Appunti di Storia moderna

venerdì 30 agosto 2013

Era una brava persona, ovvero delle schizofrenie sociali

La chiamavano coerenza, ma qui c'è una questione di senso

Sin dalla tenera età ti insegnano che devi rispettare una serie di principi, principi "della massima importanza" che ti inculcano da mattina a sera, per tanti tanti anni, nelle diverse istituzioni che presiedono alla cosiddetta educazione del genere umano: famiglia, scuola, eccetera.

L'onestà™.
La solidarietà™. 
La legalità™.
Il rispetto per il prossimo™.
La dignità™.
L'importanza della condivisione™.
Rispettare chi è diverso da te™.
I doveri del buon cittadino™.
Sii te stesso™.

Succede che però  presto impari che se le metti in pratica ti linciano. Che insomma, sì ok i principi, sì sì, i principi! certo certo! però ecco, non è che devi prenderli proprio del tutto alla lettera eh! Via, non facciamo i pignoli, eheh. Anzi forse è meglio se ti prepari a fare l'opposto. Proprio così. Mi pare cioè di comprendere, e lo dico con la massima - spero - lucidità, che quei principi siano legati:
- a una specie di esercizio di stile istituzionale o a una sorta di impersonale coazione a ripetere, vuota, cioè entrata in una specie di perverso automatismo; 
- dopo, alla lode per i morti che li hanno messi in pratica; lodandoli ovviamente dopo che sono morti, perché da vivi gliene hanno fatte di tutti i colori. Nel mezzo, da vivo, il morto dalla morale brillante - che onestà! che coraggio! che levatura morale! ecc. -, era oggetto delle più sadiche persecuzioni. Da vivo, cioè, fai meglio a farti la croce e a girare col dito sul grilletto, perché dopo averteli insegnati, faranno di tutto per fartene pentire, per farti pentire cioè proprio di averteli insegnati. Non so se mi spiego.


De beata cippa.
L'onesto è, a seconda dei casi, uno sfigato oppure un nemico, una persona spiacevole da isolare il più possibile, dato che resta inaggirabile il fatto, nudo e crudo, che la verità (sbandierata per contro da tutti) fa male. Per il fatto, dopotutto banale, che disturba le passioni più basse dell'essere umano - il narcisismo, il senso di onnipotenza, i propri interessi economico-sociali, le rassicuranti certezze scaturite dall'abitudine e i pregiudizi, eccetera. La stima sociale di cui gode il furbo è la migliore smentita alla professione verbale, nelle sedi preposte, della massima educativa. L'approvazione bisbigliata o urlata, il successo di fatto di chi non opera secondo onestà ma secondo, all'occorrenza, opportunismo e calcolismo relazionale militante, insegnano costantemente al destinatario dell'istituzione pedagogica che è meglio che impari presto certi meccanismi e li faccia suoi, pena non solo l'espulsione dal sistema ma anche, eventualmente, la sopravvivenza al suo esterno.

La solidarietà subisce più o meno lo stesso trattamento. Sì, sì, solidarietà, sì certo ma non perdere troppo tempo a pensare agli altri eh; pensa agli altri nella misura in cui possono esserti, alla lunga, utili per i tuoi vantaggi; se vuoi farlo in modo disinteressato sappi che nessuno opera in modo disinteressato quindi è meglio che impari presto a difenderti, perché nella vita niente è gratis. Questo non te lo insegnano a parole,  naturalmente, perché a parole dicono l'opposto. E' crescendo che l'infante-adolescente-adulto capisce l'antifona, vedendo come vanno di fatto le cose, all'interno di un contesto che in un primo momento gli dà degli strumenti e in un secondo momento glieli toglie, con tutto il corollario di disorientamento morale-esistenziale rispetto al quale l'educando è strutturalmente impreparato. La bussola per orientarsi in questa schizofrenia non compete - così sembra - alla pedagogia nel suo multiforme articolarsi; il trovare la bussola afferisce in sostanza alla sfera "cazzi tuoi" della vita. Si schiude dunque all'educando tutto un mondo contraddittorio rispetto al quale, implicitamente, sarà chiamato presto  o dopo a prendere posizione; rispetto al quale, eventualmente, non potrà che porsi in condizione di assorbimento: non è detto che scelga una delle alternative - principi VS loro contravvenzione -, può ben essere che faccia come prescrive, di fatto, la schizofrenia di cui sopra, e cioè interiorizzi l'opposizione senza risolverla, e diventi schizofrenico anche lui, proprio come le istituzioni che lo hanno teneramente allevato.
E che dire di sii te stesso? Sii te stesso una beata cippa. L'autenticità è, come la verità, professata e al contempo punita. Ah. Ma come, non mi avevate detto? No, niente.

