Appunti di Storia moderna

giovedì 13 febbraio 2014

Farsi la vita degli altri, ovvero il paternalismo

Appunti sparsi, senza la pretesa di dare una definizione esaustiva/giusta di.

1.
E' sempre dietro l'angolo. Chiunque può cadere nella tentazione paternalista. Il termine parla da sé: paternalista è il padre che parla, il padre inteso come morale, come visione normativa di una vita buona. Come super-io, regola, dover-essere, monito, rimprovero, legge e insomma tutta la sfera di quel che è insopportabile nella vita.

Il paternalismo è una faccenda che si colloca come a metà tra privato e pubblico: esattamente come il padre nel suo ruolo simbolico, che è famiglia, privato, da un lato; e prosecuzione del dover-essere culturale, pubblico, dall'altro. Ma una cosa è certa: il paternalismo presuppone che ci si faccia la vita di qualcun altro, ficca il naso "nel privato" degli altri. Presuppone una sorta di arroganza morale basata sulla convinzione di avere il punto di vista migliore sulla vita buona, e presuppone che questo debba interessare il soggetto paternalizzato.

2.
Ora, la domanda che mi pongo è questa: è possibile che ci sia un paternalista in ognuno di noi, per esempio ogni qual volta formuliamo i più vari giudizi sulla vita del prossimo?

L'anarchico giudica il borghese integrato, contrapponendogli anche solo negativamente una visione della vita buona. L'impegnato giudica l'indifferente. Il tradizionalista giudica il promiscuo, il promiscuo giudica il tradizionalista. Forse c'è del paternalismo in ogni giudizio relativo al modus vivendi del prossimo.
Ma secondo me il punto è un altro.
Non basta avere una visione della vita buona, come si suol dire, una certa morale eccetera, per essere paternalisti. Il paternalista si distingue per un semplice motivo: per la pretesa che ha di avere la visione giusta per te e per il fatto che presume che questo debba interessarti. Il paternalista cioè agisce, vuole produrre effetti su di te: vuole farti cambiare idea sulla tua vita attivamente, tendenzialmente vuole convincerti. Ha in sé un principio tirannico: ti estromette dalla competenza morale nelle decisioni che riguardano te. Cioè non ti riconosce come soggetto morale. Quindi, per avere paternalismo, oltre al giudizio serve l'azione, che potremmo definire come una strana forma di propaganda morale.

3.
La giustificazione ufficiale di ogni paternalismo è: "lo dico per il tuo bene".

Il paternalismo presuppone implicitamente una gerarchia e quindi l'esercizio di un'autorità: io ne so più di te su di te, tu non sei in grado. Cosa c'è dietro questo "ne so più di te"? In base a cosa cioè sarebbe legittimata la gerarchia, implicita in ogni forma di paternalismo?
Direi che i casi di paternalismo più frequenti sono caratterizzati da un insieme di credenze che ritengono delle gerarchie fondate. Per esempio, la fallacia generazionale. C'è la convinzione che un 60enne sia moralmente più competente di un 20enne: l'età è, per questa credenza, di per sé garanzia di bontà morale. In base a tale credenza, che può essere vera solo giudicando caso per caso (è pieno di 60enni moralmente e intellettualmente inetti, ecc.), una persona più grande di te può invocare la sua esperienza per autoattribuirsi la missione di illuminare la tua vita. Esemplare in tal senso è l'espressione frequentissima "voiggiovani". Esattamente come il padre: sono più grande di te, ne so più di te. Ma il padre, in teoria, sarebbe legittimato dal suo ruolo affettivo/pedagogico*. Ma se già è il padre a paternalizzare la questione non è pacifica; figurarsi se a paternalizzare è chi non è legittimato almeno affettivamente.

4.
Ma c'è anche il paternalismo ideologico, che nella sua forma attuale abbiamo in varie forme discusso più volte - es. "tornate a lavorare i campi" oppure "i trentenni di oggi sono bamboccioni" ecc.: questi e altri paternalismi apparentemente innocenti sottendono un giudizio di valore funzionale a una precisa visione politica: non metto in campo misure politico-economiche, mi deresponsabilizzo in termini istituzionali, però ti faccio la paternale così se sei disoccupato è colpa tua e quindi io posso continuare a non fare il mio lavoro di ministro, o altro genere di poltronizzazione. Insomma, in questo caso abbiamo un paternalismo autoassolutorio a sfondo ideologico. (Qui un esempio recente, qui una frizzante rassegna).

5.
C'è anche un paternalismo gratuito, privo di ogni pretesa di legittimazione che non consista nel puro e semplice: "la penso così, secondo me è giusto che tu faccia x o y o che prenda la decisione z o adotti lo stile di vita p, e se è buono per me deve esserlo anche per te. Punto". "E' per il tuo bene" non può mancare mai. In questo caso ogni sforzo argomentativo va, come dire, a farsi benedire, e non ci resta che un profondo imbarazzo antropologico.

