Appunti di Storia moderna

lunedì 29 dicembre 2008

Crescere.

Esiste un momento in cui ciascuno realizza di essere veramente solo.
Non è più quella vaga sensazione spiacevole dei tempi del liceo, né quella tristezza improvvisa che ti prende quando un amico ti ha voltato le spalle o un parente muore. E' quella certezza pressoché fisica di non potere condividere fino in fondo il proprio mondo con qualcun altro. Sapere che il proprio vissuto è praticamente inaccessibile a chicchessia.
E che non c'è grande amicizia, profondo legame, intensa relazione, che possa attutire il colpo di questa violenta consapevolezza.
Non si scappa. Il tuo mondo è uno, e tuo. Gli altri possono intuirne il senso generale, annusarne i contorni, sfiorarne degli sprazzi, ma mai toccarne i fondali: sentire di appartenervi.
Né vale il tentativo di spiegarlo, il proprio mondo. La spiegazione tradirà, nell'atto stesso di presentarsi come altro dal suo oggetto, lo scopo - nonché la possibilità stessa - della trasmissione.
Il vissuto dell'altro è maledettamente diverso dal tuo, e non c'è verso di fargli capire che cosa è quello che tu vuoi dire adesso. Le parole sono sforzi sovrumani per abbattere i confini tra le proprie solitudini. I tentativi più disperati di superare questo isolamento costitutivo.
Nel trauma della comunicazione impossibile, persiste il senso di impossibilità assoluta di una comprensione profonda dei propri reciproci mondi. L'affetto, per quanto grande, potrà vincere questa barriera solo relativamente...non basterà, infatti, per abbattere la corteccia ostinata della solitudine retrostante e "dura".
Allora forse diventare adulti significa... accettare che è così. L'adolescente (in senso lato) lotta contro ciò che ha intuito essere ciò aggrapandosi ora a questa ora a quella speranza. L'adulto, dopo numerosi pianti, smette di provare rammarico per questo e finalmente ne comprende la necessità. Così impara a dover sopportare questa che ha appreso essere la sua ineluttabile condizione.
Solo allora si potrà accedere a un livello superiore di relazione. Una relazione lucida, dove la prorompente affinità con l'altro è fino a un certo punto. E dove, da soli, si è più solidi, integri. Ci si rapporta all'altro a partire da una base "consistente".
Si impara a bastare a se stessi.
E' questo il culmine di quel processo che comincia nella prima infanzia, al momento dello svezzamento: anzi, già prima a ben pensarci.
La condizione migliore è quella intrauterina, quando la solitudine deve fare i conti col limite fisico alla sua possibilità. Madre e figlio sussistono in un legame simbiotico, strutturale, essenziale per la vita. Col trauma della nascita ha inizio il distacco, che col procedere dei mesi si trasforma in autentico dolore. Il piccolo soffrirà presto della sua presa di coscienza di essere altro dalla madre: del fatto che la madre abbia una vita propria, indipendente dalla sua: che essa sia un'altra persona, e non quel prolungamento dolce del proprio indefinito e inconsapevole sé. I modi con cui quel dolore - vero e proprio - verrà "gestito" avranno un peso notevole nel successivo sviluppo affettivo/emotivo del piccolo.
Col procedere della vita, la lezione che costantemente apprenderà è quella del distacco, della perdita, della mancanza di. Crescere è un soffrire progressivo nel e del distacco.
Finché un giorno il dolore raggiunge la soglia della lacerazione, e produce una spaccatura tale dentro, che poi il percorso dovrà cambiare direzione e modificare se stesso. Verrà allora il tempo dell'accettazione, della presa di coscienza lucida, della deposizione delle armi ... che farà spazio a una superiore apertura al mondo.

3 commenti:

  1. Non tutti diventano adulti allo stesso modo. Così come a volte i falliti (verso se stessi) sono molto simili agli adulti.

    RispondiElimina
  2. sottoscrivo a quattro mani

    l'intersoggettività non può essere che superficiale e non è dato - purtroppo - aprire un canale che faccia comunicare gli oceani di due coscienze.

    in realtà, ogni coscienza è unica e sola. ciascuno può solo cogliere l'isomorfismo fra il proprio vissuto intimo ed esteriore e le "presunte manifestazioni di un presunto altro vissuto", può affezionarsi profondamente a tale "presunto altro vissuto", ma non più.

    crescere è - in fin dei conti - rendersi conto della propria condizione, divina e libera sì, ma sola, maledettamente sola...

    davidhume

    RispondiElimina

Per motivi imperscrutabili, capita spesso che i commenti spariscano nel nulla. Io tolgo solo insulti e spam. Meglio perciò eventualmente salvarli e riprovare.