Appunti di Storia moderna

domenica 7 febbraio 2016

Geopolitiche del gusto

Al di là dello snob e del poveretto
Ogni volta che qualcuno ostenta la musica che ascolta, le sue letture, i posti che frequenta, i suoi consumi culturali in quanto indiretta emanazione dal suo status, il mio pensiero va alla buonanima di Pierre Bourdieu: mentre ci si crede i più very autentici, i più fighi di tutti, quelli con i gusti giusti, resta che ciascuno tende a esibire dei consumi culturali come distintivo di classe (leggi: habitus). 

Se ci stai attenta ti vedi proprio davanti la crème de la crème empirico-fattuale dei risultati di mezza sociologia di fine Novecento. 
C'è quello che eh no solo musica di un certo tipo, quell'altra che oh eh solo posti di un certo tipo, quell'altro ancora che dice raga quello che conta sono i sentimenti torniamo all'autentico (ndo sta l'autentico?), quell'altro ancora che ti dice, la vita vera è in mezzo alla natura non nei libri, e ancora un altro che dice, no guarda io il rock quello figo anni Settanta, quello che critica Tiziano Ferro e Gigi D'Alessio e Sanremo (per forza), quell'altro ancora che invece Sanremo lo segue e lo commenta pure eccetera. In questo contesto chi finisce per distinguersi davvero è chi si prende gioco di tutto il meccanismo, pur facendone parte - cfr. Zalone.
Un tizio che voleva accreditarsi ai miei occhi come "colto", l'altro giorno mi ha detto che Baricco fa schifo e che ama Pasolini. "Giura!", gli faccio, incredula di fronte a gusti tanto originali. 
Il "mito Pasolini", quale migliore banco di prova per la buonanima di Bourdieu?
L'esercito dei pasoliniani: mettetegli davanti uno che distrugge Pasolini e vedete cosa succede.
Non parliamo poi dei walterveltronismi di una sinistra che si autopiace nell'agiografia dell'anniversario.
Ci sono quelli che criticano i cinepanettoni e quelli che li guardano.
E' stato già detto, per caso, che riabilitare Zalone è più snob che derubricarlo a cinepanettone? (Sì).
E di "io non ho la televisione", vogliamo parlarne? (Io non ho la televisione).
Poi a un certo punto sono arrivati gli Stato Sociale, sai quella canzonetta che manda tutti affanculo - fa fico, sempre trendy l'affanculo - ma poi alla fine anche quelli hanno finito per palesarsi in tutto il loro paternalismo parasinistroide. 
Una tizia sentiva il bisogno di sottolineare che lei non legge Fabio Volo. Orwell, Bukowski e Oscar Wilde invece sì.
[...]
C'è un tipo che conosco - non azzarderei la parola "amico" - che va alle mostre, a tutte le mostre. Ivi si somministra copiosi selfie. Però non dei selfie con le labbra a culo di gallina, no, nziamài! dei selfie tipo dove lui è in un angolo e fissa l'orizzonte con uno sguardo intriso di profondità intellettuali di sinistra.
E rieccoci sempre là: nella trappola dell'avere l'aria di quel che si è.
Un esempio eloquente: gli hipster.
Del resto, cosa c'è di più snob della parola "hipster"? 
Non c'è scampo.
C'è un sacco di paternalismo in tutte queste esibizioni del gusto culturale, e quanti luoghi comuni nella pretesa tutta umana della distinzione. Perché non è solo paternalismo, è soprattutto un meccanismo di identificazione sociale che va a innestarsi sul terreno della, come dire, geografia politica delle classi.
Questo capodanno. 
Mentre voi festeggiavate l'avvento del nuovo anno nelle vostre rispettive modalità io mi facevo esplodere Bourdieu nelle mani. Mi spiego. In città c'erano le solite quattro cose deprimenti distribuite male. Decidiamo di andare un po' in giro senza meta - io, se possibile, a una certa ciao è stato bello tante buone cose a te e a tutta la famiglia. Ma ecco che sulla stessa via a distanza di poche spanne ci sono. 1) Un reading in una libreria; 2) discoteca house all'aperto con una tizia che boccheggia al microfono e genti di varia taglia ancheggianti sui cubi. In realtà con gli amici si era convenuto: reading. Ci metto piede e mi sale dalle viscere della terra uno sbadiglio così grande che per poco non mi facevo mezzo 2016 sull'asfalto. Allora oso un - raga, per favore, per carità diddio andiamo dai truzzi*. Qui ho i coglioni a terra.
Completamente libera, finalmente, da ogni sorta di idea normativa di divertimento, penso a quello che voglio io per me ed effettivamente mi sento frizzante e libera inside in un modo che quelli della libreria, brave genti e volenterose per carità, mannaggia a me non mi restituivano. Mi serviva una situazione in cui poter essere cretina, perché in quel momento l'appesantimento mi aveva provocato tipo una reazione, una friccicosità reattiva, perciò ecco che ci imbuchiamo fra genti che danzano musiche anni Ottanta in stile Giuni Russo (respect) e Festivalbar prima del fallimento con Mediaset, quando Amadeus aveva ancora i capelli lunghi. 
Abbiamo tenuto nascosto tutto agli amici intellettuali. 
Dire che mi sono skassata sarebbe esagerato, ma ad ogni modo, la friccicosità è stata esaudita ma questo non conta. Per favore mettetelo nella prefazione del mio prossimo libro, Al di là dello snob e del poveretto. Andiamo oltre. Basta alto e basso, snob e poveretto. Semo tutti stronzi come ve lo devo dire. Tutta 'sta pretesa di essere meglio degli altri esibita a mezzo consumi ci rende tutti solo più ridicoli. Oltre che fastidiosamente, pomposissimamente, trombonescamente paternalisti.
(E se questo fosse altrettanto snob che riabilitare Zalone? Non riesco a spiegare bene questo passaggio).
Dicevo appunto Zalone. Non mi frega in sé e per sé di commentarlo, mi interessa il suo bourdieuismo inconsapevole applicato. Rivelatore in tal senso è stato per me il video della presentazione con De Gregori. Ci ho visto l'intelligenza che sfotte i codici status-correlati passatemi il termine - al punto che puoi permetterti di fare il verso a un cantautore che ascolterebbero quelli del reading a capodanno per intenderci, ma io faccio la tua canzone in chiave Gigi D'Alessio, e lo faccio davanti a te e ti faccio pure ridere di te stesso. Ti accompagno per mano, cioè, a prenderti per il culo da solo. Prendi tutte le manfrine paraculturali che abbiamo costruito intorno ai poli destra e sinistra, tamarro e distinto, shakeralo con una sprizzatina di Pierre Bourdieu e di retorica dell'italiano medio, spaghetti e mandolino, ed eccoti Checco Zalone.
Ciò detto, nel paese che manda al cinema solo certi "registi col posto fisso" (Mancuso) e la concorrenza si limita a gente come Ferzan Ozpetek, appena fai una cosa mezzo più inedita sbanchi per forza.