In ogni caso abbiamo diverse morali ognuna delle quali, quando paternalizza, pretende di valere per qualcun altro, il quale va per così dire convertito attivamente. Ci si tura le orecchie, si rifiuta di considerare le circostanze che inducono le persone a fare delle scelte, i loro desideri e tutti i presupposti e ci si improvvisa pedagogisti. Ma soprattutto, e qui sta la gerarchia implicita, viene misconosciuta ogni competenza morale al prossimo, il quale, per il paternalista, non è in grado di scegliere consapevolmente solo perché non la pensa come lui. Da non trascurare poi è il tono di rimprovero, la missione di correzione.

6.
Diverso è il caso del consiglio da parte di un amico, o del punto di vista relativo alle tue decisioni da parte di persone che ne verrebbero in qualche modo toccate. Ma anche in quel caso la questione non è pacifica: quando ci si fa la vita degli altri, la cautela non è mai troppa. Prima di parlare della tua vita in vece tua dovrei fare, come dice un detto, almeno cento metri con le tue scarpe. Ma dipende dalle circostanze relazionali e dai differenti gradi di autorizzazione a esprimersi in merito implicite in ogni relazione. Forse quel che distingue il paternalismo da un semplice benevolo consiglio è il tono?
7.
Noto un'assonanza semantica con la parola "moralista". Spesso per moralista si intende proprio paternalista, secondo me: si definisce moralista, in genere, mi sembra, qualcuno che vuole dirti come devi vivere perché giudica cattive le tue scelte e quindi, implicitamente, autorizza se stesso a saperne di più su qualcosa da cui è intrinsecamente estromesso: cioè una vita i cui contorni esistenziali, relazionali, materiali, morali, psicologici eccetera non conosce.
Ma perché, se anche li conoscesse sarebbe autorizzato? Non credo affatto.
[A proposito, detto en passant, c'è un bellissimo aforisma di Bertrand Russell sul tema, che ho scoperto grazie a Elisabetta G.: "I moralisti sono persone che rinunciano ad ogni piacere eccetto quello di immischiarsi nei piaceri altrui"].

Ma c'è una differenza tra il moralista e il paternalista: a una prima occhiata, direi che il moralista non ha la pretesa di dire quello che dice "per il tuo bene", ma solo perché è convinto che la sua morale sia migliore e la tua riprovevole.

8.
Ultimamente ho incontrato sul web un termine: "maternalismo". Sembra che si utilizzi questo termine per riferirsi a donne che vogliono indicare ad altre donne qual è la "vera essenza" della loro "donnità" oppure, in generale, come dovrebbero comportarsi "in quanto donne". Non ho trovato molto sul termine, ma temo che avrà vita nuova e fulgida, come forma paradossalmente reazionaria di femminismo.

9.
La parola paternalismo ha evidentemente una lunga storia: è il padre, e non la madre, il depositario della legge e della morale, colui che è moralmente competente e quindi autorizzato a legiferare per il figlio. La storia a cui rinvia questo termine è cioè tutta una storia intrisa di sessismo, il solito sessismo per cui donna=irrazionalità, natura, emotività, ecc., e uomo=ragione, morale, civiltà, ecc., con tutto il riflesso asimmetrico nella gestione familiare: il pater familias ordina e punisce, la mamma chioccia consola. Siamo a un'idea di famiglia e di educazione che non mi sento di dire che sia di fatto superata, anche se lo vorrei tantissimo. 

10.
Rifiutare il paternalismo, ovviamente, non significa non avere una morale o non credere che certe scelte siano migliori di altre. Quel che mi interessava dire è semplicemente che farsi la vita degli altri è sempre problematico. 

Non sono del tutto soddisfatta di queste spiegazioni, ci tornerò in futuro, intanto mettiamola così.

* Ma, come dicevo, anche in questo caso la questione non è pacifica. Il padre che fa la paternale è insopportabile, ma prima di tutto può non avere colto le istanze del figlio, la sua specificità, le sue esigenze eccetera, e può risolversi nella pura e semplice figura del padre autoritario ottocentesco (...ottocentesco?). Ma mi rifiuto di argomentare su questo punto, che richiederebbe una riflessione a parte, e lascio che parli Cyndi Lauper con la mirabile scena del papà che rimprovera la figlia, la quale si ribella - dopotutto bonariamente: "girls just wanna have fun" - al ruolo femminile generalmente noto come "bravaragazzacasaechiesa" imposto.

4 commenti:

  1. Saluti,
    post di raro approfondimento sulla tematica. Ne ho avuto particolare interesse in quanto cado nel paternalismo con fare petulante :)
    Due spunti per un confronto:

    1) Come approcciarsi da fratello, figlio, fidanzato, amico verso il vissuto dei propri cari che appare autolesionistico, votato al breve a discapito del lungo? Esiste un modo per contrastare atteggiamenti ritenuti negativi (quale ad esempio un edonismo che male fa invecchiare), senza sfociare nell'improduttivo paternalismo?

    2) Il ruolo della tonalità vocale potrebbe essere preminente per demarcare un intervento piacevole, da uno spiacevole, nelle vite degli altri? Altre dimensioni che possono avere un ruolo?

