Nel film Yes man la narrazione è perfettamente lineare e banalmente esplicita tanto da togliere allo spettatore ogni spazio per le inferenze, ogni spazio di azione mentale che esuli dalla semplice decodifica del messaggio. Lo spettatore non ha nulla da pensare o da interpretare dato che il regista gli fornisce tutto quel che c'è da capire come su un piatto d'argento già prima che abbia il tempo anche solo di tentare di andare oltre la bruta consequenzialità delle scene. Ma la semplificazione è proprio il segreto ultimo dei cosiddetti film di successo.
Per rigore di semplificazione, appunto, la trama si muove tutta seguendo sempre fedelmente una sfilza di facili dicotomie: sì/no, triste/felice, noioso/divertente, e simili.
C'è il protagonista inizialmente presentato come imbruttito dalla routine di lavoro, da un amore finito, annoiato e sbuffante - e si insiste molto su questo, in modo da togliere ogni ambiguità alle emozioni manifeste del personaggio, e in generale si punta su una recitazione ridotta all'osso delle emozioni (per es. triste, felice, scatenato, annoiato, sempre in modo semplice e netto) insomma è come si dice inequivocabilmente 'depresso', tutto gli va male, tutto è uno schifo eccetera. Finché un bel giorno si imbatte in uno di quegli incontri in cui gruppi indistinti di persone si affidano a una specie di guru che svela loro com'è che devono vivere, e questi ne escono illuminati e purificati definitivamente, salvo previo acquisto del 'pacchetto', che comprende, che so, dvd, libro, brochure informativa, del programma rivelatore dell'esistenza previsto. Inutile dire che il contenuto sponsorizzato in questa sede è quello, semplicemente, di dire 'sì alla vita'. Inutile aspettarsi ulteriori spiegazioni, qualche cenno d'approfondimento, sfumature altre del concetto: per chi si accinga a guardarlo, si metta l'anima in pace, non arriveranno mai. Alla fine ci sarà un tentativo di rielaborazione del messaggio, che da 'sì a tutto' diventa 'sì solo a quello che vuoi veramente'. Stop. (Tanto che credo addirittura possibile rappresentare l'intero senso del film attraverso un semplice grafico).
La straordinaria bellezza e auspicabilità del sì è enfatizzata da maxischermi con slides che schematizzano i quattro (ma no, meno) concetti proposti come magnifici e indiscutibilmente edificanti, a scapito dell'odiosissimo 'no', che il solo fatto di pronunciare porta alla denigrazione e umiliazione di tutti contro i pochi che lo osino.
Infatti c'è questo guru che aggredisce Jim Carrey perché ha detto a un certo punto 'no', e sulla sua scia le altre decine di persone gli urlano contro disapprovazione, quasi come quando all'asilo facevi qualcosa di sbagliato e la maestra esortava tutti a gridarti in faccia 'vergogna, vergogna' in modo da farti passare la voglia di rifare quello che hai fatto, ma senza spiegarti il perché dell'errore, semplicemente col mezzo dell'umiliazione e della derisione pubblica.
Continuo con l'analogia infantile, pensando al modo con cui generalmente ci si rivolge ai bambini piccoli per spiegar loro cosa è bene e cosa è male. Poiché essi non possono capire, si indica loro l'oggetto da allontanare con espressioni estremamente semplici come 'brutto, cacca' e l'oggetto approvato con un non migliore 'sì, bello, buono, bravo': gli aggettivi implicitamente o esplicitamente espressi nel film, sono tutti rinviabili a campi semantici elementari, come ho detto sopra; questo per dire che le strategie comunicative e i contenuti proposti sono presentati pressoché con la stessa complessità e livello intellettuale di un bambino di due o meno anni. Vabè, andiamo avanti.
L'aspetto sconcertante di queste sequenze del film, è, fra gli altri, che manca qualunque spiraglio ironico capace di riscattare anche solo parzialmente tutte le sue indebite semplificazioni. Cioè, i modi con cui viene presentato questo incontro col guru e i proseliti dentro una specie di palasport coi maxischermi, i modi ridicoli con cui il guru si pone, il carattere grottesco di tutto ciò ecc sembrerebbero inizialmente una benintenzionata parodia, di cui, almeno a me, è venuto spontaneo ridere e pensare bonariamente "ahah, prendono in giro questa moda!". In realtà poi il senso de film è chiaramente quello di confermare la validità e la bontà dei messaggi del guru e della cricca del sì cui fa capo, sì che senza l'ironizzazione, viene presentato come 'normale' e auspicabile qualcosa di fondamentalmente sclerotico.
Ovviamente, dopo questa epifania di verità, il protagonista scrupolosamente intenzionato ad attenersi al programma del 'sì alla vita' dirà, appunto, sì a tutto. L'esigenza di far ridere il pubblico ha portato regista e sceneggiatori anche ad un'autoironia che però per i motivi di cui sopra mi sento decisamente di definire come inconsapevole. Criticano cioè da soli i contenuti che propongono, però senza accorgersene, perché il fine è appunto la risata e non la messa in discussione: così quando Jim esce dall'incontro e un barbone gli chiede un passaggio, il cellulare e anche dei soldi, si trova a dover rispondere di sì; il seguito del film però non toglie dubbi sul fatto che la risata da suscitare presso chi guarda è finalizzata, appunto, a se stessa, e non a una qualsivoglia autocritica del messaggio.