Aforistica edificante.
Si interiorizza, poi, questa divaricazione tra il principio e la sua sconfessione pratica. Si giunge cioè a una sorta di implicito accordo, con la società, per cui sì verbalmente dobbiamo dire x, ma praticamente facciamo ben z. Ma non lo diciamo troppo ad alta voce. Facciamo gli stand con gli aforismi di Paolo Borsellino, le giornate della memoria, i convegni per non dimenticare, ma dietro le quinte sgranocchiamo noccioline strizzando l'occhio al do ut des relazionale spinto, che tanto-tra-di-noi-ci-capiamo. (C'era il magistrato Giglio, che ai microfoni dispensava perle di antimafia, e poi zitto zitto spifferava informazioni scottanti al boss).
Ricollegandomi all'ottimo post di Neurone Proteso, girano cose grosse dietro tutto ciò. Perché oltre alle dinamiche micro, c'è anche il fatto macroistituzionale per cui è meglio se stai zitto. Dice che è importante aiutare gli altri, il dovere civico della denuncia, ma poi guarda Lea Garofalo, guarda la lista di morti ammazzati dalla 'ndrangheta (vedi per esempio Dimenticati, di Alessio Magro e Danilo Chirico, Castelvecchi 2010), guarda il comun denominatore di queste vite, che erano sempre, in un modo o nell'altro, sole nelle loro battaglie, salvo poi essere santificate in ben addobbati comizi indetti dal sindaco, dal prefetto, dalle rappresentanze e dalle manovalanze dell'apparenza. Perché la mistica dell'eroe è molto utile in questo senso. Leggendo il discorso 'ndrangheta da questo punto di vista, si può dire che chi ha denunciato abbia preso sul serio le parole della pedagogia istituzionale, rifiutando l'esistenza stessa della strisciante schizofrenia che vi presiede, e perciò non abbia potuto che rimetterci le penne.
(Prendiamo Letta. L'attuale governo che si dà arie di Responsabilità & Serietà. Che discorso! Ricordo ancora quando si insediò, davvero commovente. Tutta l'aria istituzionale, ma istituzionale assai, cioè coi gendarmi dietro, i drappi dell'ottocento sullo sfondo, il microfono e il fermacarte in oro massiccio, le bandiere rigide della Nazione Italiana e dell'Unione Europea, l'occhio severo del presidente della repubblica, l'aria grave del neoinsediato premier, i giornalisti superaccreditati intorno a caccia dell'ultimo inconcludente enunciato, il discorso in pompa magna, e poi? e poi, e poi guarda che fanno. Ma lì è facile rispondere alla domanda "perché": quella è propaganda. L'aria intoccabile del Capo, il Rispetto Per Le Istituzioni, la Reverenza Morale che continuamente si vuole suscitare presso le genti, cos'altro è se non pura ideologia, ammaestramento).

Il Perdente™.
Perché insegnare ai bambini e agli adolescenti - "la classe dirigente del futuro" - tutti questi principi senza al contempo mostrargli che le cose, di fatto, non solo vanno diversamente, ma che la loro sopravvivenza sociale e materiale è direttamente proporzionale al mancato rispetto di quei cosiddetti principi? E che le persone stesse che li professano non li mettono in pratica? Perché esse, sotto sotto, in fondo in fondo, non ci credono manco per niente? Quando, dove si colloca questa scissione cruciale tra la teoria e la pratica? Chi le ha divise in compartimenti stagni, addirittura opposti? 
La chiamavano coerenza. Ma secondo me bisogna andare più alla radice. Bisogna andare allo stesso senso. Ponendosi cioè la domanda magica: perché? Ce l'ho sulla punta della lingua... 

Nel passaggio cruciale dai venti ai trenta, il giovane capisce l'antifona. Il germe del dubbio, sempre represso con le buone intenzioni, comincia a prendere piede senza incontrare ostacoli. Con o senza traumi, c'è un momento in cui il giovane depone gli striscioni e lascia i megafoni in soffitta, e comincia a cercare le amicizie che contano. Mostra stanchezza, disincanto, ha i muscoli contratti, deve scegliere da che parte stare perché la pacchia è finita: una vita comoda, che sconfessa i principi, o una vita difficile, che li prende sul serio? E' facile, alla lunga, convincerlo qual è la strada migliore, la più razionale, se tutti hanno scelto quella, e se chi la rifiuta vive nell'onta sociale dello sfigato che ancora ci crede, poverino, che non ha capito niente. Se l'immagine istituzionalizzata del perdente è di chi è, macchiettisticamente, rappresentato come idealista, illuso, ingenuo, sfigato. Idiota.
Al massimo, ci sarà l'estetizzazione della Morale Giusta™, il brand del Noi Facciamo Cultura™, la conoscenza come decorazione, il marchio del noi l'abbiamo capito e loro no  ma di questo ci frega fino a un certo punto. Del resto, quale sarebbe l'alternativa? Il business dell'etica, la casella dell'Etica tra gli scaffali dell'immondizia, è - ci spiegano - l'unica possibilità di sopravvivenza sociale dello sfigato che-ancora-ci-crede-ma-anche-no. In pratica lo vessano e lo perseguitano, in teoria gli fanno gli applausi. Perché è tutta una questione di applausi, alla fine.

Poi si guarda allo specchio, come il protagonista della commedia tragica di Ionesco: se tutti sono diventati rinoceronti, alla fine, per quanto oppone resistenza, per quanto sta lì a dubitare e a recalcitrare, anche lui subirà la metamorfosi, e la sua faccia davanti allo specchio si deformerà, e si abituerà al grottesco, e il raccapricciante non sarà più raccapricciante dato che piace a tutti e, pensa, mi porta anche la pagnotta. L'indottrinamento schizofrenico è acquisito, e ora il rinoceronte, bene integrato, può passare ad altro.

Massì, tanto lo sappiamo come vanno le cose.

PS: detesto questo post, ha qualcosa di ammorbante. Del resto questo blog è l'unico posto in cui possa esprimermi senza obiettivi (edificanti o meno) precisi. Grazie.

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