione, ti propino un modello scheletrico di donna, priva di ogni forma, e curva, spacciandola come l'unico modo per trovare marito, con un tacito invito a fare sesso, quindi a procreare, e tuttavia proprio per mancanze a livello fisiologico (anoressia=amenorrea) non ti permetto di farlo.
    In messaggio è ben preciso: fai sesso, distribuisci i tuoi geni (se mi va di fartelo fare, anzi forse è meglio evitare).
    Alessandra

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  5. E' l'annoso contrasto tra l'impulso di conservazione e l'impulso di distruzione ... della stessa cosa: la vita. Lo disse anche Freud, proprio in riferimento a ciò che la civiltà nasconde sotto i suoi seducenti coperchi - nei termini, fra l'altro, di una "tendenza dell'organico a tornare all'inorganico"...

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  6. Io l'ho sempre pensata come voi. Mi hanno sempre fatto pena le donne inconsapevoli di fare il proprio DOVERE, convinte di fare ciò che desideravano e incastrate invece nello stereotipo mucca.
    L'ipotesi di fare un figlio mi riempiva di orrore.Poi un giorno mi sono resa conto di quanto gli stereotipi in realtà condizionassero anche me, ma al contrario. E allora ho smesso di ragionare in maniera binaria ed adesso desidero un figlio e non mi privo più di questo desiderio soltanto perchè qualcuno potrebbe non vedermi se non come un forno. non scelgo più tra un tesi e un antitesi: faccio quello che mi pare, priva di condizionamenti, soprattutto di quelli imposti da me. :-)

    ciao

    Lorena

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