La tautologia consiste, più o meno, nella ripetizione di uno stesso contenuto all'interno di una proposizione; consiste, cioè, nella ridondanza. Ecco alcuni esempi: Io sono io, o chi muore non vive più, o ancora vado al mare quando vado al mare.
Ne "Il dominio retorico" di C. Perelman, viene riportato il seguente esempio, di M. Jouhandeau:
Quando vedo tutto ciò che vedo, penso quello che penso.
Siccome Perelman riporta questa frase come esempio di tautologia apparente, nel senso che dietro l'apparente ripetizione si nasconderebbe un significato diverso attribuito alle stesse parole che spetterebbe all'interpretazione smascherare, mi chiedevo per l'appunto che diamine di interpretazione si debba dare perché questa frase abbia un senso che non consista precisamente nella ripetizione insensata dello stesso concetto.
Anche nel caso della contraddizione è possibile eludere l'assurdo attraverso il meccanismo della contraddizione apparente, una contraddizione cioè formale che solo un'interpretazione differente degli elementi contrari può salvare dal paradosso. Un esempio di contraddizione apparente è la famosa frase di Eraclito entriamo e non entriamo nello stesso fiume, dove l'interpretazione diversa della parola "fiume", ora inteso come riva ora come le singole gocce d'acqua, salva dalla contraddizione.
Questo libro mi sta facendo impazzire. Perché la prima volta che l'ho letto mi sembrava una robetta per le elementari. Ad ogni rilettura, però, mi sta facendo amaramente pentire di aver fatto questo pensiero. Rileggere non a caso, per me, è sempre stata un'operazione di fondamentale importanza. E' come se alla prima lettura si acquisisse una sorta di grossolana visione complessiva, confusa e imprecisa, dove i dettagli - ma anche molte "cose principali"- vengono ignorati perché si è colpiti dall'uno o l'altro aspetto. Come se l'emozione che porta a focalizzare in particolare su un aspetto rendesse ciechi rispetto agli altri aspetti, e imperialisticamente estendesse quell'aspetto a tutti gli altri, magari riducendo il libro stesso ad esso. La rilettura scalza il carattere egocentrico della "selezione per emozione" e apre la strada all'oggettività. Tuttavia, la prima lettura è fondamentale. Stanislavskij ne parlava come di qualcosa capace di condizionare la comprensione definitiva del testo, per questo consigliava di non procedere mai a una prima lettura in condizioni imperfette, per esempio se si è stressati, distratti o di cattivo umore, poiché questo si rifletterà in modo irreparabile sul proprio rapporto col testo, minato "per sempre" dall'influsso della prima impressione.
Mi riferisco soprattutto ai testi argomentativi. I romanzi, forse, non andrebbero mai riletti, perché la loro forza consiste fra l'altro nella sensazione complessiva che suscitano. La storia dice un'idea in maniera forse più incisiva di come farebbe un saggio, perché fa leva sull'emozione, e, benché questa sia legata alla soggettività, ciò non va considerato come una prova di in-oggettività: bisogna ricordare che l'universale è universale anche perché si compone del particolare, che lo rivela come da una fessura.
Rileggendo saltano all'occhio altre cosucce passate prima inosservate, con rinnovata meraviglia e annessi "ma come ho fatto a non notare questa roba qui"; ne segue che agli elementi già acquisiti ne subentrano degli altri, che formano un insieme di pezzi di un puzzle ancora da comporre. L'ultima cruciale operazione che salva la mente dalla confusione consiste proprio nel mettere in ordine i pezzi. Per me, che ho sempre antifilosoficamente unito i pezzi sulla base del flusso di coscienza personale, ovvero della libera associazione di idee, questo è sempre stato il problema principale.
Ci sono tanti modi per mettere in ordine le idee, nel senso di dar loro una conseguenzialità apparentemente necessaria; uno di questi è radiale: esso consiste nell'individuare il cosiddetto nocciolo della questione, e da questo far dipartire tutte gli elementi, come se scaturissero spontaneamente da esso. Il nocciolo o essenza della questione è definibile come quell'idea senza la quale tutti gli altri elementi non reggerebbero. Un altro modo è quello lineare: si "spezzetta" la questione nei suoi aspetti costituenti, e li si lega mediante un rapporto di causa-effetto, per esempio, o di altro tipo, di modo che l'uno conduca all'altro in modo apparentemente ineluttabile sino alla conclusione, che fungerebbe da sintesi e compimento delle idee.
Ma ecco la mia insoddisfacente ipotesi di soluzione della tautologia apparente:
"Quando mi rendo conto di quello che complessivamente percepisco del mondo ("vedo" in senso metaforico), cioè di quello che penso, ci penso".
Se a qualcuno venisse un'idea migliore, o semplicemente pensasse che non ci ho capito una mazza, è pregato di farsi avanti.
Ho cercato "tautologia apparente" perché stavo scrivendo un post in proposito e sono arrivata qui. Bellissima spiegazione.
RispondiEliminaciao alessandra, grazie :) PS: pure io sono mamma, nel senso che ho un figlio...ahah ;)
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