Tutto sommato, dico; sommando tutto, e più e più e più: mi so chiara. Limpida, non dico ancora effervescente, ma azzardo un "visibile". Bisogna notare, però, che una somma, paradossalmente non è un tutto. Tante cose messe insieme, non dicono tutto dell'insieme. Ad esempio, la società non è una somma di individui. E' di più. Questa casa non è una somma di mattoni. E' di più. Qualche materialista monistico direbbe "no, è solo una somma". E io no.
Vedi, per esempio, io non sono la somma delle mie idee, dei miei comportamenti, delle mie parole, come non sono la somma di mamma e papà. Bene. Comunque volevo solo dire che, tutto sommato (non mi viene un'espressione migliore) qualche idea ce l'ho chiara.
C'è gente , molta, che ha le idee chiare su tutto. "Io sono contro l'aborto!" , "Prodi è un coglione!", "Hai torto!", "So chi sono", e via tacendo. C'è poi la bolgia dei dubbiosi. Da queste parti si sta molto male. Qui vige una certa sincerità, vige il dialogo tra sé e sé, bazzicano, cioè, un mucchio di epigoni socratici.
Senza saperlo, ma io sì, costoro guardano dentro la chiarezza e ci vedono dell'opaco. Ci alitano sopra, provano a sgrassare con la manica , l'apparenza si fa più ambigua, sfumata, pallida. Non c'è luce che tenga.
C'è inoltre un fenomeno interessante. Pare che la sicurezza sia una virtù. Un attimo. Sicurezza nei giudizi? Se questa, ben venga. Ponderare un argomento, argomentare l'argomento, vivisezionare l'argomento, giustifica quella sicurezza (forse...?!?) nel dire: "Prodi è un coglione, perché perché e perché...". Sicurezza "caratteriale" (non saprei come definirla altrimenti)? Se questa, se ne vada. Dubitare è la ginnastica mentale che più mi ha riservato sorprese in my life: il rubinetto del mio lavandino, il polline del mio fiore, la secrezione incessante dei miei brufoli. Cioè, io dico: dubitare dà. Ansie, frustrazioni, alienazioni estemporanee, barlumi di psicosi, ma...: profondità.
Meglio un frustrato dubbioso che un sicuro felice e contento. E' una questione di comodità. Ma qui non stiamo a predicare che la scomodità è virtuosa. Diciamo (io, e i miei tanti me) che le grazie migliori sono quelle raggiunte col sudore - dell'ascella.
Personalmente la timidezza mi seduce parecchio. Chi arrossisce pensa.
http://www.youtube.com/watch?v=Kl5pa7FAXHc
RispondiEliminaUn finale che è un non-finale. Descrittivo.
RispondiEliminaBisogna sfidare l'estremo per redimersi? Chissà. Se il mondo fosse perfetto, non avremmo da sobbarcarci tutto quel purpurì di angosce e scelte che la vita ci offre continuamente sul suo piatto ricco di contorni ambigui.
Scegliendo si sfiora la morte e ci si inabissa in una vita. La pressione esistenziale che comporta è la costante.
Il problema è che persino il non-scegliere è uno scegliere, e non se ne esce.
Tutto questo può dire "solitudine" come può dire "onnipotenza". Personalmente, mi perdo nello scarto tra le due.
Perché partire sempre dal mondo e non partire invece dalla relazione io-mondo così da mettere in discussione anche se stessi? Di quale mondo parliamo poi? Il mondo delle angosce non è quello delle scelte indipendente e dell'autonomia di giudizio. È quello delle inadempienze burocratiche e del senso di colpa che ne deriva. All'interno di questo mondo una ed una sola è la scelta: adempiere. Riempire di un contenuto predeterminato un involucro creato da altri. Conformasi. Ma, risalendo oltre questo mondo di alienazioni burocratihe, possiamo ancora scorgerci il mondo vivente. È all'intenro di questa categoria del vivente che noi possiamo autenticamente ritrovare noi stessi e, dopo esserci ritrovati, agire efficacemente anche sulla nostra esistenza burocratica. È all'interno del mondo vivente che sentiamo tutta l'importanza delle nostre scelte, l'irrompere della nostra coscienza liddove il logos è ancora tutto in fieri, non ancora crocefisso dalla diverse alienazioni burocratiche.
