Appunti di Storia moderna

sabato 15 novembre 2014

Affinità elettive

Non posso perdonare a Carl Einstein certe parole pesanti, sprezzanti, e probabilmente vere, su Goethe. Sì, insomma, quelle sulla sua "chimica creativa", sulle libertà che si prendeva di usare i meccanismi di interazione delle particelle per farne delle metafore un po' ruffiane sulla vita. (Penso che ne pubblicherò un estratto: è un testo fenomenale). Carl Einstein lo rimproverava di compiacenza, e sono sicura che avesse ragione. E' infatti molto appagante per gli umani poter pensare che esista davvero qualcosa che somigli al concetto di affinità elettive. Sono quelle cose che quando torni a casa la sera ti danno il senso della giornata, l'universo ti sembra meno angusto e gli umani hanno l'aria di esserti accessibili e tu a loro. Perciò, fosse pure un concetto costruito ad arte, una ruffianeria letteraria, la solita narrazione gratificante per il pubblico: che importa. Le mie illusioni me le tengo strette, me le sono sudate, e le affinità elettive sono tra queste. Ne ho sperimentate e continuo a sperimentarle - l'illusione sta nel non cedere alla tentazione del troppo facile disincanto, a quella voce corrosiva che dice: è tutto vano! Ognuno segue le sue proprie logiche! Ognuno segue le sue opportunità - gli altri, una convenienza. Le affinità elettive sono quell'esperienza relazionale che rende impossibile, sul nascere, qualsiasi pensiero di questo tipo. 
Ognuno di noi ha un modo tipico di vedere le cose, ha una narrazione preferita, un certo taglio nel raccontarsela che si ripete. Il mio modo è anche questo. Penso che siamo profondamente soli, talvolta mi piace prendere liberamente a prestito la metafora di Kuhn, dell'incommensurabilità dei paradigmi, per descrivere la comunicazione tra umani: ciascuno ha tutto un suo lessico familiare, un suo alfabeto emotivo, visioni ed esperienze accumulati a strati, che fanno un sistema relativamente aperto e poi, relazionandosi, devono fare i conti con altri lessici, altri bagagli semantici, altre visioni ed esperienze, e la parvenza di uno scambio ricade su se stessa, frustrata. Talora lo scarto è grande, tra me e te c'è un dislivello cognitivo (in realtà anche emotivo) che non ci capiamo, come monadi procediamo su due rette parallele che non s'incontrano neanche se lo vogliono, e la relazione si esaurisce da sé senza stare troppo a raccontarselo. Come nel caso di una battuta che fa ridere nel contesto di una cultura, ma nel contesto di un'altra non viene colta, perché comprenderla presuppone una serie di codici condivisi invisibili che sempre lavorano sottotraccia quando ci si capisce, ma della cui esistenza si viene improvvisamente a conoscenza solo quando vengono meno. 
Ma, banalmente, accanto al moto centrifugo che spinge ciascuno a richiudersi le porte dietro, sbarrando il passo al mondo, dei contro-movimenti agiscono in senso contrario - si tratta, fra le altre cose, delle affinità elettive. E' quando scopri quella semantica comune, uno stesso alfabeto esistenziale, un certo taglio intangibile comune nel parare i colpi del mondo e nel costruire realtà, che invincibilmente si rivela e tu non puoi che prenderne gioiosamente atto. Le affinità elettive obbediscono a una legalità propria, seguono il loro moto, la loro razionalità. Nel romanzo di Goethe, è evidente che esse si prendono le loro libertà irresistibili, beffandosi, per una sorta di forza coerente interna, delle convenzioni sociali e dei lacci che obbligano la vita a tradire le sue logiche. Nel libro di Goethe si parla di amore, ma le affinità elettive sono anche il volto più bello delle vere amicizie (faccio parte di quello sparuto gruppo nell'universo che ancora crede nell'amicizia). 
Il concetto evoca una scelta irresistibile, secondo un ossimoro potente ci dice che vi è una scelta - un'elezione appunto - ma al contempo il dato di un'affinità. Non si può opporle resistenza, l'affinità elettiva accade. Al più, la si può coltivare: sarebbe un delitto non farlo. Ci si riconosce subito: un po' come quella fratellanza segreta, immediatamente nota ai protagonisti anche quando non si conoscano, tra persone che tengono un libro in mano, secondo il racconto di Kundera. Ma non sono gli stessi libri che abbiamo letto, gli stessi posti che abbiamo frequentato, o i ruoli che abbiamo avuto: c'è lo stesso codice intimo a monte. Non bisogna essere uguali, anzi spesso si è molto diversi: ma c'è un immateriale retroterra comune, forte e potente, che agisce sottotraccia. Trovo il fatto entusiasmante nella misura in cui sono cosciente che non è per nulla scontato entrare in connessione, come insegna la metafora di Kuhn che arbitrariamente applico alle relazioni umane. Entrare in connessione - seguire lo stesso filo, capito? - è l'eccezione, preziosa. Le persone con cui ho un'affinità elettiva sono punti luminosi, sempre accesi anche quando assenti, di cui ho regolarmente bisogno per sperimentare sempre di nuovo quella rara, ritemprante esperienza di capirsi al volo con un'altra persona.
Almeno al pari dei sentimenti, le affinità elettive levano al panorama umano che ci circonda quell'aria informe che talvolta ostenta, per dare un senso ai volti, per individuarsi a vicenda, per muoversi nella selva delle relazioni assegnando loro, con cura, il loro peso specifico. Le affinità elettive rendono questo cicaleccio continuo che sono gli altri, improvvisamente sopportabile - nella misura in cui rendono attuale la possibilità, viva e fulgida, che esso venga interrotto...
Allora, se il moto centrifugo e quello centripeto in qualche modo si compensano, è un po' come eros e thanatos: solo l'amore, inteso come l'impulso a unire, può opporre resistenza alla morte e contrastare la tendenza disgregante delle cose - è l'eterna "lotta dei giganti", per dirla con Freud. In breve, le affinità elettive sono il mio miglior contro-argomento alla tesi del disincanto. Si badi, le affinità elettive non salvano, non ci tolgono alle contraddizioni, non garantiscono il lieto fine - semplicemente, sono il moto inverso e coraggioso a quella tendenza disgregante che si fa fatica, da soli, a contrastare. 

2 commenti:

  1. "La comunicazione è un caso particolare di malinteso", Antoine Culioli. Sembra un paradosso ma non lo è. Buona serata :)

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  2. e se le affinità elettive fossero semplicemente nutrite di desiderio?

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