Dopo di che è tutto una favola. Questo sì porta un sacco di cose buone e fighe. Felicità, divertimento, voglia di vivere, sballo, pure l'amore, soldi, insomma tutte le caselle dell'oroscopo si riempiono di stelline. Ecco l'equazione tra dicotomie di cui sopra: brutto/cattivo= no/sì. Le sfumature, le contraddizioni interne, non trovano posto in questa rappresentazione perfettamente schematica della realtà. Ma bisogna per forza schematizzare, per non incorrere nel rischio che il film 'non arrivi' a qualcuno.
La fastidiosa mancanza di qualsiasi contenuto implicito, di rimando, da sondare a mezzo d'interpretazione creativa, che è ormai la caratteristica più comune dei film commerciali sempre di successo , sorprende che ancora non abbia portato all'illustrazione ancora più esplicita del senso della pellicola attraverso una didascalia, come suggerisce il buon Smeriglia.
Ma viene spontaneo pensare - dirà sì anche a tutte le offerte pubblicitarie? Ci sono delle scene in cui Jim dice sì anche a questo. Ne risulta che la cifra ideologica del film è fatta di consumismo, spensieratezza, brividi dello sballo d'accatto, e per non rinunciare allo stereotipo d'obbligo in ogni film 'commerciale' che si rispetti, non manca neanche la pessima immagine della donna persiana 'comprata' su internet sempre per dire sì alla vita, presentata fedelmente a tutti i cliché che esistono sulle donne musulmane in questa terra.
E' interessante osservare come viene presentata la vita del singolo nel film. 'Tutto è intorno a te è perfettamente normale, sei tu che sei sbagliato': questo sembra suggerire il regista a ogni passo, se sei depresso è perché c'è in te qualcosa che non va, non nel mondo, non nella società. L'individuo viene rappresentato come in qualche modo deficitario, incapace di godere della splendida vita che è a portata di mano ma che non sa far affiorare, perché ha appunto il difetto di dire sempre no a tutto. L'angoscia, la frustrazione, sono incomprensibili circuiti mentali in cui si autoghettizza il singolo, mentre fuori tutto brulica di felicità.
Questa semplice rappresentazione della vita viene sbloccata attraverso la soluzione del sì. Il sì è una paroletta molto curiosa, perché di per sé non ha un significato che non le dia il contesto. Per esempio, potrei dire la stessa cosa con un sì a seconda di come ce lo metto nella frase. Posso dire "sì, sei simpatico" come posso dire "sì, sei antipatico". Essa quindi non ha un contenuto proprio, ma si mimetizza, si adatta al luogo d'utilizzo.
Ma in questo film il sì privo di senso proprio viene trasfigurato e presentato di per sé come un movimento psicologico rivoluzionario, sovversivo, anticonformista, mentre in realtà dà luogo a uno stile di vita perfettamente integrato. Il film è bugiardo perché pretende di parlare di sovversione là dove propone la perfetta mimetizzazione nel sistema. Il sì porta ai voli low cost, all'acquisto di un materasso speciale, all'alcol ingerito in quantità industriali in un pub, a un lavoro in banca prima considerato frustrante, poi riscattato non si capisce sulla base di cosa, a un ineccepibile addio al celibato, alla fruizione della saga di Harry Potter tra amici, alla frequenza al corso di Coreano e di volo. Quello che si pretende 'rivoluzionario' così prende le forme del pazzerello, del bizzarrino, insomma dell' eccentrico-ma-non-troppo sempre in fin dei conti normale e conciliato.
Il film è di successo perché soddisfa le specifiche esigenze del pubblico di sentirsi in qualche modo riscattabile dalla mediocrità di uno stile di vita preconfezionato senza la fatica di dover rinunciare veramente a quello che questo gli offre. Gli dà la sensazione che è possibile sentirsi speciali e anticonformisti accettando semplicemente il modus vivendi del 'sistema', in più risparmiandogli la noia di pensare attraverso una consistente dose di risate, garantite dalle proverbiali smorfie di Jim Carrey. Il film è consolante e ottimista, tutte caratteristiche che scaturiscono dalla semplificazione di cui sopra.
Il messaggio è: si può essere felici anche accettando tutto quello che di opprimente c'è in questa società. Tanto che il film a un certo punto prende le pieghe di una celebrazione smodata del consumismo, come dimostra in particolar modo il fatto che tutto prende avvio dal semplice acquisto del pacchetto del sì.
Mi si potrebbe domandare, ma che ti aspettavi da un film commerciale per di più americano? In effetti.
so che non è cosa da te. ma mi hanno chiesto di premiare qualcuno e ho pensato a te. se passi dal blog c'è un premio per te.
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