Appunti di Storia moderna

martedì 14 gennaio 2014

Ciao prof

Aveva un carattere aspro, la gente non gli piaceva. Ma questo era solo un sintomo del suo rapportarsi in modo radicale al mondo - perciò guardavo con indulgenza e anche con una certa tenerezza ai suoi difetti (in primis un forte narcisismo). Quel che più mi piaceva però era che non si dava pace, era sempre tormentato, sempre in una qualche specie di guerra con il contesto - un contesto pieno di gente conciliante, tutta integrata e affettata. Si trattava di una guerra senza sconti e senza requie, combattuta in mezzo ai "sorrisi anemici" di una città che "si passa il tempo". "Il tempo non si passa, il tempo si vive", diceva sempre. Aveva un rapporto diretto ed essenziale con le cose, perciò era un poeta...Sapeva di non essere capito. Proprio alcuni giorni prima della sua morte ripensavo a quel suo verso strano, ipnotico, in cui parlava di una "luce fredda, sbavata". 
Ero felice anche per il sol fatto che esistesse, il prof, e in particolare che esistesse nella mia città, un luogo dove per questo genere di guerre esistenziali sembra non esserci posto - dove la parola "poesia" suscita al massimo qualche sorrisino ironico. Andare al teatro a sentirlo parlare, e provare a fare piccole follie in pochi metri quadrati insieme ad altra gente un po' matta (devo scrivere qualcosa su C., una che prima di presentarsi mi disse mi piaccio un fottìo cazzo: e fu subito amore), provando ogni giorno a indossare altre facce, parlando di poesia e assistendo a quei momenti in cui - ispiratissimo - riusciva a dipingerti un quadro spietato e vivido della realtà e delle emozioni, era diventato un rito. E aveva contribuito a rendere il mio rapporto con la mia amatodiata città ancora più misteriosamente singolare - io detestavo la mia città, ma c'era lui e questo rendeva tutto un po' più strano: un po' paradossale. Volevo dirgli che non parlava da solo, che io lo ascoltavo. Ricordo infatti che per mesi non riuscii ad avvicinarmi a parlargli, mi vergognavo, mi sentivo stupida. Aveva uno sguardo implacabile - qualcosa di crudele e sofferente -, io mi sentivo giudicata, lui non mi vedeva. Ma dietro la sua severità c'era un bambino, forse un po' capriccioso...Ricordo ancora quando all'improvviso si mise a recitare l'Amleto - venne la pelle d'oca a tutti. Ma aveva anche un sarcasmo irresistibile - per esempio ricordo che detestava la reverenza per le donne incinte: tanto nascerà un altro cretino, diceva.
Vorrei riportare alcune sue perle, ma sono troppe e preferisco lasciarle così come sono, vocine dense e immateriali che ogni tanto tornano. Gli piacevano le parole, conosceva le parole... era sedotto dalle parole e a sua volta seduceva con le parole. Era uno che "capiva la scena", com'è stato detto. Aveva bisogno di esorcizzare i suoi demoni con la scrittura e con il teatro, era uno che sentiva le cose con violenza e le doveva dire senza sconti. A Reggio Calabria. Capito?
Per me lui è diventato col tempo una specie di luogo della coscienza, e sono sicura che abbia lasciato una traccia in molte persone - nel bene o nel male, era difficile che non suscitasse un'emozione in chi gli stava intorno. Nessuno potrà sostituirlo, c'è troppo buonismo stantìo in giro. Lui, con tutti i suoi difetti (chi non ne ha?), restava fedele a se stesso e se ne fotteva, perciò aveva tutta la mia stima. Mi dispiace molto che non ci sia più. Non so com'è successo, non tornai più a trovarlo...avevo questo conto in sospeso, ma adesso è troppo tardi. 
Appena ho saputo della sua morte sono andata a cercarmi un vecchio volume - che ringrazio E. di avermi regalato - la sua raccolta di poesie intitolata Con la notte da superare (titolo bellissimo). Ho scelto alcune tra le sue poesie che mi piacciono di più, le riporto qui in un post a parte per ricordarlo con affetto. Ciao prof.

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