*parola figlia della geopolitica del gusto per cui snob VS tamarro.

8 commenti:

  1. Poi, talvolta capita di preferire la scelta "snob", perché tutte le altre vengono talmente promosse e diffuse che finiscono per annoiare. Perché dovrei cercare delle canzoni di, chessò, Laura Pausini, se me la trovo nelle orecchie ogni volta che vado al supermercato?
    Ma certo, non bisogna dimenticare che il rock figo degli anni settanta, negli anni settanta era mainstream quanto molte cose che si snobbano ora solo perché sono mainstream. Soltanto che in quel periodo, era molto più remunerativo promuovere quel rock che non altri generi. Dico questo, senza prendere in considerazione la qualità musicale in sé. Personalmente, sono un po' in crisi d'ascolti musicali: non riesco più a trovare qualcosa che mi sorprenda e che non mi stufi dopo poco tempo.
    Checco Zalone non l'ho mai visto, perché boh... ad istinto non mi sembrava interessante.
    Poi, alla fine ognuno penso che voglia farsi piacere quello che vuole senza che qualcun altro lo giudichi, od usi quel pretesto come "piattarforma di auto propaganda".
    Ad esempio, io mi sto facendo auto propaganda cercando di mostrarmi saggio: uno che tiene conto delle varie sfumature... Boh, chissà come si può discernere facilmente fra il comunicare "spontaneo" e disinteressato, il promuovere ad altri cose inusuali e fuori dal "mainstream" perché le si trova interessanti e si vuol condividerlo, ed invece il farlo perché ci si vuol pavoneggiare della propria ricercatezza.
    Il tuo post mi colpisce, perché sono io stesso fra quelli che non sanno ancora bene se quando parlano agli amici di cose interessanti fuori dall'ordinario, lo fanno solo per condividere qualcosa di interessante o anche per farsi un'immagine da "tizio alternativo".

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    1. Capita anche a me di parlare di cose e poi chiedermi il perché abbia detto proprio quelle cose a determinate persone. Alla fine chi se ne frega, che capita sia di essere snob che di essere un troglodita numero uno.

      Di solito per capodanno io mi ubriaco fino all'oblio nella piazza della città e Zalone non l'ho visto perché non mi andava di spendere dei soldi per Zalone, sono un super snob (e tirchio).

