Appunti di Storia moderna

venerdì 6 dicembre 2013

Chi ce l'ha più lungo

Penso che le ragazze di Un altro genere di comunicazione abbiano davvero colto nel segno, scrivendo questo post che si intitola significativamente: "sono più femminista di te". Benché alcuni passaggi non li condivida del tutto, apprezzo molto il concetto di fondo e trovo che rendersi conto di questa gara a chi ce l'ha più lungo (da notare la radice patriarcale del concetto) che domina i più svariati ambienti, non solo attivisti, sia estremamente importante per avvicinarsi a una visione - e a una pratica - politica più matura ed efficace.
Non vale però mica solo per il femminismo. Non c'è giorno che qualcuno non stia lì a segnalarti quanto è alternativo, quanto è marxista nel senso più profondamente e fichissimamente originario, quanto è geneticamente postanarchico, quanto è veteronoglobal, quanto è intrinsecamente seduto dalla parte figa e progressista del mondo, quanto sia autenticamente out, quanto sia suo appannaggio esclusivo "la vera lotta". 
Ben venga ogni sorta di radicalità, quando, però, non si limita ad autocontemplarsi e a fare di questo auto-rimirarsi allo specchio qualcosa di esaustivo e desiderabile in sé - qualcosa che pretende di esaurire l'universo della lotta. Insomma, sembra che l'ansia di rifinire i contorni di se medesimi - utile, necessaria e auspicabile per ogni genere di lotta - finisca talora per mettere in secondo piano la lotta stessa, perdendo di vista il motivo stesso per cui si era persino iniziato a parlare di identità, non so come dire.
Il punto è questo: bisogna distinguere tra l'estetica della militanza e la volontà che le cose cambino. La prima si limita a tracciare linee divisorie tra amici e nemici, soprattutto "interni", secondo un'artificiosa e ostentata gerarchia delle autenticità politiche (rispetto alla quale la cima è per forza di cose già occupata), per poi stare a contemplarle e rimarcarle trasfigurando questo gesto in "vera politica"; la seconda rivendica la propria identità politica nell'atto stesso di confrontarsi e cercare soluzioni per agire. Tutto il resto è ansia da prestazione sociale, una cosa cioè fatta della stessa pasta del "sistema" criticato, che paradossalmente contribuisce a rendere quest'ultimo ancora più eterno.
Quante volte ho dovuto sentire "i veri attivisti" che non erano in grado di partecipare a una manifestazione di cui apparentemente avrebbero dovuto condividere gli obiettivi, perché per loro era più importante rivendicare la propria incontaminata e ottusa "autenticità", secondo un fraintesissimo concetto di indipendenza politica? Ho al riguardo un post in mente da molto tempo - il titolo è: "quelli che dicono di voler cambiare le cose e che paradossalmente sono il primo, insospettabile, ineluttabile ostacolo al fatto che esse cambino realmente". Un problema molto importante, direi, al giorno d'oggi.
Propositi ingenui per il 2014: liberiamocene al più presto.
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