    Mi auguro di trovare un approccio per esercitare un'influenza (credo) positiva, senza diventare insopportabile e produrre contrari effetti.

    Ringrazio per gli ottimi spunti di questo taccuino!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Buongiorno petula, vorrai scusarmi se rispondo in ritardo. Non ho capito di preciso l'oggetto della paternalizzazione, accenni a un 'edonismo che male fa invecchiare', intanto, comincerei col fare uno sforzo, quello di uscire dalla mia persona e da tutte le sue convinzioni [es.: bisogna invecchiare in un certo modo, meglio non esagerare coi piaceri, ecc] per provare per un attimo a guardarle con distanza, in prospettiva, come solo alcune delle possibili posizioni fra le tantissime altre sul piacere e sulla vecchiaia. Questo immediatamente relativizza la tua visione del mondo, la ridimensiona e potenzialmente riconosce titolo di legittimità anche ad altre visioni, ma non basta. Occorre voler entrare nelle visioni del mondo degli altri, e cercare di scovarne la razionalità nascosta: voglio dire, le ragioni. Dal tuo commento sembra che la 'negatività' del comportamento in questione sia un fatto ovvio; ebbene, forse non lo è, quindi comincerei col fare per un attimo questo sforzo neel chierermi: 'e se non fosse come appare a me?' Occorre vedere l'altra persona come qualcuno che ha dei suoi specifici bisogni e delle sue ragioni per comportarsi in un certo modo, anche se sono distanti dalla tua visione della vita buona e dalla tua idea di invecchiare bene. Insomma, prima di tutto agirei sul piano degli 'atteggiamenti ritenuti negativi', per relativizzare la propria posizione e, soprattutto, per riconoscere una - magari a te ignota - forma di razionalità ai comportamenti nei quali non ti riconosci. Quindi entrerei nella vita dell'altro con estrema cautela, prendendo ogni precauzione e delicatezza, e tenendo sempre a mente che tu di quella vita e le sue ragioni ne conosci soltanto una percentuale minima, per motivi per così dire strutturali [sei 'esterno' alla persona in questione]. Quindi al massimo, solo se fossi legittimato affettivamente - e mi pare che tu lo sia - mi porrei nella condizione di porre domande, cercando di sottolineare l'aspetto sentimentale che ti spinge a farle - es. 'ti voglio bene e mi domandavo se questa cosa non potesse nuocerti' -, circa le ragioni e le visioni del mondo dell'altra persona. Magari ci sono delle cose che ignori e da cui tu stesso puoi imparare prima di ritenere negativi dei comportamenti. Chiaramente, il discorso cambia se la persona rischia la salute e cose del genere e insomma se il margine di relativizzazione diminuisce per motivi inequivocabili. Per quanto riguarda il tono della voce, nella mia opinione sì è importante, perché il tono esprime le intenzioni anche quando non vogliamo che queste traspaiano, quindi un tono intrusivo, petulante, paternalistico eccetera non possono che rivelare intenzioni invasive che producono effetti negativi. Insomma, generalmente mi sento di dire che secondo me bisogna sempre tenersi appresso il beneficio del dubbio, bisogna sempre avere il dubbio di essere nel torto; chiaramente, quando di mezzo non c'è un autolesionismo nel senso medico della parola. Non posso darti che la mia personale opinione, spero di averti dato una mano!

      Elimina
  2. Ciao Anacronista,anzitutto complimenti per il tuo articolo che offre spunti interessanti di discussione.Volevo chiederti,ovviamente in base alla tua esperienza pratica e anche in base alle tue letture:come facciamo a difenderci dai paternalisti?
    Noi giovani viviamo in una condizione di precariato e incertezza esistenziale che si riversa in ogni ambito.Pullulano ovunque e da chiunque consigli,persino tra coetanei ciascuno si sente in diritto di poter consigliare il bene dell'altro.In questa vita,quasi un "bellum ominium contra omnes",hai qualche dritta,un consiglio di saggezza pratica per aiutarci e aiutare i paternalisti?
    In fondo lo scettro e la corona della morale e del giusto col tempo inizierà a pesare anche a loro.

    RispondiElimina
  3. Ciao Anacronista,anzitutto complimenti per il tuo articolo che offre spunti interessanti di discussione.Volevo chiederti,ovviamente in base alla tua esperienza pratica e anche in base alle tue letture:come facciamo a difenderci dai paternalisti?
    Noi giovani viviamo in una condizione di precariato e incertezza esistenziale che si riversa in ogni ambito.Pullulano ovunque e da chiunque consigli,persino tra coetanei ciascuno si sente in diritto di poter consigliare il bene dell'altro.In questa vita,quasi un "bellum ominium contra omnes",hai qualche dritta,un consiglio di saggezza pratica per aiutarci e aiutare i paternalisti?
    In fondo lo scettro e la corona della morale e del giusto col tempo inizierà a pesare anche a loro.

    RispondiElimina

Per motivi imperscrutabili, capita spesso che i commenti spariscano nel nulla. Io tolgo solo insulti e spam. Meglio perciò eventualmente salvarli e riprovare.