      UnCaneProfumato

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    2. Stefano, infatti questo è un bel problema. Io quando penso di essere autentica, poi scopro che in fondo sono il prodotto della mia classe sociale. Magari non in senso deterministico, ma in termini proprio di limiti e di selezione sul nascere di quello che ti può piacere; potremmo dire, parafrasando Wittgenstein o Humboldt, che i limiti della mia classe sono i limiti del mio mondo! :p Grazie per le tue osservazioni, very opportune.

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    3. Forse non si può non essere autentici. Dopotutto, nel momento in cui si compie un'azione, lo si è fatto perché tutto il sistema complesso che siamo ha fatto emergere quell'azione come risposta a ciò che ci ha stimolato e cambiato. Nel momento in cui agisco da snob, lo faccio perché tutto ciò che sono si è disposto a fornire una risposta da snob. Allora il problema può diventare: quanta della mia snobbaggine è "interna" e quanta è frutto di influenza esterna. E qua partirebbero i soliti discorsi sull'esternalismo filosofico. Il mio punto di vista è che non c'è uno spiritello magico chiamato "IO" dentro di me, in grado di permettermi di isolare il me medesimo autentico dall'influenza dell'esterno. Io sono il modo in cui la mia biologia ha imparato ad interagire e "ruminare" ciò che gli arriva dai sensi, consapevole dell'enorme, forse esagerata, considerazione che attribuiamo a tutto quel ruminare, tanto da personificarlo nello spiritello "IO". :)

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    4. Mi permetto di postare un commento, questa volta serio. Premetto che sono piuttosto ignorante e conosco la metà delle persone che citate, quindi abbiate pazienza se scrivo cose per voi ovvie. Io penso che in me esistano un sacco di me e che io sia un sacco di cose e che in me ci sia un processo di cambiamento, in continuazione, altrimenti sarei morto. Quando mi chiedo chi io sia, se sono autentico o meno, trovo difficoltà a darmi risposta. Certo, mi dico, io sono UnCaneProfumato, mi piacciono delle cose e altre meno, alcune cose mi fanno arrabbiare, altre no, faccio questo e quello e così via, ma ciò di cui mi sono accorto, e non voglio generalizzare, quanto scrivo vale per me, è che ho passato del tempo della mia esistenza a cercare di mettere ordine quando in realtà non c'è niente da mettere in ordine che il caos ci circonda e io non sono in controllo di niente e meno male che è così, che se in questa esistenza non esistessero “forze” che si scontrano, che si uniscono, etc, sai che palle, tutti uguali a darsi le pacche sulla schiena. Il fatto è che mi sono accorto di avere avuto paura e di avere messo dei paletti, di avere cercato dei significati quando non c'erano significati da cercare ma solo atti da compiere. Qual'è il motivo di questo pippone? Non lo so, ma tutto questo per dire che forse il momento in cui siamo autentici è nell'atto e il resto è solo il racconto che diamo di noi stessi, cosa che quando ci penso mi rattrista assai. Alla fine c'è da imparare a dire “noi siamo” e secondo me è piuttosto vero ciò che dice Stirner, che dobbiamo distruggere per poter essere noi a possedere e non essere posseduti, questo per poter essere, appunto, autentici e per viversi, chiunque noi siamo.
      Chiudo con una citazione, che mi fa sentire intelligente: “non seguo una rotta ma solo una scia ma mi volterò il giorno della mia agonia”.


      UnCaneProfumato

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    5. CaneProfumato, sai che anche il nostro Tichy è fissato con Stirner? Mi sembra abbastanza sensato che "il momento in cui siamo autentici è nell'atto e il resto è solo il racconto che diamo di noi stessi", non fa una piega. C'è un pensiero un po' metafisco dietro l'idea che da qualche parte ci sia un io autentico da scovare al di là delle narrazioni che ne facciamo. Ma non mi dispiace neanche come pregiudizio. Perché non crederlo se fa comodo insomma. Mi costringete a postare una cosa vecchissima sui miei non-quelli che io sono, provvederò. PS: con una laurea in filosofia, non avevo mai sentito parlare di "esternalismo filosofico".

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    6. ho un po' l'impressione che gli argomenti di filosofia della mente vengano trattati più da chi si occupa di scienze cognitive e intelligenza artificiale che negli studi "classici" di filosofia. :) mi trovo abbastanza d'accordo con quello che scrive il cane profumato, e non solo per Stirner. quello che scrive mi ricorda alcune cose scritte da Douglas Hofstadter, di cui gli consiglirei Gödel Escher Bach e Anelli nell'io :)

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    7. Dipende. Ultimamente la filosofia della mente va molto di moda anche fra filosofi, soprattutto in alcune università. Io ci feci solo un corso, non esaustivo.

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