RispondiEliminaParto dal mondo inteso come insieme di tanti "se-stessi". Se ci fosse un determinismo naturale, se cioè non fossimo altro che "risultati" pressoché meccanici di un grande sovra-o-sottostante meccanismo, non avremmo il "problema" (e/o opportunità) delle scelte-angoscia. Mi ero espressa male.
RispondiEliminaE' vero, la burocrazia è quel grande meccanismo che riduce il singolo a zero, una specie di dittatura silenziosa, dove non vuole nessuno, non sceglie nessuno, e per questo la responsabilità (sostrato inispensabile e/o minaccioso della libertà) si dissolve nell'anonimato, nell'orda di funzionari, meri ingranaggi della grande macchina.
Ma io mi riferivo a quel "mondo vivente" oltre il plesso disumanizzante della burocrazia. Da questa parte della barricata, è qui che "irrompe la coscienza". Il trovar se stessi (autentico) non è per niente scontato, per me.
Ma il determinismo naturale c'è. Lo hai sotto gli occhi. Potevi nascere pietra. Potevi nascere leone. Sei nata donna ed in parte partecipi della pietra e del leone, pur non essendo totalmente risolta nella pietra e nel leone.
RispondiEliminaParte degli uomini, sebbene iscritti nella regione della Cultura, perseguono l'obiettivo necessitante con una solerzia degna delle piante grasse: il matrimonio, la posizione del missionario, i figli.
La libertà non è affatto un elemento così chiaro e risolto. Ha bisogno di sforzi e partecipazione. Emanciparsi dalle scorie deterministiche significa partecipare ad un movimento di liberazione. Siamo, difatti, in balia della Necessità - come diceva Spinoza - delle passioni, degli istinti, di un mondo esterno che viene continuamente a reclamare la nostra vita. Eppure, anche un campione del necessitarismo come Spinoza, al termine della sua trattazione sull'Etica, ha bisogno di inserire quello che lui definisce amore intellettuale («una parte dell'amore con cui Dio ama se stesso»). La posizione in cui l'uomo può vedere dall'alto, distintamente, liberamente le cose senza più esserne in balia. E a chi gli chiedeva se esistesse davvero una simile forma di libertà, se fosse scontato trovar se stessi, lui rispondeva: «Tutte le cose sublimi sono tanto difficili quanto rare». Come a dire che è proprio qui la bellezza della libertà, che io e l'altro siamo finalmente unici e irripetibili.
Eh vabbè. Entrano in ballo mille filosofi. Il punto è che il determinismo è conciliabile con la libertà, a patto che non si estenda oltre un certo limite. Si estendesse, sarebbe la comodità del destino. Siccome si ferma proprio davanti alla porta della libertà, ecco che siamo determinati e liberi.
RispondiEliminaQuando leggo di queste idee, di obiettivi altissimi tipo amor dei intellectualis (sperando si dica così...) mi sento un pò come quando leggo del superuomo di Nietzsche, provo, cioè, una specie di rapita alienazione...
Oscar:
RispondiEliminaLa vita è uno stato mentale.
Lo stato mentale lo creiamo noi.
Noi ci creiamo la vita.
e si riparte da capo..
infondo siamo un susseguirsi di attimi che vanno persi micro-attimo dopo l'altro.
Siamo solo un ricordo che gia ora è scomparso, siamo qualcosa che ci creiamo noi con tutto quello che ci portiamo dietro.
Intanto grazie per avermi invitato qui.
RispondiEliminaEntro tip-toeing, con timore reverenziale.
E mi lusinga sapere che hai pensato di volermi in casa tua.
E poi.
Commento questo post, scritto nel giorno del mio compleanno perché sembra scritto per me.
Che ho per motto "Dubito ergo sum".
E che ho sposato un timido.
Con una capa tanto. :-)
Un bacio,
Puraluna