Appunti di Storia moderna

domenica 29 dicembre 2013

Quella giocherellona di Patrizia Cavalli

Qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.

Io rispondo che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo.

Ho trovato le poesie di Patrizia Cavalli - come le cose migliori - per caso; a casa di una persona che le aveva tra gli scaffali. Datura, Einaudi, mi è bastato poco per capire che dovevo improrogabilmente prenderne possesso. (Ahem, e naturalmente non posso restituirlo: ora sono in piena cavallidipendenza!).

Mi sto convincendo che il gioco sia la chiave giusta, la sottovalutatissima chiave giusta.


Questa poetessa è una giocherellona, con un grande senso del ritmo. La sua non è una leggerezza pesante (cfr. Calvino). Cavalli ha capito che il turbamento può essere esorcizzato con l'ironia - un'ironia e una levità che non temono di essere se stesse, volutamente non troppo ricercate, che sono anzitutto coscienza della propria limitatezza di essere umana dotata di una corporeità densa di desideri, dipendenze relazionali, contraddizioni, limiti e voglia di superarli, e soprattutto quotidianità. Non mi dispiace neanche il suo gusto per le rime e la regolarità, talora, del verso endecasillabo: la poesia del resto è prima di tutto una specie di musica, una forma espressiva che precede il senso, avendo in primo luogo a che fare con i sensi. Mi piace anche la apparente pigrizia di alcune rime e di alcune immagini, apparentemente "troppo facili"(ma d'amore/non voglio parlare/ l'amore lo voglio/ solamente fare), come qualche critico col distintivo ha notato. Forse perché penso che la ricercatezza non sia necessariamente sinonimo di qualità e/o profondità. Che poi, devo ammettere che è nel giusto chi dice che è più difficile essere semplici, talvolta. (Ma perché poi difficile=buono?).
Cavalli coglie l'immagine con un colpo di frusta, con una specie di ghigno malinconico ma mai - ed è quello che apprezzo di più - veramente del tutto disincantato. C'è quell'entusiasmo quasi bambino di esserci, di scrivere, di vivere le emozioni facendo al contempo i conti con i propri limiti ma senza autoleccantesi struggimento, che oggi non vedo più da nessuna parte. Soffriamo, ma questo non è un buon motivo per trucidarsi l'epidermide con ogni sorta di estetizzato autolesionismo, chiamando tutto ciò poesia.

Ora, per non farci mancare il consueto momento di acidità, leggere Alberto Bevilacqua subito dopo è un'operazione che sconsiglio. (L'ho acquistato perché nello scaffale "poesia" della Feltrinelli non c'era molto, purtroppo). Dopo aver apprezzato il taglio giocoso e originale di Cavalli, si trova Bevilacqua pesante, noioso e scontato. Forse perché ho superato certa fase esistenzialista e i drammi esistenziali, che una volta mi prendevano molto, oggi non mi interessano più con la stessa intensità di prima; non mi sembrano più qualcosa che merita di essere raccontato di per se stesso: voglio di più, voglio andare oltre, voglio quello che c'è dopo la nausea dell'esistenza - volevo appunto, Patrizia Cavalli, la levità lucida e densa di una poetessa affine alle mie corde, dove il disincanto non si risolve mai nella sola contemplazione di se stesso ma diventa, addirittura, gioco.
Vorrei quasi abbracciare Patrizia Cavalli per tutto questo: ha dato alla mia domanda di poesia una risposta inattesa e sorprendente. 

Senza alcuna pretesa di esaustività riporto alcune poesie random o brevi parti di esse da Datura; presto spero di poter mettere dell'altro. 

1.
Andando dritti si va da qualche parte,
andare dritti dunque non conviene.
[…]

2.
Fumare

Dà soddisfazione: tu succhi e quello arriva,
succhi più forte e arriva di più.
Non può essere dunque una matita.
[…]

3.
Salivo così bene le scale,
possibile che io debba morire?
[…] Ma adesso
che cazzo vuole da me questo dolore
al petto quasi al centro! Che faccio, muoio?
O resto e mi lamento?

4.
L’angelo labiale

[…]
Perché insomma
io ero stata mandata qui per questo,
come tutti d’altronde, per giocare.
Che pretendete adesso? Che io resti grave
a prendermi sul serio? A chiudermi in silenzio
nella difesa aspra? A coltivare un infinito
pedante ‘non si può’? Ma sì l’ho fatto
per un mezzo inverno ho finto una perfetta
remissione. Ma ora che l’angelo
mi attrezza di parole io non mi arrendo,
sia chiaro, io contendo. Domani stesso
riprenderò a giocare, perché se presto io qui non faccio
qualche pazzia impazzisco. Ma che ci vuole?
Una parola davvero pronunciata e sei una matta.
Via, fuori, eliminata, a San Rossore.

5.
Conviene, è pratico
avere il fisso amore,
ci si innamora per semplificare
e non c’è niente di meglio di un fantasma
per inghiottire ingombri e confusioni.
[…]

6.
[…]
Ma eravamo troppo perfettamente
in due, non posso avere fatto tutto io
da sola! E’ chiaro, sei tu che hai organizzato,
tu che per farti sognare mi hai sognato.

7.
Vanno le sue giornate
vanno le mie, così come va
ogni giornata – c’è mai qualcuno
che non abbia le giornate?
[…]

8.
E se mi guardi davvero e poi mi vedi? 
Io voglio che stravedi non che vedi!

9.
Carne in esilio, che non sta mai
dove vorrebbe stare. Vallo a spiegare.
Devo armarmi per questo di pensieri.
E gli altri corpi, regni lontani e alteri.

10.
Noia annoiata che neanche si stupisce di se stessa,
noia modesta che non ha bandiera,
che è il solo stare, neanche tanto male,
noia di un corpo quasi sano, noia animale,
pensiero lasco che non sente e non trasale,
io bevo molta acqua minerale
per poi molto pisciare, mi curo in questo
perfettissimo ospedale che vuole
fare secco il mio gran dio ormonale.

11.

Essere nati, non solo essere nati,
ma anche in una data, proprio in quel giorno
precisamente nati.

Nessun commento:

Posta un commento

Per motivi imperscrutabili, capita spesso che i commenti spariscano nel nulla. Io tolgo solo insulti e spam. Meglio perciò eventualmente salvarli e riprovare.